Attualità,  Cultura,  Politica,  Società

E’ tornato il comunismo

Secondo un vecchio aforisma se uno vede in lontananza qualcosa che si muove come un cavallo, ha la coda, quattro zampe e nitrisce, probabilmente è un cavallo.  Il cavallo in questione, forse, è il ritorno del comunismo. In altre forme, con un apparato di pensiero parzialmente rinnovato, soprattutto con sostenitori del tutto insospettabili, ovvero i super ricchi che l’ideologia e la prassi comunista proponevano di eliminare. Magari ci sbagliamo, ma gli indizi sembrano davvero troppi. Per i fondatori, Marx e Engels, l’essenza del comunismo risiedeva nell’abolizione della proprietà privata, più che sulla dittatura del proletariato. Allora, penserà il lettore medio, dove sta il problema, in un mondo nel quale tutto è privatizzato?

Esattamente lì, nell’immensa piramide di possesso – quindi di dominio- che l’ultimo trentennio, dopo la fine del comunismo storico novecentesco, ha ristretto sempre più verso l’alto. Pochissimi uomini, alcune centinaia di grandi corporazioni economiche, industriali, finanziarie e tecnologiche possiedono tutto. Ritorna l’avvertimento di Friedrich Von Hajek: chi possiede tutti i mezzi, finirà per determinare tutti i fini. Parlava del collettivismo, ma il ragionamento si può applicare alla situazione presente.

Nuova obiezione: lo scenario descritto può avvicinarsi al totalitarismo, ma è lontano anni luce da una prospettiva comunista. Sarà, ma non ne siamo convinti. Hannah Arendt ne Le origini del totalitarismo spiegava che i totalitarismi del XX secolo furono diversi da altre forme di potere autoritario, il dispotismo, la tirannide e la dittatura. Il totalitarismo distrugge le tradizioni politiche e l’ordine sociale precedente, portando all’estremo le caratteristiche della società di massa, ad esempio l’isolamento sociale e l’intercambiabilità degli individui. Non pretende soltanto la subordinazione politica, ma invade e controlla la sfera privata. I sistemi totalitari perseguono una politica diretta al dominio mondiale. La loro essenza è la paura e il principio di azione è il pensiero ideologico.

Sembra il ritratto del capitalismo terminale, specialmente alla luce dell’esperimento su scala mondiale della pandemia, con la sua logica di segregazione, isolamento, controllo per via sanitaria, il divieto della normalità. Il criterio della sorveglianza da remoto, la riduzione dell’uomo a un codice a barre, la burocratizzazione e la spersonalizzazione avanzano. E’ probabilmente alle porte – il vero significato del passaporto vaccinale è quello – un totalitarismo nuovissimo, fatto di sorveglianza digitale e di centralizzazione del potere.

Ancora, tuttavia, che cosa c’entra il comunismo? Molto, secondo noi. Anni fa, un osservatore dell’acutezza di Maurizio Blondet parlò, a proposito della direzione della società, che ci stavamo immergendo in un inedito comunismo oligarchico. Coglieva la deriva che ci sta trascinando a fondo: la debolezza degli Stati nazionali, sconfitti dal potere finanziario e tecnologico mondializzato, sostanzialmente deterritorializzato, diventata la forza dirompente di monopoli privati giganteschi, assai più potenti dello stesso apparato comunista.

Non vi è molta differenza, per la gente comune, se tutti i mezzi (di produzione, di intrattenimento, di educazione, cultura, il denaro, eccetera) sono nelle mani dello Stato, cioè della nomenklatura e dell’alta burocrazia di matrice comunista, o di una cupola lontana e onnipotente di padroni universali. Con franchezza ce lo hanno detto a proposito del Grande Reset, la tabula rasa: non avrai nulla e sarai felice. Si propongono di avocare a sé la proprietà di tutto: perfino l’automobile, i vestiti, l’abitazione, saranno in affitto. I noleggiatori sono loro, a noi il compito di consumare quanto decideranno, insindacabilmente, dall’alto di un potere immenso quanto mai nella storia.

Non è più nostro neppure il denaro; la strada imboccata è la digitalizzazione di tutti i pagamenti. Tasche vuote di contanti, ma portafogli pieno di carte elettroniche con il magico chip che controlla, processa i dati e permette – o nega – l’accesso. L’uomo senza denaro è immagine della morte, dicevano i latini. Giuridicamente, l’esproprio è già avvenuto. Quando depositiamo i nostri soldi in banca, o accettiamo che il nostro stipendio, salario, pensione, parcella professionale stia in un conto bancario, la proprietà è in capo all’istituto di credito, che si impegna a restituircelo nei modi e nelle quantità che la legge definisce e secondo procedure private sulle quali non abbiamo diritto di intervenire. Questo e altro è scritto nelle pagine stampate in caratteri minuscoli che firmiamo ogni volta che accediamo in banca.

