Gender: la lista nera dell’ONU
La lista nera di chi si oppone all’ideologia del genere.
L’ “agenda della diversità” lavora attivamente per l’uniformità di pensiero. E’ servito chi ancora pensa che l’ideologia di genere sia una moda passeggera a cui non fare troppo caso, con i suoi precipitati-matrimonio, adozione e genitorialità omosessuale, diffusione dell’idea che il sesso non sia determinato dalla biologia, ma sia un costrutto sociale, un orientamento revocabile e l’appartenenza a uno dei tanti generi inventati dall’officina di Vulcano decostruzionista, una scelta soggettiva non eccepibile. L’ufficio per i Diritti Umani dell’ONU sollecita contributi per elaborare una sorta di lista di proscrizione, la schedatura in cui registrare chi si oppone all’ideologia del “genere”, o gender. I contributi chiesti dalle nazioni Unite – il nome falso e fuorviante di un gigantesco carrozzone dominato dagli Usa e dalle Organizzazioni Non Governative private occidentali – consistono, evidentemente, in informazioni delatorie.
Si incita altresì a svolgere un vero e proprio lavoro di intelligence contro determinati gruppi della società civile. Governi, organizzazioni internazionali e locali, organismi e programmi dell’ONU, le onnipresenti ONG – che pagano il conto a piè di lista – associazioni del mondo LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali uniti nella lotta) oltre alle femministe, tutti convocati per fornire i nomi che ingrosseranno l’archivio dei dissidenti.
Evviva la libertà di pensiero, conculcata dall’istanza teoricamente più elevata della cosiddetta ed inesistente “comunità internazionale”. Gli increduli sono invitati a una facile navigazione sul portale dell’ONU, dove troveranno i particolari di ciò che affermiamo. Occorre una brevissima premessa, relativa all’ideologia ufficiale del mondo occidentale, di cui l’Onu è l’altoparlante. E’ il postmarxismo depurato dal collettivismo economico a fornire l’arsenale concettuale di ogni follia concepita nelle università americane, e, nello specifico, a sostenere che qualsiasi identità è un costrutto ideologico o al più storico, qualcosa che va considerato solo a posteriori e può essere negato, rovesciato o sradicato in base ai postulati dell’ideologia del progresso, dell’uguaglianza e dalle più disparate, folli o bizzarre volontà soggettive.
L’ONU si dichiara preoccupata in quanto percepisce una crescente reazione in molti punti del globo contro l’agenda di genere. La preoccupazione è condivisa da alcuni benefattori del suo bilancio, come l’Open Society Foundation di George Soros, che due anni or sono ha promosso, ossia pagato, ricerche informative sui gruppi che si oppongono a quell’ ideologia. Uguali inquietudini attraversano filantropi cosmopoliti come la Ford Foundation, che, attraverso l’Università di Columbia (UCLA) ha finanziato un progetto giornalistico chiamato “Transnazionali della fede” il cui obiettivo è la lotta, da parte di mezzi di comunicazione di massa debitamente sovvenzionati di sedici nazioni dell’America latina, contro chi resiste alla “narrazione” femminista, alla lobby LGBT ed è contrario all’aborto.
La fabbrica gnostica – nemica della creazione in quanto imperfetta e della natura per le sue leggi immutabili – lavora a pieno ritmo. Le sue “linee di produzione” raggiungono ogni angolo del mondo influenzato dall’occidentalismo di matrice americana, ma si tengono alla larga dalle ampie porzioni di mondo in cui verrebbero duramente contrastate da civiltà non agonizzanti. L’ONU, con il denaro di Soros e di altri dottori Stranamore dell’ingegneria sociale fa il suo sporco lavoro, ma non è sola. E’ di questi giorni la notizia che Apple, il gigante tecnologico fondato da Steve Jobs, ha in programma di estendere la sua collezione di emoji, le popolari “faccine”, con oltre duecento nuovi messaggini grafici che apriranno la finestra su realtà “poco conosciute”. La maggior parte delle icone riguarda serie di coppie più “inclusive” e baci “gender neutral”. Potremo, ad esempio, selezionare e condividere l’icona di una donna con la barba in varie sfumature di colore della pelle, perché la persona transgender va rappresentata universalmente. La sequela sciocca, coloniale e pedissequa del modello americano farà sì che arrivino presto in Europa le nuove regole di linguaggio inclusivo proposte al parlamento Usa dalla potente Nancy Pelosi (cattolica “adulta” come Joe Biden e Bergoglio), che elimineranno pronomi e termini specifici di genere come uomo, donna, madre e figlio.
