Breve cronistoria della faccenda (prima parte)
È bene provare a ripercorrere le tappe che ci hanno portato fin qui, è nostro dovere non perdere i pezzi. A futura memoria.
Lo faremo a puntate, attraverso una narrazione lucida e oggettiva, riepilogando i vari eventi di cui siamo stati testimoni, nella maniera in cui idealmente dovrebbe essere scritto un futuro libro di storia.
Ben presto ci si accorge che, se non fosse tutto vero, potrebbe sembrare la trama di una serie TV dai toni surreali. Che ci serva per trarne delle conclusioni e per agire di conseguenza…
Incominciamo con la prima parte. Buona lettura
Succede che un nuovo e sconosciuto coronavirus (da Wikipedia: il virus del raffreddore) impazza in Cina a fine 2019 e i media rilanciano immagini di gente che sbatte a terra improvvisamente mentre cammina in quel di Wuhan.
La cosa monta e diventa un pericolo globale che – sempre per intervento dei mezzi di comunicazione – allarma il mondo tutto già da inizio 2020.
Il 29 gennaio in Italia viene decretato lo stato di emergenza, ma per tutto febbraio vediamo politici ed esperti e influencer dirci di abbracciare cinesi, mangiare involtini primavera, che le possibilità di esser contagiati nel nostro Paese sono “zero”, che nell’evenienza siamo pronti etc.
A fine febbraio/inizio marzo spuntano i primi turisti cinesi positivi; saltan fuori i pazienti zero (che poi diventano paziente 1, paziente niente e via dicendo).Nel giro di dieci giorni le rassicurazioni si trasformano in puro, elettrificato, totalizzante, radicale terrorismo mediatico: la provincia di Bergamo e Brescia da Codogno in poi diventa teatro di uno scempio sanitario mai visto. La gente muore a frotte. Gli ospedali sono al collasso. Le interviste e le testimonianze si rincorrono. Bisogna chiudere tutto. Zona Rossa. Quarantena.
La nazione è sotto shock. Un’intera provincia viene blindata. Sta accadendo l’impensabile.
Il nove marzo 2020 – dopo poche settimane di narrazione al cardiopalma – il premier Conte si contrae e si storce in diretta Nazionale richiamando il senso di responsabilità degli italiani e inanellando per la prima volta quelle locuzioni alle quali ci siamo ormai abituati: “due settimane di sacrificio”, “chiudere oggi per abbracciarci domani” e simili. Italia deve chiudere. Si chiama “lockdown”. Ma andràtuttobene.
Le strade si tingono di atmosfere oniriche sepolcrali. Le saracinesche chiudono. Si distingue tra ciò che è necessario e ciò che non lo è. Si formano code fuori dai supermercati. I parchi chiudono. Le scuole anche. Vengono sguinzagliati i droni per controllare che la gente stia in casa. Le forze dell’ordine controllano borsette, buste della spesa, scontrini. Viene misurata la temperatura. Si parla di “distanziamento sociale”.
La popolazione – costretta in casa davanti alle tv – comincia a masticare parole nuove, parole terrorizzanti: siniciziale, respiratori, polmonite bilaterale, terapia intensiva.
C’è chi canta dai balconi e chi invece intuisce qualcosa di oscuro approssimarsi: i media all’unisono – sinottici come i Vangeli – dicono che niente sarà come prima e che occorre abituarsi a una nuova normalità.
Lo stesso Ministero della Salute – con una circolare – “sconsiglia” (di fatto proibisce) l’esecuzione di autopsie utili a comprendere la natura delle così fitte morti, nel contempo approntando discutibili protocolli che vedono tra l’altro la chiusura della medicina territoriale. I medici di base non possono visitare i pazienti. Si parla di telemedicina e vigile attesa.
I media tutti e i virologi esperti sconsigliano le mascherine: sono inutili. Non proteggono dal virus. Non compratele. Non assalite le farmacie. Lasciamole al personale sanitario. Dopo due mesi di “lockdown” e popolazione allo stremo, le famigerate “curve epidemiologiche” che venivano propalate ogni sera in diretta dai vertici della Protezione Civile, finalmente calano e “consentono” graduali riaperture da maggio 2020. L’ossigeno torna a propagarsi nei corpi e nelle menti del popolo. Si torna ad un abbozzo di normalità. Forse è finita.
Dalle regioni carsiche del pensiero e della ragione fioriscono così dissidenze che tentano di portare alla luce alcune incongruenze fondamentali che farebbero tremare la narrazione ufficiale: i numeri dei morti sarebbero gonfiati, le cause di morte artefatte, i protocolli di cura sbagliati. Alcuni medici nei mesi precedenti avevano violato i diktat ministeriali effettuando autopsie e scoprendo che si trattava di morti da tromboembolia intravasale disseminata: la “vigile attesa” cagionava un protrarsi dell’infezione che generava in molti casi trombi, coaguli, che si innestavano nei polmoni impedendo lo scambio di ossigeno. Non erano polmoniti. Erano soffocamenti veri e propri. Le intubazioni facevano il resto andando a “bruciare” letteralmente i polmoni.
Accuse gravi. Accuse suffragate – però – da fatti incontrovertibili.
Manifestazioni di piazza, contronarrazione alternativa crescente, depistaggi coloriti, figure di spicco: tutto concorre a creare un clima di diffidenza verso il cosiddetto mainstream.
Una nuova stagione di propaganda inizia così a passare al contrattacco: chiunque osi sfidare lo storytelling di regime viene etichettato con il termine infamante di “negazionista”. La polarizzazione tra apocalittici e integrati aumenta a dismisura. Si innesta tra le righe di Stato una nuova astrazione mentale contrologica destinata a cambiare tutto nei mesi successivi: la figura del malato asintomatico.
FINE PRIMA PARTE
Illustrazione di copertina: Luca D’Urbino