Attualità,  Società

Come i pavidi si rivelino anche vigliacchi…

… dinanzi alla violenza perpetrata su bambini e adolescenti

Che la situazione di bambini e adolescenti sia, dopo solo un anno di lockdown oltre la soglia critica, lo confermano tutti gli studi svolti in vari paesi europei.

Da uno studio pubblicato in giugno dall’Ospedale Pediatrico Gaslini di Genova, è emerso che il 71% dei giovani italiani di età compresa fra i 6 e i 18 anni presenta, in seguito al lockdown, disturbi legati all’ansia fra i quali mancanza d’aria e difficoltà ad addormentarsi e a svegliarsi. Secondo uno studio congiunto dell’Università spagnola Miguel Hernández e di quella di Perugia pubblicato in aprile, fra i minori sia italiani che spagnoli il 31% presenta senso di solitudine e isolamento, il 38%- 39% irritabilità, nervosismo e irrequietezza, il 77% difficoltà di concentrazione.

E su questo scenario disastrato, si staglia la prospettiva di un distanziamento sociale senza fine: che si concluderà nel 2022 secondo gli scienziati italiani, nel 2025 secondo quelli americani e mai secondo il direttore del World Economic Forum.

Questo contesto che mette in crisi il processo di maturazione psicoaffettiva e, più in generale, di scoperta del mondo per milioni di giovani, chiama in causa il problema di cosa sia, sul piano etico e morale, questo “homo covid” sorto sul cadavere dell’umanità fino a quel momento conosciuta.

La maggioranza che sostiene il distanziamento permanente sostiene anche, de facto, la violenza psico-spirituale che – non solo attraverso l’impedimento fisico a relazionarsi, ma soprattutto attraverso l’indottrinamento alla paura dell’Altro – viene perpetrata ogni giorno ai danni delle giovani generazioni.

I sostenitori del New Normal, dinanzi all’accusa di rinunciare a ogni dignità del vivere per pavidità nei confronti della morte, ribattono rivendicando la valenza altruistica della propria posizione, ovvero ribadendo di accettare tutto questo al fine di preservare la salute altrui, in particolar modo quella delle persone anziane maggiormente esposte a rischio. Ebbene, ritengo onesto fare concessione almeno su questo specifico punto: in questi mesi di pandemia, in effetti, il problema del garantire i più anziani si è palesato in tutta la sua gravità e questo a prescindere dalle manipolazioni di media e governi sui dati dell’emergenza e sulla loro interpretazione.

Ma questo elemento certamente non attenua la responsabilità di chi, facendo propria la covideologia, avalla il fatto che ai propri figli venga preclusa a tempo indeterminato la scoperta dell’altro da sé, che venga ai bambini soppressa quella dimensione che Nietzsche definisce “dire di sì alla vita”.

Ovviamente, non mi riferisco alla mera ottemperanza alle norme di distanziamento vigenti a cui tutti siamo in varia misura costretti: penso, invece, all’adesione pedissequa a queste ultime e, soprattutto, alla diffusa assenza di qualsivoglia preoccupazione per le conseguenze sulla psiche giovanile del loro protrarsi a tempo indeterminato.

In questo senso, al netto della considerazione di cui sopra sugli anziani, il giudizio etico su questa nuova umanità amante del distanziamento, non può che essere carico di disprezzo.

Possiamo, cioè, ribadire la natura pavida di suddetta umanità in ragione, soprattutto, della sua rinuncia a ogni dignità sul versante dei diritti sociali e costituzionali. A questo possiamo però aggiuntivamente indicare, dinanzi alla manifesta irresponsabilità verso la compromissione dell’età evolutiva a cui sono sottomessi bambini e adolescenti, una valenza non meno grave di vigliaccheria.

Volendo, potremmo dunque sintetizzare come l’homo covid sia un pavido e un vigliacco che desidera – per sé stesso e per il resto dell’umanità – la riduzione della vita a un’inerzia stagnante e putrescente; un’inerzia che Freud potrebbe definire come una sorta di pulsione di morte permanente.

Riccardo Paccosi

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