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Chi controlla chi ci controlla?

Il mondo non è mai stato così controllato come oggi, noi non siamo mai stati così controllati e probabilmente mai lo saremo così poco nel futuro.

Siamo ormai entrati nel “capitalismo della sorveglianza(1), uno scenario che sfrutta la profilazione dell’esperienza umana sotto forma di produzione incessante di dati e informazioni e in cui ogni nostro comportamento è sotto osservazione.

E guarda caso, ancora una volta, ci troviamo a constatare che la pandemia e la relativa paura sociale ad essa collegata hanno rappresentato un acceleratore per la definitiva affermazione di questo invisibile dominio sulla società che mina la democrazia, la privacy e le nostre libertà.

La sensazione è che, mentre le nostre vite sono state messe in stand-by da restrizioni e lockdown, questo mondo corra ad una velocità talmente elevata da non lasciarci nemmeno il tempo di preoccuparci dei nostri diritti e della sempre più ridotta distinzione tra vita pubblica e privata.

Tuttavia sono molti gli interrogativi su cui dovremmo soffermarci, a partire dal progressivo divario tra chi controlla i nostri dati e noi che passivamente li forniamo delegando a nostra insaputa poteri che ci renderanno sempre più trasparenti, vulnerabili e di conseguenza sempre meno umani.

Ma vogliamo davvero vivere in un mondo in cui siamo tutti costantemente controllati? E soprattutto chi controlla chi ci controlla?

La sorveglianza di massa è un trend in spaventosa crescita in tutto il mondo. In Cina si parla di centinaia di milioni di videocamere installate solo nell’ultimo anno, una ogni due abitanti (2): un network di videosorveglianza che prevede il riconoscimento biometrico facciale ed emozionale, oltre ai software di riconoscimento vocale e l’accesso diretto agli smartphone.

E nella quasi totale indifferenza mediatica, questi ultimi mesi hanno visto anche l’Europa diventare terreno di sperimentazione e sviluppo di nuove tecnologie di sorveglianza, il cui uso sempre più aggressivo e invasivo nelle mani di un gruppo ristretto di Stati e aziende private potrebbe avere un impatto irreversibile sulle nostre vite. In sostanza, se non si agisce subito, il prezzo da pagare potrebbe essere altissimo.

Chi già qualche anno fa prospettava questa realtà da grande fratello orwelliano veniva prontamente etichettato e deriso; di fatto però con il tempo molte situazioni previste continuano ad avverarsi, malgrado la frequente tendenza di molti a ritenere che riguardino mondi lontani, limitati ai soli regimi totalitari.

Basti pensare al “Sistema di Credito Socialecinese (3) che classifica con un punteggio la reputazione dei propri cittadini in funzione ai dati raccolti dal governo e da società private; un vero e proprio sistema di sorveglianza di massa basato su tecnologie di analisi dei big data.

Il punteggio di ogni cittadino può variare a seconda del proprio comportamento, pertanto lo Stato ha la facoltà di assegnare premi o punizioni in riferimento a “parametri morali” prestabiliti come la capacità di onorare i pagamenti, i giudizi sull’operato del governo, la cronologia delle ricerche web, la condivisione di informazioni considerate non ufficiali, il rispetto del codice stradale, la partecipazione a manifestazioni o i comportamenti personali legati agli acquisti.

Sotto una determinata soglia di punteggio le penalità includono ad esempio il divieto di viaggiare in aereo o in treno, l’esclusione da alcune scuole e lavori, l’accesso agli hotel, il blocco dei propri account social, il rallentamento della connessione internet e l’inserimento in una black list accessibile a tutti, praticamente una pubblica gogna.

Ma non vi suonano familiari tutte queste penalità?

Proprio in questi giorni in Italia alcuni politici e influencer di stato hanno iniziato a parlare di passaporto sanitario prospettando una serie di importanti limitazioni che escludono dai servizi primari chi decidesse di non sottoporsi a un vaccino di cui ancora non si sa nulla. Si tratta di fatto di un ricatto mascherato dall’illusione della libera scelta che in democrazia dovrebbe rappresentare un diritto imprescindibile.

Ora, potrebbe sembrare che stia andando fuori tema, ma la corsa a introdurre la sorveglianza biometrica di massa va vista e interpretata all’interno di una prospettiva più ampia di controllo; solo così si può davvero prendere coscienza dell’evoluzione degli eventi, della coordinazione internazionale nei singoli cambiamenti e della continua fomentazione di pretesti che possano giustificare la necessità di raggiungere un nuovo ordine sociale.

La tecnologia e l’intelligenza artificiale possono aiutare ad acquisire ed elaborare quante più informazioni possibili e a livello geopolitico questo aspetto risulta troppo attraente per non farne un uso strumentale.

Governi di tutto il mondo in questi mesi, sfruttando stati di emergenza e conseguenti poteri straordinari, hanno attuato misure di sorveglianza e tracciamento testandole a livelli senza precedenti; inoltre la rapidità di attuazione di tali misure, unita ad un’informazione mainstream sempre più monotematica e sempre meno indipendente, fa sì che non ci sia alcun dibattito pubblico sull’utilizzo dei dati, le finalità e i risvolti etici, conseguenze che hanno davvero poco a che fare con il virus, nonostante molti si ostinino a non volerlo vedere (4).

Se la natura di questi provvedimenti di tracciamento fosse davvero unicamente di carattere straordinario e di tutela della salute pubblica, ci si dovrebbe aspettare un utilizzo temporaneo che si concluda una volta terminata l’emergenza sanitaria; ma al contrario sono palesemente destinati a durare e ad accrescere nel tempo.

Ci troviamo di fronte a una situazione paradossale in cui lo Stato, che dovrebbe tutelare i diritti umani, sta invece segretamente diffondendo tecnologie sperimentali e invasive che analizzano e trasformano in oggetti i nostri volti e i nostri corpi mentre ci muoviamo negli spazi pubblici (5).

Si sospetta che in Italia siano già state schedate in questo modo più di 16 milioni di persone (6) e a chi minimizza sostenendo che “chi non ha nulla da nascondere non ha nulla da temere” consiglierei di fare un salto a Singapore dove la sorveglianza è ormai entrata anche negli spazi privati, dove la popolazione è costantemente monitorata e geolocalizzata.

Come illustrato dal sociologo canadese ed esperto di cultura digitale Derrick De Kerckhove, Singapore rappresenta un nuovo modello d’ingegneria sociale, da lui definito Datacracy o Governo di Algoritmi, che potrebbe ben presto essere applicato altrove (7).

Si tratta di un modello di vita coerente con i tempi moderni, spesso preso come esempio di società del futuro, che assicura pace e ordine, monitoraggio dell’inquinamento, della salute e del benessere, nessuno sporca, nessuno trasgredisce, si respira un senso di sicurezza. Insomma, all’apparenza tutto fantastico, la società ideale. La cosa importante è non dissentire.

La vita delle persone è completamente in mano alla tecnologia, si sa cosa scrivono e cosa dicono, si conosce ogni azione e movimento; la tv e la stampa sono fortemente controllati, non esiste opposizione, le critiche al sistema vengono censurate e punite, le opere moderne stanno cancellando i simboli del passato e la storia è riscritta anche nei testi scolastici. E in un sistema di controllo come questo ovviamente le persone sono condizionate e tendono all’autocensura, a tal punto che dai sondaggi risulta che la quasi totalità della popolazione sia orgogliosa e felice del senso di armonia sociale e di ordine che viene trasmesso da questo nuovo modello tecno-etico.

“Si può parlare di despotismo illuminato, o ancora meglio di fascismo elettronico”, aggiunge De Kerckhove che si domanda anche se le città europee finiranno così e soprattutto se avranno scelta.

Credo che l’unica cosa che possiamo fare, se non vogliamo rischiare che tutto questo diventi parte di un destino ineluttabile, sia continuare a informarci e sensibilizzare il prossimo su questi argomenti, parlandone e condividendo il più possibile. E soprattutto sostenere chi si sta attivando per richiedere un dibattito pubblico trasparente sui rischi collettivi e per la difesa dei nostri diritti.

Recentemente una dozzina di associazioni europee per la privacy e i diritti umani hanno lanciato una campagna dal titolo “Reclaim Your Face” chiedendo che i governi diano spiegazioni sulle ragioni dietro l’adozione delle tecnologie di riconoscimento facciale e di mobilitarsi per impedire l’uso indiscriminato del controllo biometrico di massa.

La campagna è sostenuta in Italia dall’Associazione Hermes Center. Di seguito il link al sito e alla versione italiana della petizione. Facciamo sentire la nostra voce. Riprendiamoci la faccia.

Mario Percudani

Hermes Center – Reclaim Your Face: https://www.hermescenter.org/campaigns-reclaimyourface/

Fonti:

(1) https://www.luissuniversitypress.it/pubblicazioni/il-capitalismo-della-sorveglianza

(2) https://it.insideover.com/societa/grande-fratello-cina-nel-2020-ci-sara-una-telecamera-ogni-due-abitanti.html

(3) https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_di_credito_sociale

(4) https://privacyinternational.org/examples/tracking-global-response-covid-19

(5) https://www.hermescenter.org/lancio-campagna-reclaimyourface/

(6) https://www.wired.it/attualita/tech/2019/02/16/riconoscimento-facciale-cina-ungheria-liberta/

(7) https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-governo-delle-macchine-lo-spettro-della-datacrazia

Bibliografia:

Il Capitalismo Della Sorveglianza (Shoshana Zuboff)

Oltre Orwell: Il gemello digitale (Derrick de Kerckhove)

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