Società

Alcune osservazioni sul tasso di mortalità dell’infezione di COVID19

Malcolm Kendrick fa a pezzi la narrativa sul Covid.

Malcom Kendrick è un medico scozzese piuttosto noto per il suo blog https://drmalcolmkendrick.org/ e per i suoi libri https://drmalcolmkendrick.org/books-by-dr-malcolm-kendrick/. Qui, parte da quello che sappiamo, e soprattutto da quello che NON sappiamo, per esaminare la storia di come è stata affrontata l’epidemia di Covid 19 negli ultimi due anni.

La conclusione di Kendrick è che il Covid-19 NON è, e non è mai stato, più pericoloso di una normale influenza stagionale. Non ci credete? Ne avete tutto il diritto. Se è questione di “credere”, potete benissimo invece dar retta ai virologi televisivi che ci impestano quotidianamente.

Ma notate come Kendrick non vi sta dicendo “credete a me, perché io sono la scienza.” Al contrario, fa del suo meglio per mettere in grado i comuni mortali come noi di capire come stanno le cose. Il vero specialista, io sostengo, ha esattamente questa responsabilità proprio perché sa cose che altri non sanno. Cosa che, non c’è bisogno che ve lo dica, non tutti gli specialisti fanno.

Così, questo testo ci dà la possibilità di farci un’idea ragionata di quanto effettivamente il Covid è una minaccia. Non vi dico che ha necessariamente ragione Kendrick. Ma vi suggerisco di provare a leggerlo e a capire tutta la storia usando la vostra testa.

(Prof. Ugo Bardi)

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Alcune osservazioni sul tasso di mortalità dell’infezione di COVID19

Di Malcolm Kendrick, 10 febbraio 2022 (articolo originale)

Quando il COVID ha colpito il mondo due anni fa, o giù di lì, la prima cosa che è successa è stata piuttosto spiacevole. Vale a dire, l’istantanea e diffusa distorsione, anzi distruzione, dei dati. E’ successo così velocemente che è diventato quasi impossibile sapere cosa diavolo stesse succedendo. A chi credere … a cosa credere?

Non sono mai stato così ingenuo da pensare che non siamo costantemente sottoposti a certe “verità”, che possono essere vere o meno. Dopo tutto, ho combattuto per decenni contro la temuta “ipotesi del colesterolo”. Così facendo sono diventato una specie di esperto nel riconoscere i dati gravemente distorti quando li vedo.

Ho imparato a cercare le cose non dette, che di solito sono molto più importanti di quelle dette. Ho anche imparato a trattare le parole usate con grande diffidenza. Parole come ‘fatto’, per esempio. I fatti hanno un’inquietante tendenza a sgretolarsi sotto pressione… nota ai temuti contagiatori di pazzia, scusate i fact checker.

Tuttavia, sentivo che ero diventato abbastanza esperto nel navigare nei giochi che si stavano giocando. Avevo imparato a navigare nelle acque tempestose delle verità scientifiche, o dei fatti, ragionevolmente bene. Poi è arrivato il COVID, e il mondo della distorsione dei fatti ha raggiunto la velocità di Warp drive, come l’astronave di Star Trek. I presunti fatti hanno cominciato a viaggiare così velocemente, e in così gran numero, che tutto è diventato confuso.

In questo blog cercherò di rimuovere un po’ dell’offuscamento che circonda la questione che è diventata la chiave per “Le grandi guerre COVID”. Si tratta del tasso di mortalità per infezione (IFR – Infection Fatality Rate) da COVID19.

Potreste non pensare che questo sia stato centrale per tutto ciò che è successo, o che lo rimanga, ma spero di convincervi che è il singolo ‘fatto’ più importante di tutti. La chiave di volta. Anche il fatto più gelosamente custodito dai fact checker. ‘Metti giù la pistola, alza entrambe le mani e allontanati dal tuo IFR‘.

Per cominciare.

C’è stato un tempo in cui gli epidemiologi, per quanto riguarda le malattie infettive, usavano due termini diversi. Tasso di mortalità per infezione (IFR – infection fatality rate) e tasso di mortalità per caso (CFR – case fatality rate). Anche se bisogna dire che la distinzione tra i due non è mai stata esattamente bianca e nera.

Dopo tutto, come si fa a decidere quando qualcuno che è “infettato” da una malattia, raggiunge il punto in cui diventa un “caso”? Storicamente, questo accadeva quando qualcuno diventava così malato da essere ricoverato in ospedale. Al che, la malattia stessa veniva diagnosticata con un test di qualche tipo – a volte. A volte i segnali e i sintomi clinici erano tutto ciò che veniva usato.

Il che significa che i “casi” sono sempre stati in qualche modo più facili da contare e confrontare. Tuttavia, nessuno ha mai saputo veramente quante persone sono state infettate in primo luogo. Con questo intendo quelle persone che non sono state viste da nessuna parte, da nessuno, e quindi non sono mai riuscite a raggiungere lo status di “caso”.

