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Fukushima 11 marzo 2011 – 11 marzo 2021. Per non dimenticare

Per non dimenticare non bastano le (scarse) commemorazioni. Per non dimenticare bisogna imparare la lezione. Per non dimenticare è necessario che la hybris positivista del “non c’è problema, la scienza ha fatto le sue valutazioni, la scienza non si fa per alzata di mano” venga ridimensionata. E che i legami scienza-politica e scienza-business smettano di sopravanzare i principi della bioetica ogniqualvolta si parli di innovazioni tecniche, tecnologiche o metodologiche. La bioetica si fonda sul principio di precauzione e su scelte politiche cautelative: che si parli di produzione energetica, di intelligenza artificiale, di robotica, di alimentazione, di onde elettromagnetiche, di farmaceutica e medicina, di biotecnologie e nanotecnologie. Inoltre, pone i paletti etici rispetto a tutti i possibili utilizzi presenti e futuri, e gli sviluppi, di ogni elemento di sostanziale innovazione con possibile incidenza sulla salute da una parte, e sui paradigmi antropologici dall’altra. La bioetica pone questi paletti prima, a monte, e non dopo che siano stati oltrepassati: perché dopo è tardi sia per rimediare concretamente ai possibili danni, sia, soprattutto, per tornare indietro concettualmente. Infranto un tabù, non si torna indietro: una volta sganciata la bomba atomica, la bomba – ancorché soltanto in potenza (potenza che però può sempre trasferirsi nell’atto) – è stata ed è la protagonista del mondo a venire. Anche quando non se ne parla.

Di fronte a catastrofi di dimensioni bibliche, il senno di poi è intollerabile, perché corrisponde a una criminale incoscienza e dabbenaggine di prima. Dopo Fukushima, credo che nessuno sappia che farsene del “si è verificata una concomitanza di eventi non prevedibile”.

Le autorizzazioni al commercio e le richieste di utilizzo di prodotti, dispositivi, infrastrutture e tecniche (e tanto più gli obblighi), devono essere fatte soltanto dopo che i rischi siano stati scongiurati, in via definitiva, sulla base di evidenze scientifiche incontrovertibili, ottenute attraverso modalità e tempistiche consone; sulla base di studi e previsioni che prendano in esame anche le ipotesi più improbabili ed estreme (come un terremoto di magnitudo 9, seguito da un devastante tsunami, nei pressi di una centrale nucleare, per esempio).

Il principio rovesciato è chiaramente un modo per sfidare la sorte giocando alla roulette russa: se le autorizzazioni vengono date a priori, supponendo che non ci sono rischi finché non siano eventualmente fornite prove in tal senso, la civiltà umana evidentemente vuole giocare con la possibilità della catastrofe, fino all’estremo dell’estinzione. In un’epoca come la nostra, con la sua velocità di innovazione tecnologica, e gli imponenti interessi economici che la sospingono, la bioetica non può essere sospesa né rovesciata in nessun caso, nemmeno in situazioni di emergenza. Soprattutto se le conseguenze di determinate autorizzazioni riguardassero non un ristretto gruppo di persone (per i quali il rapporto rischi/benefici potrebbe pendere nettamente dalla parte dei benefici), destinato ad allargarsi gradualmente in un lungo periodo, ma la totalità della popolazione o quasi, tutta insieme, e magari con forme di coercizione. Perché qualora le prove della dannosità dovessero poi essere fornite, sarebbe troppo tardi per rimediare, e nessuno avrebbe il diritto di dire “non lo avevamo previsto”.

Brian Stauffer – AD: Nicholas Blechman, for The New York Times Book Review

Venendo all’Italia, per fare un esempio, il TAR e il Consiglio di Stato hanno denunciato ripetutamente il mancato rispetto del principio di precauzione, insieme a quello di proporzionalità, nelle norme che obbligano i bambini, indiscriminatamente, a indossare le mascherine per 5-6-8 ore al giorno tutti i giorni feriali continuativamente. Non sono stati valutati i possibili rischi per la salute dei bambini. La norma, in definitiva, è stata dichiarata illegittima da una sentenza. Tuttavia questi pronunciamenti non hanno comportato alcuna iniziativa conseguente da parte del governo, che al contrario ha deciso di perpetuare la conclamata illegittimità riproducendo pedissequamente norme già censurate. Ci sono indagini che hanno rilevato nel 70% delle mascherine comunemente in uso, anche da parte dei bambini, sostanze con alto rischio cancerogeno. E anche in questo caso il principio di precauzione non è intervenuto, né a monte (come denunciato nei pronunciamenti dei tribunali), né all’emergere di tali, non lievi, “criticità”. Il prezzo di questo procedere incauto potrebbe essere pagato dai bambini di oggi – che portano questi dispositivi anche per 8/10 ore al giorno – tra 20, 30 o 40 anni. Sarà un po’ tardi per piangere.

Dei vaccini e della corsa per anticipare le autorizzazioni di qualche mese (fidandosi di osti pluri-condannati che parlano bene, benissimo del proprio vino, e dei dati da loro stessi forniti) riparleremo tra qualche mese, o anno. Anche qui, il principio di precauzione è completamente saltato. Ci stiamo collettivamente assumendo una serie di rischi totalmente ignoti, prescindendo da una considerazione del rapporto rischi/benefici caso per caso, o almeno categoria per categoria.

Fukushima è ancora lì, e per i prossimi 40 anni almeno condannerà il Pianeta e i suoi abitanti a subire ancora e ancora gli effetti della sua maledizione (poi, certo, basta non parlarne, e lo struzzo è sicuro che vada tutto bene; se è molto fortunato, non ha nemmeno il tempo di accorgersi di essere sbranato).

Da Il Post: “La Tepco prevede che ci vorranno ancora altri trent’anni di lavoro per recuperare tutte le barre di combustibile non danneggiate, quello che si era fuso, smontare i reattori e gestire l’acqua contaminata. Secondo il governo giapponese, smantellare la centrale costerà in totale l’equivalente di 64 miliardi di euro, ma i tempi e di conseguenza i costi potrebbero essere maggiori. (…) La cosa più difficile sarà decidere cosa fare dell’acqua contaminata e attualmente contenuta in più di mille grandi serbatoi: ce n’è per più di 1 milione di tonnellate, come 400 piscine olimpioniche. (…) Il governo giapponese vorrebbe disperderlo gradualmente nell’oceano Pacifico. Questa soluzione è però contestata da gruppi ambientalisti e dall’industria della pesca, quindi non si è ancora deciso cosa fare: servirà una decisione nel prossimo anno, dato che Tepco prevede che finirà lo spazio per stoccare l’acqua contaminata entro l’estate del 2022.”

Urge una riflessione culturale ed etica collettiva, che si distacchi dal ricatto dell’adesione emotiva a un presente in perenne emergenza, e che sappia riconsiderare lucidamente la memoria del passato e le prospettive per il futuro.

Carlo Cuppini

Fotografie di Pierpaolo Mittica per la serie “No Go Zone”


Fonte:

https://militanzadelfiore.blogspot.com/2021/03/fukushima-11-marzo-2011-11-marzo-2021.html

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