Il fine dichiarato è “rispettare tutte le identità di genere”; quello autentico è la sterilizzazione del linguaggio che porterà alla normalizzazione e legittimazione dell’agenda gender. A medio termine, permetterà l’instaurazione di una dittatura linguistica e metaculturale. C’è da rimpiangere Baffone, ma esiste un aspetto positivo: una società che disfa se stessa corre verso un rapido suicidio che non lascerà rimpianti.
I burocrati dell’ONU credono che sia necessario prendere misure drastiche prima che sia tardi. Sorvegliare e punire. E’ interessante analizzare alcuni punti del loro comunicato. Tutto comincia con una patetica rivendicazione del riduzionismo detto “approccio di genere”. Si afferma che “il genere è inestricabilmente legato alla costruzione sociale; che i significati vincolati alle differenze di sesso (e altre) si creano socialmente. Mettono in questione il presupposto che l’identità di genere abbia una correlazione diretta e necessaria con il sesso biologico”. Un purissimo, tossico distillato di neolingua politicamente corretta e “intersezionalità” post marxista. Una Judith Butler non avrebbe saputo dire di meglio: questa è l’ideologia dell’Occidente terminale, liberista e libertario. Spaventa il silenzio di agenzie di senso come la Chiesa cattolica e della cultura liberale, troppo occupata con i listini di borsa; business as usual, affari, come sempre.
Risulta ovvio che la sessualità umana sia attraversata dalla cultura e dalla storia. Possiede cioè una dimensione contingente, radicata però nell’accettazione del dato di natura che ogni civiltà umana ha considerato preliminare perché autoevidente. L’approccio “di genere” non fa altro che ridurre la complessità della sessualità umana e dell’identità personale a mero flusso liquido, variabile, slegato dalla natura. Approccio di genere è un monismo che riconduce tutto a un unico postulato: la “costruzione sociale”. Ma la sessualità umana ha una base naturale irredimibile, negare la quale è un assurdo antiscientifico, oltreché un disconoscimento della realtà: contra factum non valet argumentum. A sua volta, l’identità non può sorgere dalla mera contingenza o da una volontà “faustiana”, in quanto necessita di un fondamento permanente che le permette di rimanere uguale a se stessa anche nei cambiamenti. L’ “approccio di genere” è un’ideologia perniciosa nella misura in cui mistifica la realtà sessuale e disconosce il complesso, delicatissimo equilibrio di natura e cultura che struttura l’esistenza di quell’animale sociale che è l’essere umano.
L’ONU pretende di conoscere nomi e cognomi, organismi, argomenti, risultati conseguiti, di nemici ideologici a cui ha dichiarato guerra. Teme e minaccia ogni dissidenza e lo fa sapere in forma esplicita. “Attualmente esistono narrazioni (ah, quante narrazioni ha la post modernità!) che, sotto diverse linee di caratterizzazione, – inclusa l’accusa della denominata ideologia di genere – tentano di eliminare la struttura di genere dagli strumenti e dai processi della normativa internazionale”. Chiarissimo, ma falso. E’ il contrario: è l’ideologia di genere – negata come tale dalla stessa ONU che l’adotta – a volersi imporre nelle legislazioni e nel senso comune. A questo fine, i burocrati strapagati del palazzo di vetro – settecento milioni annui escono dalle esauste casse dello Stato italiano – sentono il bisogno di sapere chi sono i malfattori che denunciano la natura ideologica – quindi indimostrata e indimostrabile – del sullodato “approccio di genere “e preparano una lista nera.
Chiedono ai governi, alle ONG, ai movimenti sociali e alle organizzazioni internazionali una gigantesca operazione spionistica consistente nell’invio di un rapporto dettagliato con risposte alle domande che citiamo di seguito. “Esistono esempi che siano state utilizzate narrative o ideologia del genere, o genderismo o altri concetti relativi al genere per introdurre misure regressive, in particolare, ma non esclusivamente, nei confronti delle persone e comunità LGBT?”. Regressivo: segniamoci l’aggettivo spregiativo accostato a chi crede in ciò che per millenni tutti hanno considerato vero e naturale e miliardi di esseri umani ritengono tale, persino nella “progressiva”, per quanto morente, civilizzazione occidentale.