In generale, quelli con un’infezione lieve se ne stanno a letto, per un po’ di tempo sentendosi un po’ dispiaciuti per se stessi. Infatti, il consiglio per quelli con l”influenza’ è sempre stato quello di stare a casa, bere molto e prendere qualche farmaco per controllare la temperatura e i dolori. Questo rappresenta la tradizionale tecnica di gestione delle tre P. ‘Prendi due Paracetamolo e Pussa via.’  (‘Take two paracetamol and piss off.’)  .

Ergo, quelli con pochi sintomi, o senza sintomi, non sono mai stati visitati o contati. Così, il tasso di mortalità dell’infezione (IFR), che rappresenta il numero totale di persone che si infettano, che poi muoiono, è sempre stato soggetto a una grande quantità di congetture.

Tutta una serie di problemi alla base della definizione dell’IFR [e anche del CFR] sono stati evidenziati nel documento “case fatality risk of influenza A (HIN1pdm09): a systemic review“. Gli autori hanno esaminato l’epidemia di influenza suina del 2009, e hanno anche rivisto i dati sui tassi di infezione e di mortalità dei casi del passato.

Parafraserò i loro risultati principali. “Non abbiamo la minima idea di quale sia stato il tasso di mortalità per questa o qualsiasi altra influenza. In verità, non lo sa nessun altro, perché i dati sono spazzatura completa“.

La loro vera conclusione, espressa in un linguaggio più scientifico:

È necessario un consenso su come definire e misurare la gravità dell’infezione prima della prossima pandemia. “[1]

Questo consenso c’è mai stato? State scherzando.

Come avrete notato, abbiamo iniziato a muoverci in acque davvero molto confuse. Ci si può chiedere come sia possibile confrontare il tasso di mortalità per infezione da COVID19 con le precedenti epidemie influenzali, quando non abbiamo idea di quale sia stato il tasso IFR delle precedenti epidemie influenzali.

Nonostante questa grande incertezza, questo IFR è diventato rapidamente un problema di linea rossa per le guerre del COVID.

Da una parte c’erano il CDC, Fauci, Neil Ferguson e l’Imperial College di Londra – e simili. L'”establishment” – gli “esperti”. Hanno affermato con sicurezza, fin dall’inizio, che il tasso di mortalità per infezione di COVID19 era intorno all’uno per cento. Il che significa che per ogni cento persone infettate, una persona sarebbe morta (in media).

Come facevano a sapere questo è al di là di ogni reale comprensione. Loro dicono mediante modelli. Io dico congetture. Che, in verità, è più o meno la stessa cosa. Una malattia nuova di zecca, mai vista prima, e sapevano solo loro quale fosse l’IFR.

Questo succedeva anche prima che esistessero test accurati di qualsiasi tipo e non avevamo idea di quante persone fossero state effettivamente infettate. Infatti, a questo punto, si basavano principalmente su informazioni provenienti dalla Cina … Oh beh, almeno sappiamo che i dati cinesi sono sempre pienamente affidabili … grazie a Dio. Basta non menzionare quel fastidioso laboratorio a Wuhan, o la ricerca sul guadagno di funzione. O praticamente qualsiasi altra cosa che emana dalla Cina, in verità.

Dall’altra parte c’erano…. Beh, non c’era proprio un altro lato, per così dire. Un gruppo di ricercatori ed epidemiologi che erano affascinati dai dati che arrivavano e da quello che se ne poteva dedurre. Erano persone come il professor John Ioannidis e il professor Carl Heneghan del Centre of Evidence Based Medicine di Oxford, e simili. (nota del traduttore: persone riconosciute come i più grandi esperti mondiali di epidemiologia.)

Ho solo guardato con interesse, all’inizio. Il mio pregiudizio è sempre stato quello di essere molto diffidente nei confronti di qualsiasi consenso di esperti che nasce. Questo perché sarà quasi sempre schiavo dei problemi inerenti al pensiero umano che cavalcano la ricerca disinteressata della verità. Soprattutto in una crisi.

Problemi come: pensiero di gruppo (groupthink), errore di conferma, pensiero veloce piuttosto che lento, deferenza verso gli ‘esperti’, il disperato bisogno di trovare ‘la risposta’ e attenersi ad essa, e simili. Sappiamo tutti cosa sono. Sono tutti entrati in gioco, come previsto.

Comunque, una domanda chiave qui era: come ha fatto la loro cifra dell’uno per cento a confrontarsi con l’influenza comune di tutti gli inverni? Questo è molto difficile da dire. Ho visto cifre dello 0,67% per l’epidemia di influenza del 1967. Ho visto molto meno. L’influenza spagnola, la madre di tutte le influenze, è stata stimata avere un IFR di circa il due o tre per cento.

