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Facebook come metafora della nuova normalità

Il mio account principale è stato di nuovo bloccato. Come avevo scritto pochi giorni fa, ero certo che non sarei arrivato a mangiare il panettone. A dir la verità avevano già tentato l’altro ieri, ma poi erano ritornati sui loro passi. Stamani lo hanno di nuovo bloccato, per lo stesso post. Solo che questa volta manca la possibilità di fare opposizione. La freccia per accedere alla procedura è disabilitata, o meglio, è proprio sparita.
É la seconda volta che mi succede: bloccano, sbloccano ma poi l’account resta limitato. Per un mese. Senza un motivo valido.
So per certo che ci sono dei gruppi che segnalano a prescindere tutti i miei post. Sicuramente questo aspetto incide. Ma alla luce di fatti sopra menzionati devo concludere che anche l’azienda ci mette del suo per censurare i miei contenuti. La pagina è evidentemente sottoposta a shadow ban. Anche l’account principale non fa più i numeri di una volta. Se a questo ci si aggiunge che in 10 mesi il mio profilo è stato soggetto a restrizioni per 7 mesi, e che negli ultimi quattro è stato attivo meno di una settimana, è evidente che da parte dell’azienda c’è una chiara volontà di impedirmi di esprimere il mio pensiero.
Chiaramente non vogliono che si parli dell’escalation del conflitto in Ucraina, del caro energia e dell’interruzione della supply chain, che sono i temi che mi stanno più a cuore in questo momento e che a mio parere determineranno lo tsunami che si sta cercando di occultare con la scusa della pandemia.
Ma non è di questo che volevo parlare.

Al punto in cui siamo i blocchi di Facebook sono il minore dei mali. Quello che penso di dover dire riesco comunque a veicolarlo attraverso altri canali, compresi i numerosi incontri che svolgo di persona.
Mi volevo invece concentrare sul senso di ingiustizia e di impotenza che provo di fronte a questi abusi, visto che da quando è iniziata questa vicenda, sono le sensazioni che hanno pervaso quasi tutte le mie giornate.
Quante volte in questi mesi ci siamo ritrovati a dire “non è giusto”?
Quante volte di fronte alla domanda “che fare”, siamo rimasti senza parole?
Ingiustizia e impotenza.
Ci troviamo di fronte ad uno sconvolgimento epocale delle nostre vite e oltre a non capire come sia stato possibile, non sappiamo neanche cosa fare.
Il motivo non è poi così difficile da intuire: ragioniamo secondo categorie spazzate via della cosiddetta “Nuova Normalità”. Siamo ancora convinti che giusto e sbagliato siano concetti assoluti e non la diretta emanazione di precisi rapporti di forza.
Il mondo nel quale viviamo è stato edificato grazie al lavoro dei nostri antenati, ma il progetto non era il loro. Hanno contribuito come manovalanza, ma gli architetti erano altri. Le nostre società sono organizzate secondo i criteri stabiliti dai ceti dominanti. Stesso discorso vale per il sistema economico e il modello di sviluppo.

Facebook non fa eccezione, anzi è la perfetta metafora di questo concetto.
E’ un mondo edificato su progetto del complesso militare-industriale-mediatico-scientifico USA. Noi lo abitiamo, ma il progetto e la proprietà sono i loro. E’ inutile appellarsi a concetti astratti di giustizia.
Hanno creato questo ecosistema e pertanto si sentono in diritto di governarlo a loro piacimento.
Allo stesso modo in cui le élite regolano quello che abitiamo realmente. E se queste norme entrano in conflitto con quelle del mondo reale, date tempo al tempo, a cambiare saranno le seconde.
Gran parte delle operazioni psicologiche che stanno mettendo in campo serviranno proprio a creare le condizioni per queste modifiche.
Anche in questo caso la scusa sarà quella della salute pubblica.
La precauzione intesa come minimizzazione del rischio (non del pericolo), è il grimaldello con il quale stanno scardinando le nostre libertà.
Con la scusa della sicurezza hanno un poco alla volta normato tutti gli aspetti della nostra vita.

