A quale libera normalità vogliamo tornare?
Dopo essere stati opportunamente condotti per mano da stampa e tv, quasi improvvisamente un giorno dell’estate 2021 ci siamo svegliati dal torpore ed abbiamo iniziato a farneticare ad intermittenza in merito a libertà, collettività, individualismi, solipsismi, egoismi, obblighi.
Fatta eccezione per alcune retoriche frettolose ma, a quanto pare, irrinunciabili digressioni su Genova ed omicidi di mafia, l’argomento principale di questo luglio appena trascorso è stato solo uno: l’obbligo vaccinale e la sua giustificazione esposta a menadito da bravi scolaretti come segue:
“Chi non si vaccina lo fa per egoismo,
io non sono egoista,
io mi vaccino”.
Un ragionamento all’apparenza perfetto, che eccede il sillogismo ed ambisce ad entrare di diritto nell’olimpo delle verità auto evidenti. Tutto bello, o quasi, se non ci fosse un “ma”.
Il “ma” è costituito dalle argomentazioni aggiunte a quel “io mi vaccino”, considerate dirimenti da chi le sostiene e che, nella maggior parte dei casi, suonano così: “perché mi sono stufato, devo tornare alla normalità, devo partire in vacanza, mi devo sposare, devo uscire a mangiare, perché mio nonno, mio zio, mio cugino…” e tutta una serie di necessità personali di cui non si vogliono giudicare il grado di frivolezza o la procrastinabilità ma che, con tutto rispetto, appaiono oggettivamente ben lontane dal costituire un universale paradigma di assolutezza ed una prova di altruismo e di solidarietà collettiva. Mi pare, dunque, che l’egoismo sia proprio reintrodotto paradossalmente e surrettiziamente nel tentativo di affermare il proprio senso del dovere e la propria responsabilità in difesa di una presunta necessità collettiva.
Inoltre, barattare la libertà garantita dalla Costituzione in favore di una libertà subordinata ad una misura discutibile e discriminatoria come il green pass, cedere su diritti inalienabili ed universali pur di riprendere pezzi di quella che da più parti ci viene descritta, in modo attraente, come “normalità”, non sono forse atti di profondo individualismo oltre che una ritirata sul campo dei diritti?
È così che l’espletamento delle più quotidiane fra le azioni, reso possibile dall’ottenimento di un pass, diventa ad un tempo il massimo a cui possiamo ambire, l’imperativo categorico con cui moralizzare chi non si allinea (o semplicemente esprime dei dubbi) ed il culmine del dialogo attorno alla questione. Una volta appagati questi bisogni primari, il dialogo si esaurisce, scompare la possibilità di discutere intorno alla correlazione fra questioni che solo all’apparenza possono sembrare slegate.
Ad esempio, mi pare che l’esiguo numero di posti letto nei reparti ospedalieri (diretta conseguenza dei decenni di tagli alla sanità caparbiamente attuati dai politici che ora invocano l’obbligo vaccinale come il rimedio a tutti i mali) continui a non costituire alcun tipo di nodo critico della questione. Se in piena pandemia avevamo l’obbligo di stare in casa e non contrarre il virus per evitare di intasare i reparti, ora abbiamo l’obbligo di vaccinarci per la stessa ragione.
Non giungono, in alcun modo, notizie circa il potenziamento dei reparti e del personale medico. E, cosa ancor più grave, non giungono nemmeno domande a riguardo, eppure sarebbero più che auspicabili (e lo sarebbero state già da diversi anni a questa parte) sia da parte dei cittadini, che da parte della stampa così attenta a cercare di capire se ci si vaccini o no più per partire in vacanza o più per l’aperitivo all’aperto.
Allo stesso modo sembra lasciare tutti piuttosto indifferenti l’eventualità di subordinare il diritto al lavoro all’obbligo vaccinale e la possibilità concreta per migliaia di lavoratori di essere licenziati o demansionati se hanno scelto di non vaccinarsi o se si scontrano con le difficoltà di prenotare le dosi di vaccino.
Possiamo davvero accettare che politici e stampa ci dettino una narrazione così distorta? Possiamo davvero accettare di pensare unicamente al soddisfacimento dei nostri bisogni personali in virtù di una presunta superiorità morale che ci ha spinto, senza se e senza ma, ad aderire alla campagna vaccinale? Possiamo accettare come “normalità” che qualcuno rischi di perdere il lavoro e magari anche pensare che, in fin dei conti, se la sia cercata? Possiamo pensare di essere al sicuro da queste dinamiche così aggressive poiché militiamo fra i “giusti”?
Non sta qui tutto l’individualismo che stigmatizziamo?
D’altra parte, va detto, ci sono anche i più illuminati ed integralisti dell’argomentazione, coloro i quali non perdono di vista la causa e sentono sulle spalle tutta la responsabilità di condurre gli irresponsabili fuori dalla caverna, quasi con compassione, senza necessariamente ridicolizzarli. Sono coloro che elevano l’argomentazione: niente di popolare come cinema, stadio, ristoranti, aperitivi; la partita si gioca sul terreno della collettività e della responsabilità. È a questo punto che ci ricordano che la salute va tutelata e salvaguardata in quanto bene pubblico.
Potrebbe commuovere questa fervente militanza e senz’altro stupisce un interessamento alla salute pubblica mai manifestato prima con tanta partecipazione, benché le cause non siano mancate e non manchino. L’elenco è lungo, una mappa che copre tutto il Paese con dati relativi al tasso di mortalità a causa di tumori o malformazioni congenite nelle aree prossime a raffinerie, acciaierie o siti destinati a rifiuti incontrollati, a dir poco spietati. Sono storie che conosciamo, eppure non ho mai percepito una altrettanto viva mobilitazione per fermare questi scempi, non ho mai sentito urlare così forte il diritto alla salute pubblica se non da chi in quelle zone ci vive. Non vorrei dover pensare che esista una salute pubblica di prima classe ed una di terza.
Per concludere e per venire alla domanda che mi pongo, da qualche giorno tutti reclamano la normalità che, nel calderone di argomentazioni confuse, ha sostituito la libertà da cui siamo partiti e fatto sparire del tutto la collettività. Ma siamo sicuri che la normalità sia libertà, sia il bene assoluto, che faccia bene a tutti o se, invece, qualcuno non sia destinato a restare perennemente, disperatamente ed ingiustamente indietro?
Che cosa è la normalità per una persona che dovrà continuare a stare nell’inferno dei viventi, perché non esistono le condizioni per uscirne e per alcuni mai esisteranno?
Nel pieno della pandemia non ci avevano forse detto che il mondo stava cambiando definitivamente e con esso il modo di lavorare, di incontrarsi, di studiare, di insegnare? Che avremmo dovuto imparare a costruire e muoverci in una nuova normalità?
Non è che alla fine questa normalità tanto bramata starà fra poche mani di chi era, è e sarà privilegiato e di chi tira a campare senza farsi troppe domande e si lascia indottrinare dall’intellettuale in voga?
Ed in ultimo: per decenni non ci hanno forse detto che la normalità non esiste, che avremmo dovuto valorizzare l’eccezione, che avremmo dovuto cambiare la narrazione, inventarcene una più dinamica, più pronta al cambiamento, meno normale?
Non ci hanno forse detto questo?
Superando i fanatismi, non converrebbe almeno domandarsi da dove arriva e a chi è utile questa normalità?
La Fionda / Illustrazione di copertina: Andrea De Sanctis