Ma quanto possono essere accurate queste cifre? Nel documento che ho citato sopra, le stime dell’IFR per l’influenza suina (HIN1pdm09) andavano da meno di una morte, per centomila infezioni, a più di diecimila. Sì, da uno su centomila, fino al dieci per cento. Questo è ciò che gli scienziati chiamano…. “una gamma piuttosto ampia”.  Si potrebbe chiamare in altri modi.

Andando al sodo, la realtà è che, all’inizio dell’epidemia di COVID19 non avevamo idea di quale fosse l’IFR di un’epidemia di influenza grave, né conoscevamo l’IFR del COVID19. Si potrebbe pensare che questo avrebbe dovuto rendere qualsiasi confronto un po’ difficile.

Tuttavia, il consenso del mainstream si è rapidamente coalizzato intorno a due “fatti”.

Fatto 1: una grave influenza stagionale ha un IFR di circa un decimo dell’uno per cento. O, per dirla in un altro modo, un morto ogni mille infezioni.

Fatto 2: COVID19 ha un IFR di circa l’uno per cento. Il che significa che il COVID19 era dieci volte più letale. Questo, quindi, è diventato il nostro punto di partenza.

Cosa poteva significare tutto questo nel mondo reale?

Il Regno Unito ha una popolazione di sessantasette milioni di persone. Il che significa che se tutti fossero infettati, ci ritroveremmo con quasi esattamente due terzi di un milione di morti, ovvero circa 650mila decessi. Che è l’uno per cento dell’intera popolazione (n.d.t stime molto simili sono state fatte per l’Italia con 60 milioni di abitanti). La popolazione degli Stati Uniti è di trecentotrenta milioni, quindi ci sarebbero tre virgola tre milioni di morti

Ma aspettate un attimo. I modelli prevedevano anche che non tutti avrebbero preso il COVID19. La piena immunità di gregge sarebbe scattata una volta che circa l’ottanta per cento della popolazione – o giù di lì – fosse stata infettata. Questa, tra l’altro, era un’altra cosa che gli esperti sapevano fin dall’inizio. [Ma che dire delle mutazioni, e delle varianti, e delle reinfezioni vi sento piangere… Oh, zittitevi e basta].

Allora, l’idea era che l’epidemia di COVID19 si sarebbe conclusa quando l’ottanta per cento delle persone si fosse ammalato, forse un po’ meno. Ergo, la cifra complessiva dei morti sarebbe di circa cinquecentomila nel Regno Unito (n.d.t. anche in Italia si è parlato di “mezzo milione di morti” se l’epidemia fosse stata lasciata a se stessa), e poco più di due milioni negli Stati Uniti. O giù di lì.

Si tratta di un sacco di morti. Su tutta la popolazione mondiale: ~7,9 miliardi. Potremmo aspettarci quasi settanta milioni di morti.

Questa cifra dell’uno per cento, poi, è diventata la causa scatenante di tutto ciò che è seguito. Penso che sia la cifra della “giustificazione”. Fu usata per giustificare le chiusure e tutto ciò che le accompagnava. Qui, dopo tutto, c’era una malattia dieci volte più mortale di una brutta epidemia di influenza. Bisognava fare qualcosa, o milioni di persone moriranno.

Un’ulteriore complicazione

Naturalmente, le cose sono raramente così semplici. Anche se la cifra dell’uno per cento fosse vera, è essenziale fare una domanda successiva. Chi esattamente sta morendo?

L’età media della morte causata dall’influenza spagnola è stata stimata in ventotto anni. Sì, ventotto. [2 ]. L’età media della morte causata dal COVID19 è di circa ottantuno anni – nel Regno Unito (n.d.t. anche qui, i dati sono quasi identici a quelli per l’Italia). [3]

Credo che il fatto [e insolitamente questo fatto è quasi certamente vero] che il COVID19 uccide quasi esclusivamente gli anziani, e quasi sempre gli anziani che hanno molte altre comorbidità, doveva essere preso in considerazione. Ma non è stato così.

Invece di una malattia che può spazzare via persone giovani e sane di ventotto anni, avevamo per le mani una malattia che uccide principalmente coloro che sono vicini alla fine della loro vita. Bambini e giovani adulti, anche adulti di mezza età, anche quasi anziani, non sono stati colpiti quasi mai dal COVID19. Questo divenne noto molto presto.

Quali sono le cifre reali? Se si rivolge l’attenzione specificamente al Regno Unito, abbiamo avuto, al momento in cui scriviamo, circa centocinquantamila morti per COVID19 (n.d.t. – quasi uguale al caso italiano). Definiti come… quei decessi “con” COVID19 menzionato sul certificato di morte [qualunque cosa questo significhi in realtà – roba che puzza se vi ci avvicinate].

