
Crisi, identità, alleanze
Uno spunto per obiettivi convergenti che uniscano identità conflittuali.
La scrittrice Claudia Durastanti nel suo articolo “Traduzioni, impegno e identità” pubblicato sull’Internazionale accenna ad una riflessione di immediato interesse politico. Prendendo spunto dall’affare Gorman e dal dibattito su chi può tradurre chi e dalle derive identitarie a cui questo ha portato, la Durastanti arriva ad una conclusione da meditare: è impossibile tornare ad un universo culturale, mentale e politico in cui le identità (legate al genere, alla razza, all’orientamento sessuale, etc) erano cancellate da filosofie-ideologie universalistiche che schiacciavano ogni diversità concreta all’interno di categorie astratte come la classe sociale, l’umanità, la ragione universale, etc; bisogna quindi accettare che queste identità esistono, confliggono le une con le altre, sono portatrici di istanze talvolta incompatibili fra loro.
La sfida politica non è quindi cercare di farle rientrare in un nuovo schema universale che le ricomprenda assorbendole, ma creare delle alleanze su specifici punti comuni capaci di mobilitare tutti in vista di un risultato tangibile: le battaglie per il giusto salario e per l’ampliamento del welfare state in questo sono perfette. Lo sono perché intorno a queste battaglie è possibile trovare interessi convergenti che non negano l’esistenza di differenze e conflitti fra gli alleati, ma che possono essere combattute senza mettere al centro tali inevitabili divergenze.
Questa prospettiva potrà sembrare miope, poco attraente a livello intellettuale, persino reazionaria se “progresso” implica l’eliminare quanto prima ogni tipo di conflitto umano: ne siamo perfettamente consapevoli, ma l’alternativa accennata dalla Durastanti è un conflitto perpetuo di ogni identità con le altre, poiché ogni identità mira ad ottenere il massimo dei benefici per se stessa non curandosi (o persino gioendo) di quelli che leva all’identità affianco.
Adottare l’idea di alleanze mirate in questa precisa fase storica di malcontento diffuso, malcontento frutto dell’impoverimento generale generato dalla scelta ideologica dello stato di non dare sussidi economici alle categorie colpite dalle misure di contrasto alla pandemia, ha il grosso vantaggio di mobilitare un fronte molto vasto numericamente contro l’esecutivo, di smascherare le collusioni politiche ed economiche dei partiti di governo, che al di là delle (ormai ridicole) differenze ideologiche sono unite dall’idea che lo stato debba delegare ai privati i servizi d’interesse collettivo, che ogni richiesta di aiuto economico vada ignorata, che la mentalità aziendalista vada imposta ad ogni istituzione e ambito dell’umano.
Se – come sostiene la Durastanti – oggi è impossibile dimenticarsi di chi si è, a quale identità si appartiene e da quali identità si è diversi, è possibile però ricordarsi e ricordare agli altri che esistono battaglie comuni, e la battaglia contro l’ideologia dello stato minimo e la mercificazione di ogni ambito dell’umano è sicuramente una battaglia che vale la pena di combattere assieme.
Illustrazione di copertina: Dan Bejar

