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Breve cronistoria della faccenda (seconda parte)

La questione del malato asintomatico si interseca a doppia elica con la torsione pindarica delle mascherine, che prima non servivano affatto e gli studi e l’OMS e i virologi stavan tutti lì a dimostrarlo, fin quando ad Aprile 2020 circa si cominciò a inserirne l’obbligatorietà di utilizzo all’interno degli spazi chiusi facendo larghissimo uso di altrettante torsioni logiche.

Così a maggio, con le riaperture (di tutto fuorchè delle scuole), il primo reale tassello della narrazione pandemica andava sedimentandosi. Si entrava in bar e supermercati e negozi solo con mascherina e previa opportuna igienizzazione delle mani con prodotti idroalcolici.

Il “niente sarà come prima” e la “nuova normalità” avevano conquistato la loro prima casella.

Tuttavia con la bella stagione alle porte e le curve epidemiologiche non più rinfocolabili nemmeno coi più geniali artifici, la Propaganda fu costretta a tornare a lavorare sul proprio terreno: dalla “Scienza” si tornò alla Semiotica. Così dal cilindro rispuntò in maniera coatta il malato “asintomatico” (già usato contro corridori e padroni di cani, nonchè sui bambini) ossia un individuo perfettamente in salute che però potrebbe covare il virus per un tempo indefinito e indefinibile e infettare tutti, perfino l’aria, perfino la sabbia. Perfino il mare!

Non esistevano più persone sane e persone malate, ma solo “malati fino a prova contraria”.

I media sinfonici naturalmente rilanciarono pedestremente a passo d’oca la nuova definizione e tutti inasprirono di conseguenza quella già nutrita diffidenza verso il prossimo che andava escrescendo nella loro psiche da mesi.

“Proteggere gli altri” era un atto di responsabilità. Se non “proteggevi i più deboli” – se avevi dubbi; se volevi respirare – eri un negazionista. Un fascista. Criminale contro l’umanità.

Naturalmente la discrasia prodotta dallo shock schizogenico di una primavera galoppante e vitale ancora però insidiata da un – letteralmente – “invisibile nemico”, non poteva nascondere sotto il tappeto degli sforzi congiunti dei media il fatto che alcune cose proprio non tornavano.

Ecco allora che sempre dal medesimo cilindro vennero fuori alcuni personaggi “dissidenti” utili a calmierare gli scettici traghettandoli verso una versione normalizzata dei fatti: “le terapie intensive sono vuote! Abbiamo lavorato bene! Ora riapriamo tutto e basta sciocchezze! Non terrorizziamo la popolazione. Il virus c’è ma ci sono anche le cure. Lavatevi le mani e mettete la mascherina quando serve. Facciamo ripartire l’Italia. La conta dei morti è stata fatta male. Dobbiamo convivere con il virus”.

Altra casella conquistata: convivere con il virus. Oltre a mascherine e gel igienizzanti.

Con l’estate alle porte, comincia a profilarsi un grottesco susseguirsi di messa “in sicurezza” dei luoghi, di protocolli, di nastri distanziatori tra un ombrellone e l’altro, fino al bieco parossismo dell’igienizzazione tramite prodotti biotossici di intere, desolate spiagge.

Il waterboarding adoperato alle attività commerciali le aveva costrette ad accettare tutto. E sia: che si riapra alle vostre condizioni, purchè si riapra.

Ripartire dunque, ma “in sicurezza”. Per un’estate che – come vedremo – preparerà il terreno alla “seconda ondata”

FINE PARTE SECONDA

Uriel Crua

Illustrazione di copertina: Dan Bejar

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