D’altra parte, il numero di persone sotto i sessant’anni, che sono morte di COVID19, senza altre malattie menzionate sul certificato di morte, è di cinquecentoquarantadue. Questo entro il 1° febbraio 2022. [4]

Si tratta di poco meno di uno al giorno durante l’epidemia. O, per metterla in un altro modo, il rischio di morire, per una persona sana (o almeno creduta sana – chi sa con certezza se lo è o no) sotto i sessant’anni è stato uno su 79131. [popolazione del Regno Unito sotto i 60, circa 43 milioni di persone) [5]

Questo rischio, tuttavia, è stato su quasi due anni. Quindi, il rischio annuale di morte per COVID19 per anni è 1:158263. Ovvero~ 0,0075% … per questa popolazione. Solo per dare un termine di paragone. Il rischio di morire per un incidente stradale nel Regno Unito, per anno, è circa otto volte superiore [6].

1 su 20.000 all’anno contro 1 su 160.000

Quindi, per più di due terzi della popolazione, il rischio di morire per COVID19 è stato dello 0,0075%. Invece dell’uno per cento… è stato sette millesimi dell’uno per cento.

Alcuni diranno che questo non ha importanza. Tutte le morti hanno la stessa importanza, non possiamo discriminare in base all’età, alla malattia, ecc. In questo caso, prendendo la popolazione britannica nel suo complesso, abbiamo avuto 158.000 morti con COVID19 menzionato sul certificato di morte. Questo rappresenta un rischio totale di morte di 1 su 424. O ~ 0,25%.

Ancora una volta, questo è stato su due anni, quindi il rischio totale di morte, per anno [che è il modo in cui il rischio è normalmente presentato] è stato 1 su 848, o ~ 0,125% all’anno. Che, come avrete notato, è circa sette volte meno dell’uno per cento.

Stranamente, con COVID19, non abbiamo smesso di contare alla fine di un anno, per poi ricominciare. Abbiamo semplicemente continuato ad aggiungere le cifre anno dopo anno – e continueremo a farlo? Abbiamo anche continuato ad aggiungere persone che sono state infettate più di una volta… Un conteggio doppio, triplo, anzi quadruplo.

Se continuiamo a fare in questo modo, l’IFR del COVID19 alla fine raggiungerà il valore di uno. Non l’uno per cento, ma uno. Come dire che l’intera popolazione del mondo finirà per morire di COVID19. Anche se, allo 0,125% all’anno, questo, come avrete capito da soli, richiederà circa settecento anni. Potreste farvi una dormitina mentre ci riflettete sopra.

Naturalmente, le cifre approssimative che ho calcolato sopra non rappresentano il tasso di mortalità da infezione. Invece, rappresentano il tasso di mortalità della popolazione (PFR) cioè, dimenticando l’IFR e il CFR, quante persone, in totale, sono effettivamente morte. La mortalità della popolazione deve essere significativamente più bassa del tasso di mortalità dell’infezione perché non tutti sono stati infettati… o lo sono stati?

Louis Pasteur (1822-1895) e Claude Bernard (1813-1878)

Il terreno è tutto?

Dobbiamo ora avventurarci in un altro strato di complicazioni. Sì, questa cipolla ha molti strati. La maggior parte dei quali, sarete felici di sapere, non ho intenzione di considerare, altrimenti questo blog diventa un libro. Ma il prossimo strato è critico.

Cosa significa effettivamente essere ‘infetti’, e siamo in grado di determinarlo?

A rischio di una terribile eccessiva semplificazione, storicamente ci sono due campi nel mondo delle malattie infettive.

  • Campo uno: il microbo è tutto (la teoria dei germi).
  • Campo due: il terreno è tutto (La teoria del terreno).

Il campo uno crede che se si è esposti a un agente infettivo si diventa inevitabilmente ‘infetti’. Poi inevitabilmente soffrirai (almeno alcuni) sintomi dell’infezione. Diventerai malato – forse molto malato – e potresti anche morire. È la teoria dei germi. La gravità della malattia dipende quasi interamente dalla ‘carica virale’ che si incontra.

Il campo due afferma che il ‘terreno’ del corpo umano è molto più importante. Siamo circondati da microorganismi e li ospitiamo nel nostro corpo. Quando siamo esposti ai ‘germi’ patogeni, ci ammaliamo se le nostre difese sono indebolite da carenze o tossicità. Il germe in sé è praticamente irrilevante.

Questa è la teoria del ‘terreno’. Significa che molte/maggior parte delle persone possono non essere affatto ‘infettate’. O che non se ne accorgono nemmeno – semplicemente si scrollano l’infezione di dosso.

Storicamente, i due campi erano guidati da Louis ‘il germe’ Pasteur e Claude ‘il terreno’ Bernard. Si dice che, sul suo letto di morte Pasteur abbia ammesso. “Bernard aveva ragione, l’agente patogeno non è niente, il terreno è tutto”.

Beh, sì e no. È difficile soffrire dei sintomi di una malattia se non si è mai esposti al germe. Il che significa che l’agente patogeno è chiaramente qualcosa, non niente. Ma… ma facciamo un errore più grande se pensiamo che tutti rispondano allo stesso modo a un germe. Un presupposto su cui si è basata la nostra risposta.

