Attualità,  Società

Buon Natale, anzi buona natalità

Ma ora che è Natale, vogliamo parlare di natalità? L’Italia, confermano i dati Istat, vive un’emergenza di primo grado, ne va della sua sopravvivenza: è il Paese che fa meno figli al mondo e i decessi superano di gran lunga le nascite. Ogni due nati tre deceduti. Un mortorio, altro che natività. L’odio verso il Natale non riguarda solo Gesù bambino e la sua religione, presepe incluso; ma è allergia militante contro ogni natalità, come se fosse un affronto all’aborto, al profilattico, alla sterilità o solo alla volontà di non avere figli. La famiglia viene trattata come un residuo tossico di epoche pregresse, un avanzo putrefatto di società primitive e reazionarie, un ingombro arcaico di cui liberarsi.

Se invochi una campagna in favore della procreazione e della fertilità ti attaccano tutti, le élites, i media, gli intellettuali, i movimenti femministi e le loro piazze, come accadde quando fu indetto il Fertility Day. E già, meglio lo Sterility day. Infatti fu subito ritirato. Si interpreta la campagna per la natalità a rovescio, come un oltraggio e una discriminazione verso chi non può avere figli perché anziani, sterili o coppie omosessuali. Viene cancellato ogni riferimento alla procreazione, salvo la fecondazione artificiale o con l’utero in affitto, la banca del seme e le maternità surrogate.

Dissero e ancora dicono i leader politici per bocciare le manifestazioni pro natalità: pensare che con una campagna per la fertilità la gente si convinca a fare figli è una sciocchezza; è solo retorica, propaganda improduttiva. Se è vero, allora abolite le campagne contro il femminicidio: pensare che gli uxoricidi e i violenti si convincano a non uccidere grazie a una campagna è idiozia coi fiocchi (rossi). E così per le campagne contro il razzismo e l’omofobia; a che servono, se poi denunciate incrementi ed escrementi di odio ovunque?

Si possono inscenare campagne per le nozze gay e trans o in difesa dell’aborto e dell’eutanasia ma guai a esortare alle nascite e alla fertilità. Chi promuove il valore della procreazione offenderebbe chi non può avere figli, perché sterile o perché non ha i mezzi per mettere al mondo bambini e mantenerli. Ma è evidente che si vuol sensibilizzare alla procreazione non chi non può avere figli ma chi non li vuole per egoismo o per paura, per non aver fastidi o problemi, perché non vuol restringere la sua libertà o perché pensa solo al presente. Una campagna per la natalità non produce nessuna discriminazione e non ferisce nessuna “suscettibilità”. Altrimenti si dovrebbe pensare che chi inneggia ad altre unioni, altri gender e altre nascite, offende la famiglia secondo natura e civiltà. Siamo passati dalla libertà di vivere ciascuno a suo modo al divieto implicito di sostenere pubblicamente la maternità, la paternità, i figli secondo natura. Si rendono pubblici, se non plateali, gli orientamenti sessuali diversi, ma si privatizza la famiglia e si deplora chi difende la maternità e la natalità. Una società sana dovrebbe fare l’inverso: lasciare alla privata libertà le scelte sessuali o di vita e di morte, finché non violano i codici; e tutelare, promuovere, anche sotto il profilo sanitario, ciò che accresce le famiglie e il loro benessere. Perché la famiglia è un bene pubblico, è la prima struttura della società, il suo cardine.

Secondo l’ideologia dominante, invece, dobbiamo auspicare che la denatalità sia compensata dai flussi migratori e dalla fecondità degli extracomunitari che verranno a ripopolare quel paese che si chiamava Italia. Il sottinteso, e la nemesi, è che gli spazi vacanti della denatalità saranno occupati da loro; i centri d’accoglienza sono le nuove cliniche ostetriche. Sono noti gli imprenditori politici e sociali che traggono profitto da questo traffico di umanità. Così siamo diventati un paese di morti, senza aspettativa di futuro, un paese che rifiuta l’idea stessa della nascita e si consegna alla decadenza; i dementi dicono che invocare più figli “è fascismo”. C’è un’abissale differenza tra la battaglia demografica del duce che incitava a far figli perché “il numero è potenza” e chi invece avverte che l’Italia muore se non fa più figli.

Magari a Natale un papa che fosse davvero tale dovrebbe per una volta occuparsi degli europei non per farli sentire in colpa rispetto al mondo, ma per esortarli a procreare, a metter su famiglia. Una campagna a sostegno delle nascite dovrebbe farla il governo e affiancarla a un piano serio di tutela delle famiglie e di incoraggiamento delle nascite, tra agevolazioni, bonus, supporto medico, servizi e sostegni sociali. Anzi, le forze che si definiscono conservatrici, d’ispirazione cattolica, moderate e tradizionali, anziché giocare solo di rimessa, a frenare le leggi pro aborto o pro suicidio assistito, dovrebbero volgere in positivo la loro battaglia e proporre un serio piano per rigenerare l’Italia, favorire le nascite, aiutare le coppie ad avere figli. Sarebbe una campagna di civiltà, di fiducia nel futuro e di amore per la vita, a partire dalla vita sorgiva. Vorrei vedere chi si opporrebbe e con quali argomenti, dopo aver fatto campagne per legalizzare l’aborto, la droga e il suicidio assistito. Si dovrebbe ripartire dal Paese e sensibilizzarlo al tema, con immagini finalmente positive di neonati e non sempre e solo di malati, di morenti, di ricoverati. Magari una campagna con un nome vero e non con una minchiata americana tipo fertility day, buona per un reality o per una sit com genere family. Far nascere è un segno di vita, una risposta alla morte dell’Italia e ai suoi beccamorti.

Marcello Veneziani

Illustrazione di copertina: Taylor Callery

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