Empatia
La parola usata dal potere per spezzare ogni nostra richiesta collettiva di giustizia sociale.
Insieme a resilienza, empatia è la parola magica utilizzata dal governo e dai media mainstream per scaricare sull’individuo i costi economici e psicologici della crisi pandemica.
Perché utilizzare proprio il concetto di empatia? Perché è collegato alla sfera individuale ed emozionale dell’individuo, al rapporto personale con l’altro, e rimanda ad una nozione prevalentemente passiva dei rapporti interumani, dove si partecipa alla gioia o alla sofferenza altrui senza agire, essendo già soddisfatti di entrare nei panni dell’altro.
Facendo un passo avanti nel ragionamento, l’empatia è l’esatto opposto della solidarietà, ossia l’agire in maniera attiva e collettiva per difendere ed espandere il benessere altrui, tutelandolo dalle forme di oppressione economiche, sociali e psicologiche come recita l’articolo 2 della costituzione italiana
«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.»
La solidarietà è collegata principalmente (ma non solo) alla sfera razionale, al principio di redistribuzione di risorse e di possibilità d’autorealizzazione, è collettiva e non individuale, punta a realizzare la giustizia e non la carità.
Per questo la propaganda filogovernativa evita di usare il termine solidarietà e lo sostituisce con quello d’empatia: suggerendoci subdolamente che non esistano più collettività (cioè ceti, classi sociali, etc) ma solo individui in perenne lotta fra loro, demanda alla bontà e ai sentimenti dei singoli l’alleviare i mali collettivi, evitando così che i cittadini si uniscano in corpi intermedi capaci di elaborare e proporre soluzioni politiche per attutire le diseguaglianze della crisi.
Facciamo un esempio pratico: un lavoratore che vede il licenziare il suo migliore amico, provando empatia per lui gli darà parte del proprio stipendio, che essendo già basso di per sé, se va bene servirà a pagare le bollette o la spesa della settimana. Se invece il medesimo lavoratore riflette razionalmente sulla situazione, e comprende che l’amico è stato licenziato a causa della crisi economica legata alla pandemia, che essendo un problema collettivo va affrontato collettivamente e non individualmente, formerà o si unirà ad un sindacato e a partiti che portano avanti richieste redistributive, facendo pressione tramite il proprio impegno sindacale e politico perché il governo blocchi i licenziamenti, aumenti le risorse destinate alla cassa integrazione, blocchi o riduca gli affitti, etc permettendo così al suo migliore amico di non cadere nella povertà e di non dover sopravvivere sperando ogni giorno nella carità (cioè nell’empatia) altrui. Questo secondo atteggiamento è la solidarietà, la cui forma più diffusa e organizzata è la solidarietà di classe, ossia la lotta collettiva di chi vive le stesse condizioni economiche, lavorative ed esistenziali per migliorare (o, in caso di crisi generale, mantenere invariate) il proprio status.
Essendo l’attuale governo così come i media mainstream di impostazione neoliberale, il suo obbiettivo è soffocare in tutti i modi l’esistenza stessa della nozione di solidarietà, e per farlo a livello propagandistico-narrativo sta tentando di sostituirlo con quello d’empatia.
Nostro dovere è fare un’opera sistematica di decostruzione di questa narrazione, e ogni qual volta un giornalista, un influencer, un “competente” pagato dal governo a dai media mainstream utilizza il termine empatia, dimostrare come lo faccia solo per impedire che nel nostro cervello si affacci il pensiero di unirci ad azioni collettive contro le ingiustizie economiche e sociali.
Illustrazione di copertina: Brian Stauffer