Forse non lo pensate, ma il pensiero che sta dietro a tutte le azioni intraprese è che il COVID19 “infetterà” inevitabilmente chiunque entri in contatto con esso. Si diffonderà da persona a persona in modo prevedibile, causerà malattie in tutti, e così via. In effetti, quindi, abbiamo agito come se il terreno avesse davvero importanza zero. Ne conseguiva che dovevamo fare tutto il possibile per ridurre il contatto, per ridurre la morbilità e la mortalità. In sostanza, il microbo è tutto.

L’ipotesi successiva, che segue a questa, è che coloro che non hanno dimostrato alcun segno di sintomi semplicemente non sono stati esposti, o non sono stati esposti a una “carica virale” sufficiente.

Personalmente, lo trovo impossibile da credere. Mia figlia, un giovane medico che ha contratto la COVID19 lavorando in un reparto COVID in Galles, è stata a casa nostra, ha sofferto di anosmia (n.d.t. perdita del senso dell’olfatto) ed è stata diagnosticata con COVID19 – con un test PCR, niente meno. Nessun altro di noi ha avuto quel sintomo.

A un certo punto durante i primi due mesi dell’epidemia, nel maggio 2020 per essere precisi, ero in piedi accanto a due infermiere non mascherate in una piccola stanza di trattamento (non ci era permesso indossare maschere in quel periodo) che stavano entrambe tossendomi ripetutamente in faccia. Ad entrambe fu diagnosticata la COVID19 il giorno dopo e si ammalarono.

Ogni giorno lavorativo per sei mesi, andai nelle case di cura e in un centro di cure intermedie. Durante questo periodo, trentasei pazienti sono morti di – probabilmente – COVID19. Tutti loro li ho visitati ed esaminati almeno una volta. Tuttavia, non mi sono infettato, e non l’ho mai fatto. Non ho nemmeno mostrato anticorpi – in un test nell’autunno 2020.

Se qualcuno cerca di dirmi che non sono stato esposto al virus, o che non sono stato esposto a una carica virale sufficiente per causare l’infezione, posso solo ridere. Mi ritengo parte di una élite dei lavoratori “più esposti al virus SARS-Cov2 nel mondo”. Per almeno due mesi ho lavorato senza alcun DPI (dispositivo personale di prevenzione). Circondato da personale e pazienti – molti dei quali sono morti di COVID19 [nessun membro dello staff, solo pazienti].

Se non sono stato infettato, e ufficialmente non lo sono stato, si pone la domanda. Cosa significa esattamente “infetto”? Parlo come qualcuno che ha dovuto fare sette iniezioni di epatite B prima di essere in grado di ottenere una risposta anticorpale debole e piuttosto transitoria. Un amico e collega ha avuto, se la memoria non mi inganna, più di trenta vaccinazioni contro l’epatite B e non ha mai mostrato una minima risposta anticorpale.

Cosa significa questo, a sua volta? Che nessuno di noi ha alcuna immunità all’epatite B? Che i test degli anticorpi sono irrimediabilmente errati. Che “l’immunità” esiste in modi che non abbiamo idea di come misurare – questa è la mia opinione attuale.

Guardando più specificamente al COVID19, cosa succede se qualcuno viene trovato infetto, come parte dei test di routine, ma non ha sintomi e non produce anticorpi. Si può affermare che è stato “infettato”?

Potreste voler dare un’occhiata a ‘The Flawed Science of Antibody Testing for SARS-CoV-2 Immunity’. [7]

Cita questa dichiarazione della FDA

… i risultati dei test sugli anticorpi della SARS-CoV-2 attualmente autorizzati non dovrebbero essere usati per valutare il livello di immunità o di protezione da COVID-19 di una persona in qualsiasi momento, e specialmente dopo che la persona ha ricevuto una vaccinazione COVID-19″.

Quindi, i test degli anticorpi non possono dirci se una persona è stata infettata, o effettivamente vaccinata, né se è immune alla SARS-Cov2. Fate girare questa idea nella vostra testa per un po’. Poi vedete quale risposta ne viene fuori.

Un piccolo studio ha inoltre suggerito che se ti è stato diagnosticato il [test positivo per] COVID19, ma non hai avuto sintomi, c’era il 92% di probabilità che non avresti mostrato alcuna risposta immunitaria misurabile dopo l’infezione. [8]

Queste persone, con un test positivo, ma senza sintomi e senza anticorpi, erano chiaramente ‘infette’ – avevano un test positivo dopo tutto [un’altra roba che puzza]. Tuttavia, queste persone devono rappresentare la popolazione più immune di tutte. COVID19 li ha colpiti ma è stato semplicemente scrollato via. Lasciando dietro di sé nessun segno che sia mai stato lì.

Prima che mi lanci in un altro centinaio di complicazioni e problemi collaterali – tutti affascinanti di per sé – cercherò di evidenziare un fatto immutabile.