Non avremo nulla- in buona parte non abbiamo già nulla – ma saremo, dicono, felici.  Contenti di pagare con le tasse l’affitto di casa allo Stato, fieri di noleggiare un’automobile, perfino un abito, felici, in definitiva, di dipendere dagli altri, anzi da “loro”, i Signori. Dicono che è meglio così: nel mondo liquido (ma lo hanno liquefatto gli stessi che ne parlano!) tutto cambia in fretta, perché possedere merci che passano rapidamente di moda, perché rimanere fermi in un luogo? Ci vogliono nomadi, sradicati, senza fuoco né luogo, come dicono i francesi. Tutto corre veloce, è il panta rei di Eraclito declinato in salsa post moderna.

Ma c’è il mercato, replicheranno ancora i dubbiosi. Quale mercato, se da esso vengono espulsi ogni giorno gli operatori più piccoli, poi, in rapida sequenza, quelli medi, e i grandi, per lasciare spazio solo ai giganti. Sarebbe il regno degli squali, se la natura, nella sua divina saggezza, non avesse meccanismi di equilibrio che l’uomo, il Titano con lo sguardo teso al dominio, sta distruggendo a tappe forzate. In tutto questo, la dimensione pubblica – la polis, lo Stato – viene depotenziata per farla riemergere sotto forma di gendarme, guardia del Signore, sgherri di un nuovo totalitarismo sulla moltitudine divenuta gregge per paura (il bastone fatto di sanzioni, divieti, malattie) e per desiderio (la carota del consumo, dei diritti, del piacere edonista).

In Italia siamo “avanti”, giacché abbiamo affidato tutto il potere – nell’interminabile Stato d’eccezione a discrezione- a un esponente dell’iperclasse, il banchiere intoccabile con passaporto diplomatico della BIS, Bank of International Settlements, la cupola delle banche centrali. Il vecchio, stantio internazionalismo comunista (che ancora riconosceva popoli e nazioni) è oltrepassato dal globalismo a cui danno nomi gentili: società aperta, abbattimento dei muri, mondo arcobaleno. Intanto, siamo prigionieri di signori feudali che non assumono neppure, come quelli medievali, la responsabilità del nostro sostentamento.

O forse sì: generalizzeranno un reddito universale digitale- modesto, perché qualcuno dovrà pur lavorare e bisognerà pagarlo un po’ di più– e con quella preziosissima card compreremo esclusivamente ciò che il Dominio vorrà. Un po’ di cibo –meglio se artificiale, così vogliono i padroni, ribattezzati filantropi, come Bill Gates, Soros e compagnia pessima – gli apparati elettronici per essere connessi h. 24 e poter spendere quel che resta in banalità scovate online sotto l’occhio vigile dei padroni che ci hanno perfettamente profilato e sanno in anticipo ciò che faremo e che cosa desideriamo.

Ancora un sinistro legame con il comunismo: Marx immaginava magazzini aperti, pieni di ogni merce che il sistema produttivo avrebbe messo liberamente a disposizione. Almeno era gratis, nelle promesse. Pagare tocca ancora a quelli che non possiedono nulla e fanno trasfusioni di sangue quotidiane a un immenso sistema Dracula. Le promesse del capitalismo- assoluto in alto- fattosi comunismo in basso non sono gradevoli. Non saremo felici. Il guaio del nostro tempo è che non c’è più il futuro di una volta: aveva ragione Paul Valéry.

Chi ci espropria, ci deruba. Chi ci vuole privi di qualsiasi bene materiale è lo stesso che ci ha tolto i beni spirituali: anche in questo la coincidenza tra capitalismo e comunismo è sconcertante. Costruire qualcosa per sé e per i figli è l’ambizione più naturale, lasciare qualcosa a chi ci seguirà è ciò che le generazioni di ogni tempo e luogo hanno desiderato e fatto. Basta: l’uomo nuovo, formattato, l’animale d’allevamento con cartellino del prezzo, codice a barre e QR da esibire a richiesta dallo schermo dello smartphone non ha né padri né figli e la sua vita somiglia all’ inutile lotta tra naufraghi della Zattera della Medusa.

