Donne e pandemia
COME LA STAMPA E LO STATO HANNO ANGELIZZATO IL FEMMINILE PER SCARICARGLI SULLE SPALLE IL COSTO ECONOMICO-SOCIALE DELLA PANDEMIA
Facendo una rapida rassegna di come la stampa filogovernativa ha raccontato il Covid e la crisi economica-sociale ad esso collegata, salta subito all’occhio un particolare. Dominano per quantità e importanza le immagini di donne, così come il lessico collegato a virtù tipicamente femminili come resilienza, empatia, cura, ecc questo significa che i media si sono concentrati sulle problematiche socio-economiche delle donne, utilizzando la propria visibilità per chiedere alla politica di risolverle? Esattamente il contrario. Le immagini e il lessico femminile sono stati utilizzati per creare una narrazione dove sono gli individui e le famiglie a doversi sobbarcare il costo economico e psicologico della lotta al Covid, utilizzando le donne come simbolo di una capacità di resistenza che non chiede nulla alle casse dello stato, perché abituata ad arrangiarsi contro una realtà naturalmente sorda ed avversa.
Dalle infermiere-angelo massacrate da turni insostenibili per tamponare alle mancate assunzioni e alla disorganizzazione del sistema ospedaliero, passando per donne madri in smart working costrette a lavorare mentre badano ai figli in DAD, fino alle caregiver lasciate senza aiuti dalle ASL, alle donne la propaganda ha affidato il ruolo di tamponatrici di un welfare state che ideologicamente non deve estendersi, ma anzi arretrare da ogni ambito della società appena possibile.
L’ossessivo richiamo alle capacità/valori tipicamente femminili della resilienza e dell’empatia, sono state il segno più evidente di questo scaricare il peso dei fallimenti del sistema sul corpo e la psiche delle donne: mentre la resilienza veniva definita come la capacità di resistere alle avversità (psicologiche ed economiche) della pandemia senza chiedere aiuti allo stato e alla comunità, l’empatia svolgeva il fondamentale ruolo di collante e supporto psicologico di massa in assenza di una rete pagata dallo stato di professionisti/professioniste della cura psicologica: le donne oltre a dover sobbarcarsi la cura di bambini, anziani, casa e a dover lavorare, sono state investite anche del ruolo di psicologhe a costo 0 incaricate di lenire la solitudine degli abbandonati, dei disoccupati e di coloro che hanno cominciato a sviluppare disturbi psichici a causa dell’isolamento, della perdita del lavoro o della morte dei cari.
Mentre alle donne veniva imposta la veste di infermiere/psicologhe/madri/colf tutto rigorosamente a costo 0, la politica delle loro richieste e problematiche specifiche cosa ha accolto? A fatica ha sganciato un risicato bonus babysitter, ignorando tutto il resto delle loro richieste, rimandando ogni altro intervento all’arrivo dei soldi del Recovery Fund, identica strategia utilizzata dalla stampa mainstream, sempre generosa nel lavoro di empowerment ma quando sarebbe ora di abbracciare richieste economiche diviene improvvisamente afona, preferendo la sua routinaria elegia di imprenditrici di successo, mamme felici e influencer che si battono per il diritto al doppio cognome.
Illustrazione di copertina: Anna Parini