Cultura

Bava Beccaris e la Strage di Milano

Corsi e ricorsi della Storia

Nel 1870 nell’Italia unita, si stabilì per regolamento che chiunque portasse a Milano più di mezzo chilo di pane, dovesse pagare un dazio. Quando nel 1886 si decise di applicare questo provvedimento, scoppiarono le rivolte degli operai che erano soliti portare con sé, al lavoro, un chilo di pane per accompagnarlo al riso che era di sostentamento per tutta la giornata.

Le proteste in Piazza del Duomo, durante le quali ci furono diversi arresti fra i manifestanti, raggiunsero lo scopo di convincere il Consiglio Comunale di ritirare questo balzello, ma nel 1897 la scarsità del raccolto provocò l’impennata del prezzo del pane, che gravato del dazio sull’importazione del grano, diventò proibitivo per la popolazione meno abbiente, che scese in piazza a protestare. I partiti dell’opposizione invitarono il popolo ad astenersi da ogni tipo di violenza, ma, quando il popolo ha fame, diventa incontenibile, ed il Prefetto, preoccupato, proibì ogni riunione pubblica.

Il governo dette un contentino ai manifestanti ed abolì il dazio per un breve periodo, ma il prezzo poi tornò alle stelle, ed il malcontento crebbe e raggiunse livelli inimmaginabili quando il 4 maggio del 1898, da un giorno all’altro, si chiamarono alle armi gli uomini, lasciando così, da un giorno all’altro, le famiglie senza l’unico membro che portava a casa il pane.

Il 7 maggio cominciarono gli scontri fra la cavalleria ed i manifestanti e questi ultimi riportarono diversi morti e feriti, ed il Prefetto, vista la mala parata, affidò al Generale Fiorenzo Bava Beccaris il comando per ristabilire l’ordine pubblico. Domenica 8 maggio cominciarono le prime schermaglie e caddero diversi manifestanti, che però, noncuranti del pericolo, continuarono a resistere e ad opporsi all’esercito.

Nel pomeriggio si usarono i cannoni sulla folla e alle 17.40 il generale comunicò a Roma che l’ordine era stato ristabilito. Non era così: il giorno dopo i tumulti continuarono e furono ancora repressi nel sangue.

I soldati spararono su innocenti passanti e su persone semplicemente affacciate alle finestre: alla fine si conteranno 81 vittime e 450 feriti fra i civili.

Milano fu posta sotto stato d’assedio e fra le misure adottate ci furono: divieto di assembramento, divieto di circolazione per le strade dopo le ore 23, chiusura dei pubblici esercizi entro le ore 21. (Mi paiono addirittura misure liberali, rispetto a quelle di adesso).

Ma se la presero anche con i giornali e chiusero L’Osservatore Cattolico, che riuscì, prima, a pubblicare questo sfogo: «Ah! canaglie, voi date piombo ai miseri che avete affamati, e poi vi lanciate contro i clericali!»

Furono arrestate 2.000 persone che avevano protestato per poter mangiare.

Re Umberto I si congratulò con il Generale Bava Beccaris e lo nominò Grand’Ufficiale dell’Ordine militare di Savoia “per gli importanti servizi resi allo Stato”.

Nel 1900 Gaetano Bresci assassinò Umberto I per vendicare le vittime dei moti di Milano.

Bava Beccaris, invece, favorevole al Fascismo, nel 1922 consigliò al Re Vittorio Emanuele III di affidare il governo a Benito Mussolini e morì due anni dopo, alla veneranda età di 93 anni, nella sua abitazione romana.

Un particolare di questa pagina di storia, ricordata come i “moti della farina”: un giovane fante, Graziantonio Tommassetti, fu fucilato perché si rifiutò di sparare sulla folla, raro esempio di dignità e di grandezza morale, purtroppo pagata a prezzo della vita.

Forse è bene conoscere la storia, per evitare gli stessi errori: in fondo la lezione è molto semplice da capire. Affamare un popolo non è mai una buona idea e non porta molto bene.

A buon intenditor…

Stefano Burbi

In copertina: Gaetano Bresci spara al re Umberto I. Incisione di ‘L’illustrazione italiana’

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