Cancel culture
L’idea di cancellare una cultura non è nuova. Appartiene al totalitarismo, ne è l’essenza. Il nazismo procedeva alla cancellazione della cultura, quella degenerata, bruciando libri. I khmer rossi procedevano alla cancellazione della cultura, di quella occidentale, che aveva “infettato” la purezza di quel popolo, uccidendo persino coloro che ne erano stati infettati. Si tratta sempre di difendere una “purezza”, di impedire la “contaminazione”, di fermare un’infezione.
Il totalitarismo è sempre il tentativo di cancellare la memoria. Ora si vuole cancellare la memoria dell’Occidente, passo dopo passo, libro dopo libro, statua dopo statua. Il Rinascimento, cancellato perché bianco ed eurocentrico, la filosofia occidentale, cancellata perché infettata e razzista, la stessa ragione occidentale perché etnocentrica e violenta non appena pretende di essere qualcosa di più di un sistema di calcolo discorsivo.
Ogni giorno che passa si avverte sempre più, soprattutto chi fa un lavoro intellettuale lo sente, un clima di timore, di paura di ritorsioni. La parola diviene sempre più controllata. Sospetta, indagata, sotto processo. Anche i testi che puoi usare li usi con timore. Si sta creando una spirale del silenzio, e un’intera cultura, quella occidentale, rischia di essere cancellata.
Non dal Nazismo, non dai Khmer rossi: dalla cultura progressista, dalla cultura liberale, che ogni giorno di più mostra il proprio volto totalitario, illiberale, la sua ostilità verso ogni discorso che non si adegui all’imperativo che la governa: costruire un discorso pulito, così universale da dissolvere le differenze, le identità, i pensieri non in linea. Si sta imponendo questo totalitarismo progressista per il quale deve essere cancellata ogni cultura che non accetti di risolversi nello scambio economico, nei diritti degli individui intesi come esseri atomizzati e irrelati, privati di radicamento in un memoria e in una tradizione, e proprio per questo indefinitamente manipolabili, ridotti – lo si può ancora dire senza finire sotto processo? – a meri uomini di fatto, privi di storia, tradizione. Individui ridotti a meri bisogni, macchine consumatrici, che consumano merci come consumano piaceri, corpi, messaggi.
Si può ancora citare lo Hegel dell’Introduzione alla filosofia della storia, lo Husserl della Crisi, lo Heidegger de Il nichilismo europeo? Sino a quando sarà possibile farlo? Potremo tra poco fare un corso universitario o scrivere un libro su Hegel, Husserl, Heidegger? E Platone? E Aristotele, l’Etica nicomachea, prima di farla leggere dovremo emendarla per bene, pulirla?
Ci sono tanti pericoli, tante minacce. Ma ce ne è uno forse più rischioso di tutti: la riduzione del discorso, la cancellazione della memoria. Posso ancora dire che sono occidentale, bianco, maschio? Posso dirlo senza chiedere scusa, senza colpa? Posso ancora rivendicare con orgoglio questa mia appartenenza? Posso ancora dire, come faceva Husserl, “io sono europeo”?
Tutte le minoranze rivendicano i loro diritti, tutti rivendicano il diritto alla propria cultura. E l’Occidente (non quello che esporta il progresso con le bombe come fa Biden e la nuova vicepresidente degli USA), l’Occidente vero, di cui Biden ignora persino l’esistenza, ha diritto di pretendere il rispetto?
Con la tradizione, insieme ad essa, è la nostra libertà – di pensiero, di parola, di insegnamento – ad essere in pericolo, come lo fu con il nazismo, come lo fu con i Khmer rossi. E per difendere la libertà, le proprie radici, la propria appartenenza, la propria cultura e la propria memoria, bisogna trovare il coraggio di fare l’unica cosa che gli uomini liberi fanno quando è minacciata la loro libertà: combattere.
Foto di copertina: Helga Stentzel