Apartheid a furor di popolo
Nella lettera aperta sulle drammatiche implicazioni del green pass per i più giovani, che ho scritto con gli scrittori Giovanni Agnoloni ed Enrico Macioci, parlavamo anche degli effetti devastanti di uno hate speech di Stato che dilaga, alzando sempre di più il tiro, senza argine.
Parlavamo di una “comunicazione mediatica – anche per bocca di influenti persone di scienza, purtroppo – e perfino istituzionale, drammaticamente irresponsabile, che non di rado evoca a parole (e suscita nel mondo reale) conclamate situazioni di illegalità. Disumanizzare le persone non vaccinate paragonandole ai topi, definendole “vigliacchi”, “traditori”, “disertori”; auspicare che ai malati non vaccinati vengano fatte pagare le cure (insinuando forse che qualora non se lo potessero permettere dovrebbero essere lasciati privi di assistenza medica?), o che vengano esclusi dal servizio sanitario nazionale; tollerare interpretazioni indefinitamente estensive e “creative” delle interdizioni in varie attività sociali e contesti lavorativi non previsti nel decreto; criminalizzare una scelta che – va ribadito – è consentita dalle norme nazionali e tutelata da quelle internazionali, con esplicito divieto di qualunque forma di discriminazione: tutto questo sta determinando un drammatico dissesto sociale, con un clima da caccia alle streghe che coinvolge allo stesso modo adulti e minorenni.”
Aggiungevamo:
“Siamo professionisti della parola, conosciamo il potere del linguaggio. Sappiamo che lo hate speech nasce da una forma mentis, ma allo stesso tempo “crea” forma mentis, la diffonde, e può condurre alla tragedia. È per questo motivo che lo hate speech viene combattuto in tutti i contesti sociali, mediatici e politici, chiunque sia a pronunciarlo e contro chiunque sia rivolto. Eppure pochissimi condannano questo specifico hate speech.
Le emozioni che questo discorso di odio smuove ci fanno temere che, qualora la campagna vaccinale si dovesse rivelare per i più diversi motivi non all’altezza delle aspettative di cui è stata rivestita (“ne usciremo solo grazie ai vaccini, e solo grazie ai vaccini, e solo se ci vacciniamo tutti”), la frustrazione di massa si possa tradurre in una reazione di violenza incontrollata contro i capri espiatori che già sono stati designati attraverso un costrutto culturale “impeccabile”: i non vaccinati, già anticipatamente disumanizzati e degradati al livello di “non persone”, individui indegni, che sfuggono a un dovere morale.
Se questa ondata di violenza si dovesse verificare, dobbiamo sapere che si abbatterà anche su una parte della popolazione infantile e minorile, dodicenni, quindicenni, con esiti moralmente, psicologicamente e socialmente catastrofici.”
La lettera è stata pubblicata il 2 settembre dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, poi è stata inviata al Governo, al Ministro dell’Istruzione e al suo consulente, alla Garante per l’infanzia e l’adolescenza, ai presidenti di Unicef e Telefono azzurro.
Dopo la pubblicazione abbiamo assistito a una escalation di violenza senza precedenti, esattamente quella che avevamo paventato, che non accenna a fermarsi e non osiamo pensare dove potrà arrivare.
I media hanno riportato notizie – e non per condannare i fatti, ma casomai usando un lessico che tende a presentarli come fatti normali, giustificabili, se non encomiabili – di avvocati che si rifiutano di prendere in carico le istanze di persone non vaccinate, di genitori che invocano la segregazione degli studenti non vaccinati in classi separate.
Abbiamo assistito alla brutalizzazione corale di accademici e docenti universitari che hanno preso esplicita posizione contro il green pass nelle università – magari ricordando, come ha fatto il professore di Diritto dell’università di Verona Carlo Lottieri, a cui va la mia solidarietà, che le università italiane sono le uniche a differenziare in questo modo accessi e opportunità, e che l’università deve essere luogo di confronto, accessibile a tutti. Contro gli 800 docenti universitari firmatari dell’appello contro il passaporto nell’università (Alessandro Barbero è soltanto il più mediatico) si è scatenata una reazione corale, impregnata del compiacimento sarcastico tipico del branco che si lancia a denigrare la vittima designata. Il branco. Vi ricordate quando si diceva branco e si pensava al fascismo?
Oggi si deridono Agamben e Cacciari, ci si danno gomitate di scherno descrivendo Barbero come un mito caduto (un mito?), pensando di essere liberali. Magari antifascisti.
Questo mentre il governo britannico annuncia che in UK non sarà applicato alcun green pass. (E lì per green pass intendono un filtro all’ingresso dei grandi eventi: non certo delle scuole, delle università, dei teatri, dei musei, delle palestre, dei bar). Ma “Il Regno Unito vanta dalla sua una delle più alte percentuali di vaccinati”, ci ricorda un corrispondente di Repubblica riportando la notizia. Quindi evidentemente può permetterselo, di non applicare il “green pass”. Basta googlare per scoprire che il tasso di vaccinazione in UK è sostanzialmente identico al nostro. Solo che lì hanno 5 o 6 volte i nostri contagi.
E mentre in Danimarca, arrivati al 70% di popolazione vaccinata con il ciclo completo – noi ci arriveremo tra un paio di settimane con le seconde dosi – dichiarano finita l’emergenza e passano alla fase della convivenza con il virus senza più alcuna restrizione sociale, e senza sognarsi di dare la caccia a quel pur corposo 30% di popolazione non vaccinata, o di fargliela pagare, o di segregare quelle persone in quanto “non degne di frequentare i luoghi pubblici” (Eugenio Giani).
Avendo interiorizzato una perversa e distopica ideologia del rischio zero, ci siamo spinti oltre molti punti di non ritorno. Abbiamo lasciato che dalle nostre paure si scatenassero le forze del male. La cosa pubblica è in balia di ombre e fantasmi.
Eppure, con uno sforzo immane di immaginazione, dobbiamo trovare il modo di tornare indietro. A qualunque costo.
Militanza Del Fiore / Illustrazione di copertina: Dan Bejar