Non ci credete, siamo troppo pessimisti? Sentite che cosa ne pensa uno che di comunismo se ne intende, Vladimir Putin. Per il presidente russo ci sono evidenti analogie tra l’Occidente contemporaneo e gli inizi del comunismo sovietico.  La strada che l’Occidente ha intrapreso è quella della distruzione delle fondamenta della tradizione, dell’immagine stessa dell’uomo. Nell’annuale discorso di Valdai ha sottolineato le similitudini con la rivoluzione comunista. “Dopo la rivoluzione del 1917, i bolscevichi dissero che avrebbero cambiato i modi di vivere e i costumi esistenti, non solo politici ed economici, ma la stessa nozione di moralità umana e i fondamenti di una società sana. La distruzione di valori secolari, la religione, le relazioni tra le persone, fino al rifiuto totale della famiglia (abbiamo avuto anche quello), istigazione a “informare” sui propri genitori: tutto questo è stato proclamato progresso ed ampiamente sostenuto in tutto il mondo. Allora era piuttosto di moda, come oggi. In più, i bolscevichi erano assolutamente intolleranti verso opinioni diverse dalle loro. Questo, credo, dovrebbe richiamare alla mente parte di ciò a cui stiamo assistendo ora. Guardando ciò che sta accadendo in alcuni paesi occidentali, siamo stupiti di rivedere pratiche che furono nostre, che fortunatamente abbiamo lasciato nel passato.”

Non è tutto: la lotta per l’uguaglianza e contro la discriminazione si è trasformata in dogmatismo aggressivo al limite dell’assurdo. Le opere dei grandi del passato – come Shakespeare – non vengono più insegnate nelle scuole e nelle università, perché le loro idee non corrispondono ai criteri dei nuovi bolscevichi. I classici sono dichiarati arretrati poiché ignorano l’importanza del “genere” o della razza. Così continua Putin: “A Hollywood vengono distribuiti memoranda sulla “corretta” sceneggiatura dei film, su quanti personaggi ci devono essere e di quale colore e genere. Questo è anche peggio del dipartimento agitprop del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Contrastare gli atti di razzismo è una causa nobile, ma la nuova cultura della cancellazione l’ha trasformata in razzismo al contrario. L’enfasi ossessiva sulla razza divide ulteriormente le persone, quando i veri combattenti per i diritti civili sognavano proprio di cancellare le differenze e rifiutarsi di dividere le persone per colore della pelle. “

La conclusione è sconsolante: “in alcuni paesi occidentali il dibattito sui diritti dell’uomo e della donna si è trasformato in una perfetta fantasmagoria. Vien voglia di avvertirli: guardate, state attenti a non andare dove una volta i bolscevichi avevano pianificato di andare. I fanatici di questi nuovi approcci arrivano persino a voler abolire del tutto certi concetti. Chiunque osi dire che gli uomini e le donne esistono davvero, che è un fatto biologico, rischia di essere ostracizzato. Genitore numero uno e genitore numero due, genitore alla nascita invece di madre, latte umano che sostituisce latte materno perché potrebbe turbare le persone insicure del proprio genere. Ripeto, questa non è una novità; negli anni ’20, anche i cosiddetti Kulturtraeger sovietici (“portatori di cultura”) hanno inventato un linguaggio nuovo, credendo in quel modo di creare una nuova coscienza e di cambiare i valori”. 

Putin ha infine manifestato la sua visione del futuro: non le multinazionali, ma gli stati-nazione sono le unità costituenti dell’ordine mondiale. Le grandi corporazioni (Google, Facebook, Big Pharma, Big Tech) non saranno in grado di usurpare funzioni politiche ed elevarsi al livello dello stato nazionale. In Russia e altrove, non in Occidente. “I sedicenti risvegliati (woke) intenti a sovvertire tutto, non sono diversi, nei comportamenti, dai comunisti che distruggevano valori centenari e millenari, ridisegnando le relazioni interpersonali, esigendo la delazione contro amici e familiari. Questo si applaudiva come marcia del progresso”.

Siamo ancora convinti che il totalitarismo dei super padroni non abbia i tratti sinistri del comunismo, nascosti dietro la maschera dei diritti, dell’uguaglianza, della non discriminazione? Gigantesche, globali armi di distrazione di massa per espropriarci di noi stessi e di ogni cosa. No, non saremo felici.

Roberto Pecchioli

Blondet & Friends / Illustrazione di copertina: Joey Guidone

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *