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Cosa nasconde (e a chi conviene) l’aumento delle materie prime

La crescita importante del costo delle materie prime, dal grano, alla carta, al petrolio costituisce miscela esplosiva per produzione, consumi, benessere dei cittadini. Circa le cause c’è da chiedersi come sia stato possibile questo rialzo corposo e repentino, se per circa 20 mesi si sono consumate cifre infinitesime di molte materie prime e esse — in stasi di domanda — avrebbero potuto essere acquistate a prezzi convenienti sia a riserva che con contratti a data.

Le conseguenze di questo rialzo sono molteplici, ma tutte a vantaggio di banche e finanza e a danno di tutti gli altri. I titoli speculativi sono rappresentativi per il 10% del mondo reale e effettivo della produzione e dello scambio di beni merci e servizi. Per il rimanente 90% sono ‘investimenti su prodotti immaginari ‘, cioè titoli che rappresentano i futuri andamenti delle principali fonti di ricchezza, come le materie prime e il loro prezzo futuro.

Si ricorderà come ci veniva detto dei danni all’“economia” a causa dei ribassi del prezzo del petrolio. Molti erano sbigottiti per quella notizia contraria alle loro nozioni in proposito. Chi si doleva avrebbe dovuto spiegare che la diminuzione del costo del petrolio deprezzava i titoli future, quelli emessi sulle previsioni del suo costo futuro.

L’aumento del costo delle materie prime fa felici gli speculatori, che vedono valorizzato il loro portafoglio.  Fa felici banche e finanza per la maggiore quantità di denaro in circolazione in un domino di aumenti che va dal rincaro della materia prima al prezzo del prodotto finale.  Cresce in questo modo il PIL planetario, cioè il montante per il mercato speculativo. Mette di buonumore anche i politici sodali del sistema finanziario. Possono affermare con ragione apparente che “nonostante tutto la ricchezza è aumentata”.

Difatti è così: cresce il pil, crescono i profitti per i pochi possessori di materie prime e titoli.  Mentre la ricchezza (cresciuta) si concentra ancora in meno mani, la generalità dei cittadini è nelle peste: vedono ridotto il valore reale del loro reddito, diminuito il potere d’acquisto, assottigliate le riserve familiari. Diminuiscono anche lavoro e profitti.

Gli aumenti dei costi di produzione accoppiati a uno scenario reduce da una devastazione senza pari, depotenzia il lavoro e la produzione di reddito individuale, impoverisce ulteriormente ampie fasce di cittadini. Se poi sopravviene l’inflazione senza controllo e la conseguente deflazione (stasi dei consumi), arriva la miseria senza se e senza ma. Piangono anche le micro, piccole, medie imprese, prive di quel potere di acquisto che consentirebbe loro l’approvvigionamento massivo e a minor costo delle materie prime. Molte di loro saranno costrette a chiudere i battenti.

Concludere che ci stiamo confrontando con una nuova forma di aggressione alla società segmentata e con un altro strumento utilizzato dalla postdemocrazia finanziaria per raggiungere i suoi target è tutt’altro che fantasioso.  È abbastanza deprimente constatare come nessuno ponga la questione in questi termini.

È normale che lo scenario sia ignorato da Quirinale e Palazzo Chigi, istituzioni appartenenti agli artefici del passaggio alla postdemocrazia. Quasi senza spiegazione che associazioni di consumatori, di categoria, opposizioni, sindacati non evidenzino come stiano le cose e non facciano delle rimostranze. Glissano nonostante che la benzina abbia superato i 2 euro litro, l’energia elettrica, il metano e il gpl siano diventati roba per benestanti e un litro di latte costi al minimo quanto uno di carburante.

Maurizio Bianconi

Illustrazione di copertina: Pawel Kuczynski

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