
Dissonanze Cognitive Croniche
Avete mai sentito parlare della favola de “La volpe e l’uva”?
È il primo esempio conosciuto alla storia di quella che nella psicologia sociale viene descritta come Dissonanza Cognitiva.
La volpe affamata, non essendo in grado di raggiungere un grappolo d’uva posto in alto su una vite, dopo molti tentativi, se ne va via dicendo tra sé che l’uva è acerba, giustificando e ridimensionando così la propria sconfitta. In sostanza un autoinganno.
Come tutti i racconti e i miti anche questo, scritto da Esopo circa 2600 anni fa, porta con sé una saggezza antica data da un profondo spirito di osservazione e spiega con una semplicità ormai fuori moda un comportamento umano molto comune. Perché, detto tra noi, chi non si è mai comportato come la volpe?
Anzi, applicando gli sviluppi di questa teoria (elaborata da Leon Festinger nel 1957) alla vita di tutti i giorni e in senso più ampio al mondo moderno, ci accorgiamo immediatamente di quanto, non solo noi stessi, ma tutto ciò che ci gravita attorno ne sia impregnato. Una sorta di “mondo dissonante” in cui la differenza tra ciò che sappiamo e ciò che vogliamo nascondere e la continua ricerca di consenso e appagamento immediato ne sono le fondamenta.
Siamo spesso disposti a tutto pur di difendere le nostre convinzioni e incredibilmente anche quando vengono smentite dai fatti e dall’evidenza, invece di abbandonarle le abbracciamo con ancora più fervore.
Festinger, per spiegare meglio la sua teoria, fece un esperimento “live”: insieme ad alcuni suoi collaboratori si unì ad una piccola comunità religiosa mentre si preparava all’arrivo del giorno dell’apocalisse, in cui forme di vita superiori sarebbero arrivate da altri pianeti per salvare i membri di questo culto.

Quel giorno arrivò e ovviamente non ci fu neanche l’ombra della fine del mondo, ma nonostante la clamorosa smentita, i seguaci iniziarono a sostenere che il mondo era stato risparmiato “per la forza del bene e della luce” che loro stessi avevano diffuso; così, incredibilmente anche le loro credenze, anziché affievolirsi, si rafforzarono maggiormente.
Potremmo semplicemente interpretarlo come un comportamento assurdo e tipico di una setta, ma la verità è che quegli studi servono tuttora per comprendere i fenomeni di massa e i comportamenti sociali in cui tutti noi ogni singolo giorno ci rispecchiamo nel nostro rapporto con gli altri e con l’informazione. Nessuno escluso.
In un mondo dove abbiamo sostituito la religione con l’indottrinamento tecnologico e materiale, dove i criteri sociali ci mostrano quotidianamente cosa dire e fare entro determinati confini di pensiero, ci troviamo paradossalmente a modellare di continuo la realtà a nostro piacimento, scegliendo solo gli input che reggono le nostre impalcature ideologiche.
Ma per i tempi che verranno avremo bisogno più che mai di essere lucidi per interpretare in maniera incondizionata i cambiamenti e la realtà che ci verrà mostrata.
Saremo pronti? A domanda retorica segue una risposta scontata.

Se dovessimo giudicare lo stato evolutivo dell’essere umano osservando i social network, ne verrebbe fuori un quadro impietoso. In questa apparente autogestione dell’informazione in cui possiamo scrivere, commentare e criticare senza mediazioni, in cui possiamo rendere pubblica qualsiasi cosa, siamo anche spesso portati ad esprimere velocemente la nostra opinione e, in quanto pubblica, a difenderla scegliendo di ignorare le verità scomode che possono compromettere le nostre convinzioni e la nostra gabbia informativa.
I social sono ormai l’habitat naturale per questa continua gara alla prevaricazione delle proprie idee su quelle degli altri e i nostri tentativi di ridurre le dissonanze che possono disturbare la nostra armonia di pensiero ci portano a dividerci ed etichettarci sempre di più in bianco o nero, buoni o cattivi, giusti o sbagliati, senza renderci conto che questo divario ci rende ancor più deboli e manipolabili.
E i media indubbiamente giocano ogni giorno un ruolo determinante nell’indurci questi comportamenti.
Pensiamo all’impatto mediatico che un evento come la Brexit ha avuto su di noi; solo la storia dirà se sia stata o meno una decisione giusta per gli Inglesi, ma la cosa certa è che si è basata su un principio democratico, ormai sempre più raro.
Nonostante ciò, per due anni abbiamo subìto un bombardamento a senso unico da parte di gran parte dei canali mainstream, servizi e interviste che mostravano “i buoni” contrari all’uscita dall’Unione Europea in contrapposizione con “i cattivi”, ridotti alla parte più rozza e ignorante del paese, ai quali purtroppo il referendum aveva dato voce.
Nessun mea culpa, nessuna riflessione da parte di Bruxelles e degli europeisti sui tanti errori e sul perché la Gran Bretagna non credesse più nel progetto europeo.
Semplicemente quel paese con la sua capitale simbolo della multiculturalità era diventato improvvisamente razzista e per questa sua decisione di uscire sarebbe stato destinato a “sudare sangue” e a subire senza dubbi un futuro di profonda crisi.

Ovunque possiamo trovare esempi di dissonanze cognitive collettive poiché difficilmente accettiamo che le cose disattendano i nostri principi, pur essendo troppo spesso indotti. E l’informazione ci confeziona le varie possibilità di ricostruzione del reale così da soddisfare la nostra ricerca di consenso.
Un altro esempio lampante è legato al fenomeno dell’immigrazione che, attraverso una narrazione mediatica ad alto impatto emotivo, alimenta in noi una specie di obbligo morale a sostenerla nonostante nasconda neanche troppo celatamente una vera e propria tratta di schiavi di cui solo una piccola percentuale sta davvero scappando dalla guerra come ci veniva raccontato. Preferiamo così ignorare il fatto che l’enorme quantità di denaro che serve per alimentare questo business potrebbe servire per sfamare molte più vite, per costruire scuole, strade, pozzi, per aiutare concretamente la vera Africa disperata. A noi va bene così, in questo modo ci sentiamo in pace con noi stessi.
Viviamo nel trionfo dell’individualismo, una dicotomia tra la comodità di scelte semplificate e la fatica di riconfigurare i nostri modelli mentali che ci porta ad atteggiamenti irrazionali: crediamo nella democrazia solo se soddisfa le nostre ideologie, ci sentiamo solidali a parole senza far nulla concretamente per il prossimo, predichiamo il rispetto per l’ambiente consapevoli di essere il prodotto del consumismo, difendiamo la nostra libertà e siamo disposti passivamente a svenderla.
Ma ora siamo di fronte a una svolta epocale, il futuro è oggi, verrà ricordato nei libri di storia e se non ci liberiamo da questo confort mentale non saremo di certo noi a scrivere quelle pagine.
Una cosa è certa: in un’ipotetica versione moderna della favola di Esopo, dovremmo aggiungere un elemento che a quei tempi non era presente. Perché se noi siamo la volpe e i grappoli d’uva le diverse versioni della realtà, l’unica salvezza per un mondo migliore è rappresentata dalla nostra volontà di scoprire chi sorregge i rami.
Credo non ci sia modo migliore per concludere se non con una frase di Noam Chomsky, colui che insieme a Marx, Shakespeare e la Bibbia, è tra le fonti più citate nella storia della cultura:
“La prima cosa che dovete fare, è prendervi cura del vostro cervello. La seconda è tirarvi fuori dall’intero sistema di indottrinamento. Giungerà allora un momento in cui diventerà un riflesso naturale leggere la prima pagina del L.A. Times e riuscire a cogliere a colpo d’occhio le bugie e le distorsioni, un riflesso far rientrare tutto ciò entro una sorta di quadro razionale. Il vostro compito è quindi imparare a difendervi. Se disponessimo di un autentico sistema educativo, esso includerebbe corsi di autodifesa intellettuale”
Non è poi così difficile capire perché il suo pensiero non venga più studiato nelle Università.
Mario Percudani
Illustrazione di copertina: Davide Bonazzi