Non abbiamo idea di quante persone siano state infettate dalla SARS-Cov2, principalmente perché non abbiamo idea di quante persone siano state “infettate” senza dimostrare alcun segno di contatto con il virus (a meno che non siano state casualmente testate in quel momento). Persone come, per cogliere un esempio dall’aria … io!

Ne consegue, quindi, che non possiamo sapere quale potrebbe essere il tasso IFR. Tutto quello che abbiamo in mano davvero per andare avanti (per tutta la sua ulteriore miriade di difetti) è il tasso di mortalità della popolazione. Vale a dire, quante persone sono effettivamente morte di COVID19.

Alla fine, questa è la cifra chiave. Quella che conta [anche se ho seri dubbi su come viene creata questa cifra].

Finora, in tutto il mondo, in un periodo di quasi due anni, abbiamo avuto ufficialmente cinque milioni e sette di morti per COVID19.

La popolazione totale del mondo è di sette virgola nove miliardi. Pertanto:

  • Il tasso di mortalità totale della popolazione è dello 0,072%.
  • Il tasso di mortalità totale della popolazione per anno è 0,036%.

Questo è molto, molto lontano dall’IFR dell’uno per cento. Infatti, per anno, è circa tredici volte meno.

È possibile che sia perché solo un tredicesimo della popolazione mondiale è stato infettato? Questo è straordinariamente improbabile. Il recente studio REACT nel Regno Unito ha scoperto che il 65% delle persone infettate dalla variante Omicron nel gennaio 2022 aveva già ricevuto una diagnosi di COVID-19. [9]

Un altro sette per cento aveva sintomi fortemente indicativi di una precedente infezione, ma non aveva fatto un test di conferma all’epoca. Ergo, quasi tre quarti di coloro che hanno contratto COVID19 nel gennaio 2022 erano stati infettati in precedenza.

Gli autori stanno ora cercando di fare marcia indietro rispetto a questa scoperta. Perché? Perché, se è corretto che la stragrande maggioranza delle persone infettate rappresentano delle reinfezioni, significa che il tasso di infezione deve essere estremamente alto, molto più alto di quanto chiunque ammetta.

Ne consegue anche che l’esposizione e la trasmissione sono estremamente alte. Questo, a sua volta, significa che l’IFR è significativamente più basso di quanto chiunque ammetta – o possa ammettere.

Non è una sorpresa quindi scoprire che coloro che gestiscono lo studio REACT hanno sede all’Imperial College di Londra. Che è il luogo da cui provengono tutte le stime originali dell’IFR. Il covo di Neil Ferguson e altri. L’ideatore dei numeri che hanno “giustificato” tutto quello che è stato fatto. Quelli che ora stanno facendo di tutto per suggerire che il numero di persone che sono state infettate dal COVID19 rimane basso.

Ancora più significativo, anche se questo è meno facile da confermare, abbiamo casi di persone con tre, o addirittura quattro, infezioni. Come si può essere infettati quattro volte, quando le persone intorno a loro non sono state infettate nemmeno una volta? Stanno ballando nudi intorno a un palo, respirando profondamente da un altoparlante rovesciato in un reparto di COVID19?

No, non lo sono. La spiegazione è che quelli che vengono re-infettati sono quelli che non sono in grado di scrollarsi semplicemente di dosso il COVID19, per qualsiasi motivo. Il loro terreno era diverso. Il che significa che probabilmente continueranno ad essere infettati man mano che appariranno nuove varianti. Si spera in versioni sempre più blande.

D’altra parte, se guardiamo a quegli individui che non mostrano alcuna prova di infezione – quelli che non hanno mai sofferto sintomi e non hanno sviluppato anticorpi – non è che non sono mai stati esposti, o “infettati”. È che hanno difese più robuste. Come sosteneva Claude Bernard, la cosa più importante qui non è il germe, ma il terreno. Lo è sempre stato e sempre lo sarà.

Come avrete capito, sono convinto che siamo stati tutti esposti e ‘infettati’ da COVID19, probabilmente tutti entro il primo anno [anche se non so come si determina l’essere infettati]. Il che significa, a sua volta, che il PFR e l’IFR – dopo due anni di diffusione del virus – saranno molto simili.

Posso provarlo? No. Se un gran numero di persone non sviluppa alcun sintomo, e non c’è nessun test usato che possa determinare accuratamente l’infezione/esposizione, non posso assolutamente provarlo. Allo stesso modo, nessuno può provare nulla nella direzione opposta.

Un piccolo indizio, tuttavia, è che tre quarti di coloro che sono stati trovati infetti erano stati infettati in precedenza. Questo potrebbe essere successo solo se erano stati esposti ripetutamente a una “carica virale” sufficiente per ottenere il COVID19. E se l’hanno fatto, l’hanno fatto anche tutti gli altri.

Naturalmente, se non possiamo definire con precisione cosa intendiamo per ‘infetto’, nessuna previsione può essere giusta. A sua volta, questo significa che abbiamo scommesso la casa su una misura così profondamente difettosa da essere virtualmente priva di significato.

