Breve bestiario dei nuovi filo-occidentali
Se è vero che solo gli stupidi non cambiano mai idea, è altrettanto vero che solo i pazzi cambiano idea così rapidamente o così radicalmente per di più senza dare spiegazioni o motivare l’inversione di rotta. Ciascuno di noi più o meno giovane ha avuto l’esperienza della scuola e dell’università in cui i compagni di classe o i colleghi di corso erano assidui frequentatori dei collettivi studenteschi – roba certo non limitata agli anni Sessanta o Settanta del XX secolo – in cui, tra la puzza di sudore e l’aria stantia, tra un infaticabile suonatore di bonghi e un rastafariano accasciato a terra in un angolo bevendo distrattamente birra orribilmente calda, si fumava e ci si spinellava ragionando di politica ed economia, si fumava e ci si spinellava discutendo di geopolitica e laicità, si fumava e ci si spinellava litigando su chi avesse tradito per primo l’ideale marxiano tra Trockij e Stalin, si fumava e ci si spinellava schiumando di rabbia contro la globalizzazione, il G8 di Genova, l’imperialismo americano, la guerra in Iraq, la Chiesa, la Nato, i McDonald’s e tutto l’Occidente passato, futuro e presente quasi ripercorrendo il sentiero comportamentale dei dannati danteschi che “bestemmiavano Dio e lor parenti,/ l’umana spezie e ‘l loco e ‘l tempo e ‘l seme/ di lor semenza e di lor nascimenti” (Divina Commedia, Inferno III, versi 103-105).
In quei centri sociali e in quei circoli intestati a Marx, a Lenin, e perfino a Lavrentij Berija, spietato capo della polizia politica stalinista, si ritrovava il compagno di banco, l’amico, il collega che fieramente vestiva giacconi con lo stemma Cccp, che inneggiava alle “10,100,100 Nassiriya”, che con le scarpe Nike da centinaia di euro fischiettava l’inno della Terza internazionale, che partecipava alle giornate della pace esibendo con orgoglio l’effige di Che Guevara o di Fidel Castro, quello stesso compagno di banco, amico o collega che oggi, misteriosamente, lontano dai banchi di scuola e di università, sembra aver subito una strana mutazione.
Sembrano lontane le serate di discussione quando ci si scontrava con lui allorquando si cercava di dimostragli per tabulas che il sistema concentrazionario dei gulag aveva prodotto il doppio dei decessi totali della seconda guerra mondiale, che le foibe e l’esodo istriano erano esistiti davvero, che nelle foreste di Katyn si era consumato per mano sovietica uno dei più efferati crimini di guerra del secondo conflitto mondiale (non secondario per crudeltà alle fosse Ardeatine o alle bombe nucleari su Hiroshima e Nagasaki), che Che Guevara non era proprio uno stendardo da pacifisti intitolandosi la sua opera principale “La guerra di guerriglia”, che il presidente Giorgio Napolitano favorevole all’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 non era stato voluto dagli ungheresi nel cinquantennale del 2006, che in Urss (come hanno insegnato gli storici Thierry Wolton, Louis Rapoport, Robert Conquest o perfino la stessa figlia di Stalin nel suo diario) l’antisemitismo conobbe una stagione di pari ferocia a quella ben più tristemente nota fiorita durante il nazismo, che nel 1932 in Ucraina i sovietici causarono intenzionalmente una gravissima carestia, che la carestia causata dalla politica economica di Mao in Cina fu così drammatica da condurre realmente all’antropofagia.
Oggi, infatti, l’amico e il collega che un tempo era radicalmente filo-sovietico, nonostante l’Urss fosse crollata da anni quando frequentavate insieme gli ultimi anni di liceo o i primi di università, sembra come afflitto da un ribaltamento psico-storico, spiegabile soltanto in seguito alla grande quantità di spinelli giovanili assunti o ad una forma di vera e propria schizofrenia ideologico-politica. La attuale guerra in Ucraina, infatti, ha come sovvertito la sua psiche facendolo transitare su una posizione dogmaticamente atlantista, ciecamente filo-occidentale, fedelmente pro-Nato e consentendogli di accusare te, proprio te, di essere un filo-russo sol perché ritieni che la vicenda ucraina non dipenda esclusivamente dalla follia di Putin, ma anche da altre concause di cui è responsabile l’Occidente, specialmente quello del settore economico-militare. Il problema, diversamente da quanto possono ritenere i più superficiali, non è il semplice imborghesimento della sinistra italiana, fenomeno del resto noto da diversi decenni, ma la sua volubilità valoriale che tra le diverse cause della sua genesi primariamente trova la sua fondazione sostanzialmente storicistica. Non si tratta, infatti, né della flessibilità del pensiero, né di realpolitik, né di evoluzione socialdemocratica, ma di puro e semplice storicismo, cioè l’ideologia in base alla quale non esiste una verità universale, ma soltanto quella prodotta dalle circostanze socio-storiche.
Questo tratto del pensiero di sinistra, dalla più aristocratica intellighenzia salottiera con la “r” moscia al più vulcanico ed esuberante studentello dei centri sociali, rappresenta in fondo l’unica vera eredità, l’effettiva continuità, il concettuale cordone ombelicale che collega la sinistra odierna alla sua matrice originaria, cioè il pensiero marxiano che era notoriamente edificato su fondamenta storicistiche. Tutto ciò rivela l’inaffidabilità etica e noetica del pensiero di sinistra, anche nella sua attuale formulazione non più filo-sovietica, ma liberal-socialdemocratica, poiché la sinistra tende non ad esprimere un proprio sistema di valori e di idee, ma ad essere soggetta alle correnti della storia soggiogandosi alle stesse. In tale scenario, la guerra in Ucraina, nell’ottica reale della sinistra, non è sbagliata in se stessa, ma è sbagliata soltanto perché le attuali condizioni storico-politiche così inducono a ritenerla.
Soltanto così, infatti, si può spiegare come mai coloro che oggi, militando a sinistra, condannano la guerra in Ucraina sono i medesimi personaggi che appena 20 anni orsono giustificavano la guerra in Kosovo o 60 anni or sono l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss. Queste giravolte continue – che del resto si registrano a ben guardare non soltanto in politica estera, ma quasi ovunque nella piattaforma politica dell’attuale sinistra italiana – sono lo specifico risultato dell’influenza della visione storicistica che esplica tutti i suoi effetti. Ecco perché in ogni circostanza ed epoca storica le prese di posizione della sinistra italiana appaiono aprioristiche, contraddittorie e sostanzialmente insulse, oltre che afflitte da un congenito ed inestirpabile “provincialismo storico”, essendo irrimediabilmente opposte e contrarie al dato di realtà – come dimostra l’iniziale aneddotica sull’amico o sul collega di sinistra invincibile nei suoi convincimenti anti-storici – e all’insegnamento di Lord John Acton per il quale “la storia ci impedisce di rinchiuderci in un piacevole provincialismo”.
L’Opinione Delle Libertà / Illustrazione di copertina: Dan Matutina