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Bauman, “Modernità e olocausto”: l’ossessione della persecuzione socio-igienica

Quando il discorso pubblico si fa soffocante è bene riprendere in mano libri che possono ridare ossigeno di argomenti alla ragione. Modernità e olocausto di Zygmunt Bauman è un saggio magistrale (1989) che spiega perché il genocidio non è un fenomeno esclusivamente moderno ma specialmente moderno.

L’Olocausto ebraico, analizza l’autore, è stato caratterizzato da diverse unicità e al contempo ha presentato elementi comuni con altre persecuzioni. Tra i punti irripetibili naturalmente la complessa integrazione del popolo ebraico nel tessuto sociale tedesco, la concezione religiosa, economica e sociale del popolo dell’Antico Testamento.

Ma veniamo subito al punto che ci interessa e che ci fa tremare le vene e i polsi oggi. Intendiamoci, chi scrive non sta affermando che sia in atto un genocidio, ma prova a riflettere sulle parole del sociologo e filosofo polacco, il quale ci avvertì sulle condizioni latenti del suo potenziale ripetersi.

L’olocausto infatti non è stato un’anomalia della modernità come si tende a credere, ma un prodotto coerente di essa stessa, afferma il professore.

L’olocausto fu il prodotto dell’apparente azione civilizzatrice della modernità, della sua fallita auto-apologia, del presunto trionfo della razionalità sulla barbarie.

Il celebre accademico ha il coraggio di dirci che l’esperienza dell’inferno in terra non ci ha insegnato nulla perché le dinamiche della società e dell’organizzazione moderna dello stato non sono mutate, anzi il pericolo di un olocausto è ancora presente.

“L’immagine popolare della società civilizzata è quella in cui, prima di ogni altra cosa, è assente la violenza: l’immagine di una società moderata, mite, conciliante. La più significativa espressione simbolica di questa immagine dominante della civilizzazione è forse la sacralità del corpo umano: l’attenzione con cui si cerca di non invadere il più privato degli spazi, di evitare il contatto corporeo, di rispettare le distanze fisiche culturalmente prescritte (…). la proibizione culturale dei contatti troppo ravvicinati con un altro corpo funziona pertanto da efficace salvaguardia contro influenze contingenti e diffuse che potrebbero, se consentite, opporsi allo schema di ordine sociale centralmente amministrato. (…) In ultima analisi, il carattere complessivamente non violento della civiltà moderna è un’illusione”[1].

La modernità è carica di paradossi: il corpo diventa inaccessibile tra cittadini, tra “pari”, mentre deve essere completamente disponibile e rimesso al potere. Siamo certi che non ci sia alcuna analogia neppure teorico-filosofica con l’introduzione del distanziamento fisico prima, divieti sanzioni e autocertificazioni poi, e ancora pass e documenti che autorizzano al movimento e all’associazione dei cittadini solo previo controllo igienico o intervento vaccinale-genetico (come si può leggere nel consenso informato) sul nostro organismo?

Bauman illustra il mito moderno del giardiniere che ha il compito di mantenere la società pulita da erbacce, compito che oggi si è presto tradotto nell’ideale di una società non contaminata dal contagio.

“La modernità è un’epoca di ordine artificiale e di grandi progetti sociali, l’era dei pianificatori, dei portatori di una visione del mondo fortemente strutturata, e più in generale dei giardinieri, che considerano la società come un appezzamento di terreno vergine il cui assetto deve essere accuratamente progettato in modo che le coltivazioni e le manipolazioni successive si attengano alla forma progettata. Non esistono limiti all’ambizione e alla fiducia in se stessi. In effetti, attraverso le lenti del potere moderno il genere umano appare così onnipotente e i suoi singoli membri così incompleti, inetti e remissivi e così bisognosi di perfezionamento, che trattare le persone come come piante da potare (o se necessario da sradicare) o come bestiame da allevare, non sembra bizzarro o moralmente odioso”[2].

Al ruolo della scienza e degli scienziati, l’autore dedica diverse pagine dei suoi capitoli:

“Robert Proctor smentisce il mito ampiamente condiviso della scienza come prima e principale vittima della persecuzione nazista. (…) Alla luce dell’accurata ricerca condotta da Proctor tale opinione risulta sottovalutare fortemente la misura in cui le iniziative politiche furono partorite dalla comunità scientifica stessa piuttosto che imposte dall’esterno a scienziati riluttanti ma arrendevoli, nonché la misura in cui la politica razziale fu avviata e gestita da scienziati bene noti e in possesso di credenziali accademiche impeccabili”[3].

L’autore spiega che le condizioni che possono portare ad un nuovo olocausto sono la disumanizzazione delle persone attraverso la burocratizzazione del controllo corporeo, la deresponsabilizzazione degli esecutori (scudo penale per medici vaccinatori ci dice niente?), la  persecuzione ideologico-medica che si realizza tramite la tecnica e la tecnologia, l’applicazione e la propaganda dello stato di emergenza[4] che si avvale del carisma e del ruolo sia diretto che indiretto della scienza.

Tale persecuzione sistematica avvenne sotto il silenzio di tutte le chiese (anche perché il culto è riservato alla scienza), aggiunge Bauman, per mezzo del progressivo indebolimento e crollo della democrazia che purtroppo riuscì perché le vittime furono “ingannate da una società apparentemente pacifica e umana, legalistica e ordinata, ma il loro stesso senso di sicurezza divenne un fattore decisivo della loro caduta”[5].

“Assecondando l’attenzione per l’igiene da parte della civiltà moderna, furono alimentate le paure e le fobie generalmente suscitate dai parassiti e dai batteri, e fu chiamata in causa l’ossessione dell’uomo moderno per la salute e la pulizia. L’ebraismo fu rappresentato come una malattia contagiosa; i suoi portatori come una specie di bacilli del tifo. I rapporti con gli ebrei erano gravidi di rischi”[6].

Oggi naturalmente non è stato ghettizzato un gruppo sociale o etnico ma la categoria degli “asintomatici” (ancora tutta da chiarire) permette di estendere universalmente il terrore dell’altro, elevando tale emozione a dovere sanitario e a coscienza civile.

E intanto coloro che non sono stati somministrati i sieri mRNA non possono accedere a “treni Covid free” o alle “isole Covid free”. Dov’è allora il confine tra tutela della salute pubblica e discriminazione sanitaria?

Come non notare alcune impressionanti analogie con il nuovo assetto autoritario in forma medicalizzata, nella riorganizzazione coercitiva e capillare della vita politica, sociale, lavorativa, economica, scolastica, bio-psichica imposta con la pandemia da Covid-19?

Ci sono libri che possono insegnarci la Storia per illuminarci la strada e forse anche salvarci la vita, come Modernità e olocausto di Zygmunt Bauman.

Giulia Bertotto

Illustrazione di copertina: Pawel Jonca

Fonte: I Fatti Capitali

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