Un forte indizio che è stato più ampiamente riconosciuto come privo di significato, è che non esiste più. Come mai, vi sento gridare? Beh, è stato decretato abbastanza presto che ogni test COVID19 positivo rappresenta un “caso” di COVID19. Qualcosa che è sfuggito, senza che nessuno se ne accorgesse.

È un fenomeno mondiale, ma il testo qui sotto è tratto da una conferenza stampa dell’NHS, usando i dati di coronavirus.data.gov.uk. La parte in grassetto è più importante.

Numero di casi giornalieri, Regno Unito:

Numero di persone che hanno avuto almeno un risultato positivo al test COVID-19, riferito in laboratorio o con dispositivo a flusso laterale (solo Inghilterra), per data riportata – la data in cui il caso è stato incluso per la prima volta nei totali pubblicati. I casi di COVID-19 vengono identificati prelevando campioni da persone e testandoli per la presenza del virus SARS-CoV-2. Se il test è positivo, si definisce come un caso. [10]

Una volta che questo è successo, qualsiasi confronto storico degli IFR, o CFR, è diventato impossibile. Se tutti coloro che sono infetti sono anche un “caso”, allora tutti sono un I/C, (infetto/caso). Non c’è più un IFR. Né può esistere un CFR. C’è una combinazione I/CFR.

Questo, a sua volta, significa che il tasso IFR è stato aumentato artificialmente. I tassi di mortalità per caso saranno sempre più alti degli IFR [le persone che si ammalano visibilmente di una malattia hanno sempre più probabilità di morire per la malattia, rispetto a quelle che non hanno sintomi].

Aggiungeteli insieme e l’IFR salta in alto. O almeno lo fa se nessuno si accorge che si passa dall’IFR al CFR e viceversa, e si continua a parlare dell’IFR come se fosse la stessa cosa. Oh, i trucchi che si fanno per gonfiare l’IFR e “provare” che gli esperti hanno sempre avuto ragione.

Nonostante sia ormai privo di qualsiasi significato, l’uno per cento dell’IFR per il COVID19 rimane il dato più ferocemente custodito di tutti. Osate affermare che l’IFR è significativamente più basso della cifra dell’uno per cento e i temuti distruttori dell’umana sanità mentale, scusate i fact-checkers, ti arrivano addosso in picchiata.

Ti attaccheranno, le tue abitudini personali, la tua professionalità, le tue motivazioni, la tua chiara posizione di ‘no-vax’, il fatto che non sei un vero esperto – e qualsiasi altra cosa che possono pensare per denigrarti e umiliarti personalmente.

Non accetteranno nessun argomento, nessuna discussione. Si stabilirà che avete semplicemente torto, sicuramente siete stupidi, incapaci di capire la scienza e probabilmente al soldo di qualche cabala malvagia o altro. È alquanto irritante. Voglio discutere di scienza, se non di ‘LA SCIENZA’. Mi vogliono schiacciare e mettere a tacere.

Dr. Malcolm Kendrick

Fine dei pensieri

Ne sappiamo molto meno sulle infezioni di quanto ci piaccia pensare. Al momento stiamo semplicemente grattando la superficie. È tutto estremamente complesso. Se siete disposti a farlo, potreste voler leggere questo documento. Patogenesi di COVID-19 descritta attraverso la lente di un glicocalice epiteliale ed endoteliale sotto-solfatato e degradato. ” [11]

Questo articolo rappresenta una discussione mostruosamente complessa del ‘terreno’. Vale a dire, perché alcune persone si scrollano di dosso la COVID19, mentre altre possono ammalarsi così gravemente da morire?

Secondo questo documento, non ha nulla a che fare con le cose che pensiamo come parte della classica “risposta immunitaria”. Cellule T, cellule B, citochine, anticorpi e simili. Ha quasi interamente a che fare con la capacità delle cellule del nostro corpo di impedire l’ingresso del virus.

Mantenendo le cose il più semplice possibile, se il COVID19 (o altri virus) non può entrare in una cellula endoteliale – o trova molto difficile farlo – perché il glicocalice [n.d.t. il glicocalice è lo strato che riveste il tessuto endoteliale, ovvero lo strato cellulare che riveste i vasi sanguigni] è sano e robusto, allora la SARS-Cov2 semplicemente rimbalza via, e voi non sarete seriamente ‘infettati’. Sì, vi “scrollerete di dosso” il virus. Può entrare nel vostro flusso sanguigno, ma è il massimo a cui può arrivare.

Voglio dire, sono sempre stato consapevole dell’importanza dell’entrata nelle cellule nelle malattie virali. Sia l’HIV che il virus Ebola entrano in una cellula dirottando una proteina chiamata CCR5 attaccata alle membrane cellulari. Ci sono alcune persone che hanno una cosa chiamata mutazione CCR5delta32. Se hai questa mutazione, significa che l’HIV e l’Ebola non possono attaccarsi alla proteina. Nessuno dei due virus può quindi entrare nella cellula e l'”infezione” non può avvenire. Il terreno è tutto.

Qualcuno di quelli del SAGE, o di Fauci, o di Ferguson, o del CDC ha prestato attenzione a queste cose? Sarei molto sorpreso se qualcuno di loro avesse anche solo sentito parlare del glicocalice (n.d.t, sarebbe interessante chiederlo anche ai nostri virologi televisivi!). Un perfetto esempio dell’effetto Dunning-Kruger*, mi sembra.

Eppure, nonostante la loro stupefacente ignoranza su queste cose, alcuni individui e organizzazioni hanno preso le redini della narrativa epidemica per convincere quelli al potere che avevano la risposta.

La “risposta” secondo loro era che il COVID19 ha un IFR dell’uno per cento, che è almeno dieci volte quello di una grave epidemia di influenza. Allora, dato che il “germe” è ovviamente tutto, l’unico modo per prevenire centinaia di migliaia, o milioni, di morti era l’isolamento, l’uso di maschere, il controllo della società e simili.

Dobbiamo fermare la diffusione, gridava la brigata “il germe è tutto”. Anche se, con un tasso di reinfezione del 75%, è difficile sostenere che siamo riusciti a fare qualcosa del genere.

Se questa cifra IFR è stata grossolanamente gonfiata, cosa che certamente sembra essere il caso, allora tutto ciò che abbiamo fatto è stato creare un danno incalcolabile – senza alcuna buona ragione. Vi lascio con un post che ho pubblicato recentemente in un gruppo WhatsApp. Seguiva uno studio di John Hopkins che stimava che le chiusure di COVID19 riducevano le morti solo dello 0,2%. [Uno studio che sarà attaccato senza pietà, senza dubbio]. [12]

‘Il lockdown ha funzionato? No, la differenza che ha fatto è stata marginale, nel migliore dei casi. I modelli su cui ci siamo basati erano accurati? No, erano dannatamente inutili. I vaccini sono sicuri ed efficaci? – La giuria deve ancora esprimersi. C’è qualcosa che è stato fatto che sia giustificabile dall’evidenza, nella misura in cui ci si può fidare. Sembra di no. Quello che sicuramente abbiamo fatto è stato mandare a pezzi l’economia, accumulare un enorme debito sull’economia del Regno Unito. creare un enorme arretrato di lavoro per il NHS (national health service). Non riuscire a diagnosticare e trattare centinaia di migliaia di casi di cancro e simili e creare uno tsunami di problemi di salute mentale. Abbiamo anche calpestato diritti umani incredibilmente importanti, che hanno impiegato secoli per prendere piede e crescere. Secondo me, quasi tutto quello che è stato fatto ha causato più danni che benefici. Qual è la controargomentazione? Se non avessimo fatto tutte queste cose, sarebbe stato molto peggio. Le prove a sostegno di questa posizione sono tristemente carenti”.

Dr. Malcolm Kendrick

Traduzione a cura del Prof. Ugo Bardi per The Unconditional Blog

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Note:

*L’effetto Dunning-Kruger è, in psicologia, un bias cognitivo per cui le persone con una conoscenza o competenza limitata in un dato dominio intellettuale o sociale sopravvalutano notevolmente la propria conoscenza o competenza in quel dominio rispetto a criteri oggettivi o alle prestazioni dei loro pari o delle persone in generale.

1: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3809029/

2: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3734171/

3: https://www.ons.gov.uk/aboutus/transparencyandgovernance/freedomofinformationfoi/averageageofthosewhohaddiedwithCOVID19

4: https://www.ons.gov.uk/aboutus/transparencyandgovernance/freedomofinformationfoi/deathsofthoseunder60fromCOVID19withnocomorbiditiesandmortalityratesin2020

5: https://www.statista.com/statistics/281208/population-of-the-england-by-age-group/

6: http://www.bandolier.org.uk/booth/Risk/trasnsportpop.html#:~:text=Mentre%20il%20rischio%20di%20morire,%20è%201%20in%20240.

7: https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2785530

8: https://www.ox.ac.uk/news/2021-06-18-latest-data-immune-response-COVID-19-reinforces-need-vaccination-says-oxford-led

9: https://www.beckershospitalreview.com/public-health/two-thirds-of-omicron-cases-are-reinfections-uk-study-suggests.html

10: https://assets.publishing.service.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/1041270/2021-12-15_COVID-19_Press_Conference_Slides_PUBLICATION.pptx.pdf

11: https://doi.org/10.1096/fj.202101100RR

12: https://www.sciencemediacentre.org/expert-reaction-to-a-preprint-looking-at-the-impact-of-lockdowns-as-posted-on-the-john-hopkins-krieger-school-of-arts-and-sciences-website/

Illustrazione di copertina: Eleni Debo

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