Attualità,  Mass Media,  Politica,  Società

Breve cronistoria della faccenda (quarta parte)

Dopo sette mesi di assenza, precisamente da fine febbraio 2020, bambini e ragazzi possono tornare a scuola. Ma facciamo un passo indietro.

Nel periodo precedente, da marzo 2020 a giugno, si era abbozzata la prima, rocambolesca, forma di DAD, o Didattica a Distanza (altro termine a rimpolpare il glossario) che aveva messo in crisi trasversalmente milioni di famiglie costrette a seguire più figli contemporaneamente mentre si lavorava da casa durante il lockdown: nuovi PC, tablet, webcam, contratti con società di telecomunicazioni etc.

In seguito, a ridosso dell’estate – dopo un imbarazzante silenzio del Ministero dell’Istruzione nella persona di Lucia Azzolina – le istituzioni si ricordano che esistono gli studenti, così cominciano a scavillare improbabili protocolli e misure per mettere “in sicurezza” gli studenti, già sapendo (novelli Nostradamus) che il raffreddore letale sarebbe tornato a colpire, scegliendo come luogo privilegiato dei “focolai” per l’appunto le scuole. Poco importava che le stesse statistiche visionabili perfino dall’analfabeta funzionale medio indicassero in maniera incontrovertibile che i bambini non fossero soggetti all’infezione. Potevano però – questa era la risposta – essere “asintomatici”, e mescere l’Rna ferale direttamente nelle narici dei poveri nonni. Ecco così manifestarsi una delle più tristi pagine del folclore italiano: i “banchi a rotelle” e tutto l’indotto congegnato di concerto con tale Arcuri, Commissario Straordinario, una delle figure più drammaticamente pittoresche di tutta la faccenda, destinato ad essere nei mesi seguenti indagato e silurato (sostanzialmente perché non più utile, ma lo vedremo).

Già in estate inoltrata i media davano manforte alla scaletta di Governo insistendo sulla necessità di protocolli stringenti per queste piccole bombe biologiche: si inizia a parlare di mascherine per bambini e ragazzi. Il fatto lo si dà per assodato, c’è solo da stabilire se per tutta la durata delle lezioni, se solo per pisciare, se chirurgiche o “di comunità” (tenete a mente questo passaggio), e altri “se” variamente pasticciati. Succede infatti che a scuole aperte (io, per protesta, il giorno dell’apertura me ne andai al mare a vedere i miei divertirsi come matti e ci restai per i successivi dieci giorni) tutti i protocolli concepiti nelle settimane precedenti vengono fatti rispettare con rigore: mascherine nei luoghi comuni. Percorsi obbligati con apposita segnaletica. Misurazione della temperatura (da casa, annotata sul diario. A scuola, se c’è sufficiente personale) Distanziamento. Igienizzazione costante. La scuola – da luogo di apprendimento e scambio – diventa più simile a un carcere minorile in versione chupa-chups, con insegnanti e maestri mascherificati che nel migliore dei casi tentano disperatamente e grottescamente di dare “colore” agli sguardi dei più piccoli, e solerti bidelle a puntare il dito su questo o quel monello che pretende di voler respirare.

Inutili le proteste di quei (pochi) genitori: le parole “focolaio”, “in sicurezza”, “i più deboli”, “negazionista”, “i nonni”, sono strali irrefutabili. D’altra parte la maggioranza dei genitori, leonescamente contraria fino a qualche minuto prima all’idea dei propri bambini ammutoliti da un simbolo tossicogeno per otto ore al giorno, si ritrova invece un minuto dopo a pascersi nelle autoreferenziali giustificazioni come: “guarda come sono bravi. Come si abituano in fretta. Sono proprio resilienti questi bimbi”.

I mezzi di Propaganda, all’unisono, confortano questa visione con servizi messi a punto per l’occasione, e mandati H24. In pochi notano che – contestualmente alla stipula di un contratto tra il Governo Italiano e la FCA relativo alla produzione e alla fornitura di circa 30 milioni di mascherine chirurgiche al giorno – viene introdotto l’obbligo di fare indossare agli studenti non più mascherine autoprodotte o di comunità, ma proprio mascherine chirurgiche. Quelle prodotte da FCA. Proprietaria del quotidiano Repubblica. Che tutti i giorni nei suoi articoli demonizza chi non indossa mascherine. In pochi lo hanno notato anche quando è emerso che per difetto di fabbricazione dei pezzi di filamenti tossici e maleodoranti finivano nella bocca e nel naso dei loro figli. La gente, pare, è particolarmente distratta. Ma si comprava – nello stesso periodo – il kit zaino/portapenne/mascherina in coordinata.

A margine annotiamo il fenomeno, seppur secondario, dell’educazione familiare – già esploso dopo le leggi del 2017 – che rinverdisce. Molti genitori ritirano i propri figli dagli istituti di Stato e li istruiscono da casa o, quando ne hanno la possibilità, li mandano a studiare presso associazioni di sostegno all’educazione parentale.

Nelle scuole di Stato, ancora, dopo un primo periodo di assestamento, iniziano a spuntare come funghi casi di intere classi “positive”. La colpa? Che ci crediate o no, è della Movida estiva. La Movida di qualche mese prima. Poco importa che il raffreddore cinereo preveda un’incubazione di quattordici giorni. Andare in vacanza mesi prima ci ha compromessi tutti oggi, bambini compresi.

Le mascherine, in autunno inoltrato e con l’inverno alle porte, diventano così obbligatorie anche al banco per tutti gli studenti. Anche in bagno. Anche all’uscita da scuola. C’è chi vorrebbe che gli studenti ne indossassero due. Ma non basta. Non basta. I focolai scoppiano ovunque. I banchi a rotelle, i distanziamenti, le mascherine, le igienizzazioni non sono servite a contenere questo formidabile nemico.

I giornali, la politica, gli influencer, chiedono risposte rapide, soluzioni risolutive: siamo alle porte della tanto prevista Seconda Ondata. Col Natale alle porte – un Natale da salvare – il Governo vara provvedimenti più incisivi: mascherine per tutti, anche all’aperto. Italia in rosso, è il principio del “lockdown soft”: scuole elementari aperte; medie e superiori variamente in DAD.

Non importa che sul provvedimento sia riportata una frase che recita pressapoco ”[…] con possibilità di prevederne l’obbligatorietà di utilizzo anche all’aperto laddove per condizioni del luogo o circostanze di fatto sia impossibile mantenere il distanziamento”. No. Il simbolo ieratico, il totem ideologico, di tutta questa faccenda – la museruola – ora ce l’hanno tutti. Tutti. Dentro e fuori. Perfino sui balconi. Altra casella conquistata. Altro concetto sedimentato.

Ora non c’è che da salvare il Natale, e aspettare i tre Re Magi: Pfizer, Astrazeneca e Moderna.

FINE QUARTA PARTE

Uriel Crua

Illustrazione di copertina: Paul Blow

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *