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Chi sarebbero i democratici?

Nel 2019, dopo averle regolarmente ‘affittato’ uno stand, al ‘Salone Internazionale del Libro’ di Torino qualche democratico di sinistra, al quale l’egemonia filo comunista è la sola etica culturale gradita, si impuntò al punto da ottenere l’espulsione dalla rassegna della Casa Editrice ‘Altaforte’, al grido di ‘dagli al fascista’. La grave colpa di ‘Altaforte’? Non solo aver dato alle stampe il libro-intervista di Chiara Giannini (giornalista e inviata di guerra de ‘Il Giornale’) dal titolo “Io sono Matteo Salvini – Intervista allo specchio”. Ma, ancor di più, essere indicata quale Casa Editrice di riferimento di ‘Casa Pound’ e -secondo alcuni- vicinissima a ‘Forza Nuova’ e già per questo non espressione di una corrente di pensiero, ma pericoloso covo di ‘rigurgiti fascisti’.

Per la verità, facendo un giro fra gli scaffali o spulciandone il catalogo, ‘Altaforte’ espone e propone -fra i tanti- pure titoli di autori vari anche contemporanei, come Chiara Giannini (appunto), Vania Russo, Francesco Borgonovo, Stelio Fergola, Gianluca Pietrosante, Gian Piero Jaime, Alessandro Meluzzi, Francesca Totolo, Pietrangelo Buttafuoco, Giuseppe Cruciani, perfino Paolo Bargiggia, per dirne solo alcuni, nessuno dei quali credo proprio sia tacciabile neppure lontanamente di essere un terrorista, un rivoltoso, un pericolo sociale, uno squadrista, un cattivo maestro o chissà che. Oltre, naturalmente, a classici di calibro trasversale (da Ezra Pound a George Orwell, da Friedrich Nietzsche a Honoré de Balzac, da Lev Tolstoj a H.G. Wells…) e direi anche piuttosto universale. Insomma, volendo vi si fanno ottimi acquisti.

Quindi, che ‘Altaforte’ sia una Casa Editrice che fa la Casa Editrice e pure un libraio che fa il libraio, non ci piove. E non si può certo dire che pubblichi e promuova nulla di sovversivo, in quanto – se ciò fosse – basterebbe denunciare un’opera e il suo autore e chiederne il ritiro e invocare sanzioni penali. Se poi il problema si riferisse a ‘Casa Pound’ e ‘Forza Nuova’, non è necessario condividerne valori e prospettive per ammettere con onestà intellettuale che stiamo pur sempre parlando di espressioni politiche (‘Casa Pound’ ora meno, dopo la sua rinuncia alla politica partitica) da sempre ammesse alle consultazioni elettorali e dunque -con chiara evidenza- perfettamente legittime e perfino per questo legittimate ad aspirare a ‘governare’, perciò evidentemente ritenute assolutamente rispettose dei valori promossi dalla Nostra Costituzione e per niente in contrasto con le leggi dello Stato (Legge Scelba in primis).

Certo, ci sta che una buona fetta del Paese (nostalgica del comunismo repressivo e pure censore) possa non condividere, ma che tutto ciò che è riconducibile ad ‘Altaforte’ sia legale è indiscutibile. Perchè il diritto alla libertà di pensiero e di espressione non è ancora stato abolito (seppure certuni ci provino dal 1948) e perchè forse sarebbe ora che chi demonizza un editore ligio alle regole (ma esalta Cuba e Cina o chiude tutti e due gli occhi sulla Corea del Nord o gli oltre cento milioni – in continuo e quotidiano aggiornamento – di vittime del comunismo) avesse finalmente il coraggio di rinunciare all’alibi del neofascismo e dopo più di settant’anni incominciasse a fare i conti (non solo storici, ma anche politici) con il proprio passato, anche ipocritamente molto recente.

La polemica che seguì alla ‘cacciata di Torino’, di sicuro evidenziò lo scarso (e fazioso, oltre che monolitico) livello culturale (che è poi il vero problema) dell’Italia. Da sempre cultura, politica ed etica sono però intrecciate, inutile quindi cercare ogni volta di separarle fingendo di voler sollecitare un dibattito nel Paese pur di trovare – piuttosto – un pretesto per attaccare ora ‘Forza Nuova’ e ora ‘Casa Pound’, fino a invocarne lo scioglimento per legge e per rispetto del dettato costituzionale (sic!), ma ignorando che qualche consigliere anche solo circoscrizionale quelle forze politiche lo hanno pure legittimamente eletto e che pregiudicati di fatto sono invece tutt’ora leader, più o meno visibili, di partiti di governo (e con macchie sulla fedina penale e sulla coscienza ben più gravi di una solo ipotizzata illegittimità politica).

In realtà si deve tenere dentro tutto: se una realtà politica può eleggere dei propri rappresentanti, vuol dire che è legale. E se è legale è lecito che abbia una sede o un editore di riferimento, pure una libreria e la propria agibilità. A meno che non venga dichiarata fuorilegge. Beh, si rassegnino a sinistra. Fu democratica anche l’esistenza del Movimento Sociale. E a lungo fu parlamentare di peso anche Giorgio Almirante. Piacesse o no. Amen. E si rassegnino anche i “para-intellettuali” della domenica che si auto attribuiscono l’esclusiva di una coscienza civile e democratica, sostenendo al contempo chi di questi tempi, facendo leva sulla paura (come insegnava Joseph Goebbels) della Costituzione e dei Nostri diritti sta intanto facendo impunemente scempio. Dopo settant’anni e passa, credersi ancora i soli “depositari e costruttori di cultura” del nostro Paese, nella totale negazione dei guasti del comunismo e dopo la caduta del Muro di Berlino, è purissima ipocrisia: come dirsi Europeisti senza se e senza ma, trascurando che proprio l’Europa ha equiparato il Comunismo al Nazifascismo con la risoluzione del Parlamento europeo votata il 19 settembre 2019, giovedì. Quindi la piantino le false vergini e verginelle col pugno chiuso. La piantino di dare lezioni a senso unico.

La risoluzione, votata da 535 deputati (appena 66 contro e 52 astenuti), è infatti un atto politico vero e proprio. E fu approvata anche dai Socialisti e Democratici di cui è membro il PD. E recita: “Dopo Norimberga vi è ancora un’urgente necessità di sensibilizzare, effettuare valutazioni morali e condurre indagini giudiziarie in relazione ai crimini dello stalinismo… l’integrazione europea è stata una risposta alle sofferenze inflitte da due guerre mondiali e dalla tirannia nazista, che ha portato all’Olocausto, e all’espansione dei regimi comunisti totalitari… il riconoscimento del retaggio europeo comune dei crimini commessi dalla dittatura comunista, nazista e di altro tipo, nonchè la sensibilizzazione a tale riguardo, sono di vitale importanza per l’unità dell’Europa e dei suoi cittadini e per costruire la resilienza europea alle moderne minacce esterne». In questo modo la comoda distinzione tra “stalinismo” e “comunismo” perciò non è più possibile. E neppure dirsi Europeisti e fingere di non capirlo.

È caduta, insomma, la distinzione-menzogna che ha consentito a tante forze politiche e culturali di lucrare su una presunta differenza morale e storica tra stalinismo e comunismo grazie alla quale si poteva, e si doveva, condannare solo il nazismo o il fascismo, invece assolvendo il comunismo che nulla, secondo costoro, aveva a che fare con lo stalinismo. Nella risoluzione -infatti- quasi sempre la parola “stalinismo” è accompagnata e usata insieme a “comunismo”. Ed entrambe sono altrettanto chiaramente accostate ai crimini commessi dal nazismo e dal fascismo e come tali da considerare, senza attenuanti o assoluzioni pregiudiziali. Non ci sono delle differenze tra crimini nazisti e comunisti, dunque. Quindi anche il presupposto (o il dogma) della ideologia viene meno. E vengono meno, perdono di efficacia e anzi si trasformano in ridicole rivendicazioni talune iniziative anacronistiche e ipocrite. Di fondo, ignoranti.

Quando, circa un anno fa, nel milanese, a Cernusco sul Naviglio (patria calcistica di liberi doc: Scirea, Galbiati, Tricella…), ‘Altaforte’ aprì un punto vendita, un manipolo di difensori del nulla organizzò un fallimentare corteo di protesta al quale persino il cielo rispose con sdegno, rovesciandogli addosso un democratico acquazzone. Andato male quel tentativo, oggi il manipolo (diventato a quanto pare gigantesco, con numeri sospettamente gonfi e coscienti, proprio come i dati sulla pandemia) pare abbia raccolto addirittura 18mila firme, depositando il malloppo presso le istituzioni e tutte le sedi competenti, chiedendo a gran voce che quella libreria chiuda. Alla faccia della libertà, della cultura, della democrazia, dell’emergenza, della Costituzione e pure dell’Europa e delle sue risoluzioni. I libri, insomma, specie quando non allineati alla sola ideologia che per certi eroi di cartone pare avere sempre esclusiva e diritto di residenza, visti come un virus.

Eppure in quella libreria, neppure segreta ma ben visibile, non si tengono riunioni sospette, non si tramano golpe, non si veste di nero nè di grigiobruno e men che meno si saluta col braccio teso. Anzi, vi si acquistano testi interessanti e ben visibili persino già dalle vetrine. E non ci sono manuali di lotta armata e titoli che incitano all’insurrezione o alla dittatura, semmai pagine che invitano a una più oggettiva riflessione. Ma evidentemente la presenza di un solo pensiero alternativo appesta l’aria, secondo alcuni, più del Covid. E che 18mila (mah!) miei concittadini trovino una libreria un problema ora capitale, mentre da un anno siamo tutti costretti e reclusi in casa, le attività falliscono, gli anziani muoiono e i giovani abbrutiscono, mi pare assurdo. E magari fosse solo assurdo, anzichè essere (come è) il tragico specchio di un Paese ormai rincitrullito.

Mi spiace. Io non ci sto. Io trovo che le idee meritino più cittadinanza delle ideologie. E che le narrazioni e le visioni a senso unico abbiano sempre e solo prodotto danni. E del resto lo conferma proprio l’Europa con la sua esplicita risoluzione: nere o rosse pari sono. Anzi, per tornare ai fatti accaduti al Salone di Torino, aggiungo che -sempre nel 2019- l’Associazione Italiana Biblioteche (che non veste in camicia nera né è minimamente accostabile a rigurgiti fascisti) ebbe a sottolineare in una sua nota quanto segue: “Noi bibliotecari difendiamo quotidianamente con il nostro lavoro i diritti fondamentali di libertà e uguaglianza senza discriminazioni, di partecipazione attiva al dibattito pubblico, l’accesso più ampio possibile al confronto delle idee contro ogni forma di censura e crediamo nella valorizzazione delle diversità culturali per la crescita culturale e civile delle persone e delle comunità… stiamo riflettendo sulle forme tradizionali e nuove di censura, di disinformazione e conformismo culturale e sui modi per contrastarle… A nessun Comitato di Indirizzo è delegato il compito di stabilire quali editori possano accedere e quali no al Salone, a meno che non siano stati dichiarati fuorilegge”.

E cari amici cernuschesi (compagni non mi pare ‘europeisticamente’ opportuno) ‘Altaforte’ fuorilegge non è. Fatevene una ragione. E leggete di più. E magari con più varietà. Anzi, riflettete su quanto ha ribadito con forza proprio l’Associazione Italiana Biblioteche: “Il migliore antidoto alle dittature è praticare attivamente la democrazia, a cominciare dall’esercizio pubblico della memoria e della libertà di manifestazione del pensiero ovunque ciò sia possibile”. Un suggerimento che io da sempre condivido: nella mia modesta libreria privata (qualche migliaio di titoli) la biografia di Stalin convive da anni con quelle dei grandi Papi, di condottieri e dittatori, quadrumviri e socialisti, con Gramsci e Mussolini, il Corano e i saggi tibetani, il Vangelo e il manuale del tao, con Maradona e Pelè, i segreti dei purosangue e le curiosità sui gatti, i libri di cucina e quelli sui misteri della storia, dalle piramidi a Osama Bin Laden, dalla Baia dei Porci a Donald Trump.

A chi infine mi ha suggerito che – in realtà – ciò che è più temuto è che il titolare di ‘Altaforte’, l’editore Francesco Polacchi, sia un dirigente di Casa Pound, che il quotidiano ‘Repubblica’ definì senza contraltare un ‘imprenditore picchiatore e fascista, già pregiudicato per violenze’, e che probabilmente non sarà uno stinco di santo ma è un uomo libero e al quale va garantito ogni diritto civile, io rispondo che si sa, nessuno è perfetto: anche in questo caso perciò l’uomo sarà chiamato eventualmente a rispondere delle proprie azioni, ma la Casa Editrice e la libreria sono e rimangono un’altra cosa. Forse è per questo il caso di rinfrescare a qualcuno la memoria (o soccorrere in altri l’annaspante ignoranza, ovviamente nel senso non offensivo dell’ignorare) e fare quattro passi indietro negli anni.

Il 14 marzo 1972, a Segrate (a circa sei o sette chilometri proprio da Cernusco sul Naviglio), morì tragicamente, nei pressi di un traliccio dell’alta tensione, Giangiacomo Feltrinelli, soprannominato «il Giangi» (e durante la lotta armata «Osvaldo»), agiato e nobile marchese di Gargnano, già combattente della Resistenza, poi fondatore dei GAP, una delle prime bande armate di sinistra della stagione degli anni di piombo. ‘Osvaldo’ saltò in aria mentre cercava di attuare un sabotaggio. Ovviamente accadde che la maggioranza giornalisti, intellettuali e militanti vari, a caldo criticarono gli organi di polizia, ma anni dopo ‘L’Espresso’ ammise che «a poche ore di distanza dalla morte di Feltrinelli l’intellighenzia democratico-progressista e l’intera sinistra avevano iniziato un’operazione di rimozione radicale dei fatti, ritardando la nostra presa di coscienza della realtà».

Bene, anzi male, perchè di Feltrinelli, il quale ipotizzava anche in Italia la nascita di un «esercito internazionale del proletariato» composto da molteplici «avanguardie strategiche rivoluzionarie», ispirandosi in questo al Vietnam, alla Corea del Nord, alla Cina (definita dallo stesso editore quale «prima riserva strategica rivoluzionaria») e agli Stati socialisti del Patto di Varsavia, il tristemente noto Oreste Scalzone, ex-membro di Potere Operaio, nel 1988, affermò che forse era stato proprio lui a organizzare il vile omicidio del commissario Luigi Calabresi. In sé nulla di sorprendente, se si pensa a un ‘rivoluzionario’ guerrigliero però assai più ‘attivo’ e pericoloso del ‘temuto’ Polacchi (mai in odore di azioni notturne di sabotaggio o complotti delittuosi). Eppure nessuno chiese mai di chiudere (né mai si sognò di farlo) la ‘Feltrinelli’, che era -e per molti ancora resta- il punto di riferimento più importante per il pensiero critico di sinistra nel nostro Paese, né le sue librerie. Chi sarebbero – ordunque – i democratici?

Lucio Rizzica

Illustrazione di copertina: Jekaterina Budryte

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