Abbiamo perso i giovani
A rischio di generalizzare, perché le eccezioni ci sono sempre, riteniamo comunque di poter affermare con una certa sicurezza di aver perso i giovani.
Quello che ci lascia veramente costernati è la pressoché totale mancanza di una mobilitazione giovanile coordinata e condivisa.
All’appello latitano tutte le generazione tra i quindici e i trent’anni, che in pratica appaiono perlopiù allineate e passive alla narrazione dominante.
Tralasciando ingenuità, avventatezza e strumentalizzazioni varie, i giovani un tempo furono comunque i principali soggetti della contestazione, costituendo un importante termometro sociale delle inquietudini e dei malesseri del paese.
Oggi non solo non si sentono e non si vedono, ma potremmo affermare sulla nostra personale esperienza che sono tra i più feroci e aggressivi giudici e persecutori del dissenso, in nome di un’omologazione e di un appiattimento culturali senza precedenti.
Senza ombra di dubbio hanno concorso a questa anestetizzazione generalizzata la demolizione del sistema dell’istruzione e dell’educazione umanistica da una parte, e la costante esposizione all’indottrinamento e alle suggestioni di media e social dall’altra.
Il quadro complessivo è desolante: una massa elettorale inerte confezionata ad hoc per approvare incondizionatamente lo status quo, in una pantomima in cui, a prescindere dallo schieramento scelto, la forma di approvazione al sistema è sempre e comunque plebiscitaria.