Per quale motivo non dovrebbero fare l’ultimo passaggio ed essere loro a concedere i diritti di cittadinanza?
Chi glielo impedisce?
Il fatto che non sia giusto?
Chiedetelo al vostro vicino di casa se non è giusto.
E’ per la sicurezza di tutti.

Nella fattoria gli animali sono sicuri ma non liberi. Il fattore li vaccina, li nutre (con mangimi schifosi, che costano poco e hanno un gusto artificiale), gli offre un riparo dalle intemperie e all’occorrenza li macella.
Volete vivere come lupi della steppa? Prego accomodatevi, ma non nella loro fattoria. Se entra un lupo nel nostro recinto in genere gli sparano.
Chi vuole godere della benevolenza del fattore deve farsi bovino. Ma a volte la remissività non basta.
Infatti se ad un certo punto arriva la necessità di riorganizzare la fattoria e si sa in anticipo che per un certo periodo non ci saranno luoghi caldi e cibo in abbondanza per tutti, bisogna fare in modo che gli animali non si ribellino al loro “benefattore”.
Di qui la necessità del controllo di massa: stanno ristrutturando e sanno in anticipo che per molti la cuccagna sta per finire.
Anziché lasciare che sia il caos a governare il riassetto, stanno procedendo ad una demolizione e successiva ricostruzione controllata. Continuano a prendersi cura di una parte degli animali facendo in modo che non si accorgano della ristrutturazione e allo stesso tempo si stanno dotando di strumenti per gestire quelli che stanno mostrando i primi segnali di nervosismo.

Ma tutto ciò non ci deve stupire, il mondo è sempre andato così, solo che ce ne eravamo dimenticati.
Allevati in batteria come durante il fordismo o a terra come nel dopoguerra, gli uomini contemporanei sono sempre stati animali da cortile.
I nostri avi sapevano perfettamente di muoversi su un terreno ostile e che tutto quello che possedevano era per gentile concessione del sovrano di turno.
Si poteva parlare di giustizia solo nelle questioni tra pari.
Nessuno si sarebbe sognato di parlare di giustizia nelle questioni in cui c’era di mezzo il Potere.
Per questo motivo non si fidavano dello Stato; sapevano perfettamente che era una diretta emanazione del Potere. Quello vero.
Il dopoguerra ci ha illuso che le cose fossero cambiate e con il tempo quella sfiducia atavica è venuta progressivamente meno, fino a giungere ai livelli di cieca obbedienza attuali.

In realtà il Potere ha capito che non poteva combattere simultaneamente su due fronti: l’URSS da una parte e il popolo dall’altra.
Ha così scelto di allearsi temporaneamente col popolo per sconfiggere l’Impero del Male.
La classe media è servita a questo. Doveva far schiattare d’invidia i popoli del Patto di Varsavia al fine di logorare l’Unione Sovietica dall’interno.
Una volta abbattuto il nemico esterno si sono potuti concentrare su quello interno.
Un poco alla volta si sono ripresi ciò che ci avevano prestato per vincere la prima partita. Ora siamo al saldo finale.
Hanno fatto ciò che gli riesce meglio: ci hanno spaccato in due e ora stanno utilizzando una parte della popolazione, come esercito sul campo, per schiacciare i ribelli.
Prima faremo i conti con il nuovo paradigma e prima troveremo nuovi strumenti per orientarci.
Non è più una questione di giusto o sbagliato.
Faranno tutto ciò che è necessario. Oramai hanno superato il punto critico e non hanno nessuna intenzione di rimanere a metà del guado. Questo mondo lo hanno progettato loro pertanto si sentono in diritto di smontarlo e rimontarlo a piacimento.
Se non ci garbano le loro fattorie possiamo sempre accomodarci nella steppa, come del resto ci stanno caldamente suggerendo.

Giorgio Bianchi

Illustrazione di copertina: Pawel Kuczynski

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