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Dove porta la guerra global ai classici

Come spiegare la guerra ai “classics” che si allarga negli Stati Uniti e pure sull’altra sponda dell’Atlantico e trova oggi conforto e rinforzo con l’arrivo alla casa Bianca dei progressisti e antirazzisti Joe Biden e di Kamala Harris? È stata proprio la “sua università”, quella da cui proviene la vice nera di Biden, la Howard University di Washington, a fare da capofila nell’opera di demolizione e di epurazione dei classici dagli studi. Trattandosi di un’università simbolo degli afro-americani, assume un significato speciale. La cacciata dei classici dalle università, non solo dunque del “conquistatore” Cristoforo Colombo ma dei grandi poeti, pensatori e letterati della tradizione antica, greco-romana ed europea, è diventata ora il simbolo della lotta dei neri contro la “supremazia” dei bianchi. La cultura è vista come un segno di violenza, schiavismo e sottomissione coloniale che l’occidente avrebbe esercitato sulle popolazioni indigene di tutto il mondo. Anche i capolavori della letteratura vengono sottoposti alla censura postuma e vengono giudicati dai tribunali e dalle piazze, dai MeToo e dagli Antifa, e non più nelle sedi letterarie in ragione del loro valore. Il significato umanistico viene sottomesso al valore umanitario e sottoposto al Tribunale Permanente dei Diritti Umani Violati.

Sono lontani i tempi in cui un presidente negro e illuminato, come Leopold Senghor, poeta e alfiere della “negritudine”, esibiva il suo amore per i classici e per la lingua latina e spingeva gli studenti più bravi del suo paese, il Senegal, e di tutta l’Africa nerissima a integrarsi anche tramite la cultura e l’assimilazione dei classici e della lingua latina.

Ora il problema non è integrare i neri, i latinos e gli indiani nella civiltà euro-occidentale ma dis-integrare la nostra cultura sin dalle sue radici e contrapporre i temi dei diritti umani a ogni discorso culturale, storico e spirituale. L’appello si estende a tutti gli occidentali che devono ricusare il loro passato, vergognarsi delle loro origini e sostenere la battaglia contro i classici, che a esaminarli furono tutti, più o meno, “razzisti”, “schiavisti”, “omofobi”, “maschilisti”, e via dicendo. Via la vita spirituale, al più cantiamo gli spiritual.

Perfino gli schemi del pensiero rivoluzionario vengono capovolti: le classi subalterne, i proletari, non devono impossessarsi delle idee dominanti e della cultura egemone per rovesciare i rapporti di potere e sostituirsi al comando della società; ma devono disprezzare la loro cultura e cancellare le sue tracce. Verso dove si va in questo modo? Verso una forma di imbarbarimento planetario e di ripiegamento narcisistico nell’oggi contro tutti gli ieri e i sempre.

È proprio su questo che vorrei soffermarmi. Dove conduce questa battaglia contro i classici, contro la cultura umanistica, contro le radici letterarie e artistiche, filosofiche e religiose, su cui è fondata la civiltà? Esattamente dove ci sta portando il neocapitalismo globale, più cinico e più rozzo: eliminare ogni sapere che non sia finalizzato a uno scopo pratico, utilitaristico, subordinare il bello all’utile, stabilire il primato assoluto delle condizioni economiche su quelle paludatamente ritenute “culturali”. Viva l’ignoranza delle classi oppresse rispetto alla cultura dei dominatori.

Perfino Pasolini, mezzo secolo fa, denunciava questa convergenza tra il movimento della ribellione, della contestazione globale contro la tradizione e la cultura e il disegno nichilista del nuovo capitalismo. Quando togli a una persona la sua cultura umanistica, il suo status di credente, il suo legame d’appartenenza con le sue radici e la sua tradizione, cosa resta? Resta il consumatore globale e resta il numero, la quantità, la forza e i rapporti di forza. Ecco la gigantesca alienazione che stiamo vivendo, in cui i movimenti di liberazione e di emancipazione diventano bracci armati dello stesso imbarbarimento e della stessa deculturazione di massa.

Un mondo sta saltando per questa alleanza sottotraccia, inconsapevole almeno in parte, tra i movimenti civili coi loro esiti incivili e il nuovo capitalismo globale. Mi sembra di vedere un mondo in cui le merci provengono dalla Cina e ti sono portate a casa tramite le grandi multinazionali del web, dopo averti invogliato con una serie di spot pubblicitari con ragazzi neri e gialli e l’elogio del mondo globale ma ecosostenibile. Manifattura cinese, distribuzione americana, pubblicità consumista-eco-progressista, cancellazione della filiera nostrana e di ogni traccia di lavoro artigianale, commerciale e produttivo nostrano. E tutto questo combacia alla perfezione con la cancellazione di tutto quanto richiami le nostre radici culturali, identitarie e letterarie. Intendiamoci, cancellare Dante o Chaucher non è la stessa cosa che cancellare un marchio industriale o artigianale, sono piani diversi: ma il processo è convergente e si chiama globalizzazione, riduzionismo globale. Dove quel che è inquietante non è solo il primato assoluto dell’economia, della finanza e della tecnologia sul mondo ma la sostituzione della cultura, della politica, della religione, della tradizione, delle civiltà con questo universo globale e funzionale. Alle merci ci pensano i cinesi, a farle conoscere e arrivare a domicilio ci pensano i giganti multinazionali e a darne una giustificazione “ideologica” e persino buona coscienza morale ci pensa il movimento di liberazione mondiale, nelle sue articolazioni: antirazzismo, MeToo, Antifa, cancel culture, pubblicità. Al posto di OmeroGeorge Floyd.

Per questo vi dico: guardate che difendere Virgilio, Dante o Machiavelli non è attardarsi a difendere l’erudizione di pochi, ma è segare i rami e l’albero su cui siamo seduti. Siano nani che martellano la testa dei giganti sulle cui spalle abbiamo finora camminato.

Marcello Veneziani

Illustrazione di copertina: Owen Gent

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