“Ci sono state espressioni o dichiarazioni pubbliche di dirigenti politici e religiosi che abbiano dato luogo al proseguimento, alla modifica o alla soppressione indefinita di azioni, attività, progetti, politiche pubbliche e applicazione di “approcci di genere?” I mandarini dell’ONU decidono per tutti ed esigono le generalità dei reprobi, poiché nella domanda successiva chiedono sollecita informazione su chi sono le persone che resistono all’ideologia di genere. Dite chi sono, ingiunge il tribunale speciale in cui giudice ed accusatore sono una persona sola e il difensore non c’è o si rimette alla clemenza della corte; chi sono mai “i principali attori che sostengono che i difensori dei diritti umani delle persone LGBT stiano promuovendo la chiamata ideologia di genere”? La quale è imposta ma non esiste, parola dell’ONU. I poliziotti del pensiero incalzano: “quali sono i principali argomenti” [dei malvagi, falsi e bugiardi]? Sono stati efficaci nella “regressione” dei diritti umani delle persone LGBT?
Quando si tratta della libertà di pensiero, costumi, opinioni, tradizioni, e posizionamenti politici, l’agenda della diversità impone la disciplina che omologa e uniforma. La pretesa dell’Ufficio dei “diritti umani” (che non si applicano a chi non la pensa come il post marxismo decostruzionista), è di tracciare una mappa della situazione. A quale scopo? Non si dice nient’altro che non sia il ritornello della “diversità” e dei “diritti umani “. Al contrario, far parte di una lista nera come quella che si vuole configurare, con l’interessata collaborazione di soggetti nient’affatto neutrali, può comportare gravi problemi per gli interessati. Boicottaggio politico, professionale, economico, cancellazione civile e culturale, persecuzione giudiziaria. Coloro che si oppongono all’ordine nuovo dell’ideologia gender (che non esiste, sia chiaro…) potrebbero diventare i primi paria schedati dal potere globalista e dalla polizia ideologica no border.
La “diversità” sembra unicamente una questione di letto e biancheria intima. Con chi ci si accoppia o come ci si percepisce sessualmente: a questo si limita il racconto della diversità. Questo conta, ma se si tratta di divergenza di pensiero, opinioni distinte, diverse tradizioni, usi e costumi, valori e posizionamenti politici, l’“agenda della diversità” diventa rigida disciplina che conforma e omogeneizza. Non tollera la dissidenza, non sopporta voci dissonanti. Tanto meno accetta che il bimbo della fiaba gridi: il re è nudo.
Decade anche la candida storiella dei “diritti umani”, che nel loro nome nega se stessa ed attenta contro la libera espressione, la libertà religiosa e la libertà politica. Ecco la successiva domanda del questionario dell’ONU: “esistono iniziative adottate dagli Stati in relazione con la libertà di religione, di credenza o coscienza (compresa la figura dell’obiezione di coscienza) che abbiano avuto l’effetto pratico di limitare il godimento dei diritti umani (inclusi i diritti sessuali riproduttivi) delle persone LGBT?” I diritti LGBT e l’ideologia di genere (fantomatica, si capisce) è al di sopra di ogni altra e obbligatoria per tutte le nazioni.
Sorge con chiarezza una collisione tra diritti in forma di alternativa. O libertà religiosa (che non si caratterizza come “diritto umano”) o diritti umani delle “persone LGBT”. Eppure avere opinioni contrarie all’ideologia di genere non violenta i diritti umani di nessuno. Argomentare che la sessualità umana è in grandissima misura determinata biologicamente non suppone alcun attentato contro i diritti di chicchessia. Affermarlo, sarebbe concedere a quell’ipotetica persona privilegi inammissibili. Per cominciare, il privilegio che la sua autopercezione (mi sento uomo, trattatemi come tale anche se mi chiamo Teresa e ho aspetto e organi femminili) condizioni legalmente le percezioni altrui.
La narrazione dell’ONU ha bisogno di mettere in conflitto la libertà di espressione – e la libertà religiosa – con i diritti umani, per spogliarle poco alla volta del carattere di diritti. Quella deriva conduce a un punto in cui la libertà di espressione e la libertà religiosa diventeranno attentati contro i diritti umani. Un accenno va all’obiezione di coscienza. Non si tratta, nella visione dell’ONU, di un diritto derivato dalla libertà morale e religiosa, ma di una “figura” che mette in pericolo i diritti umani di certe “minoranze”. Ne sono esempi la libertà di coscienza di un sacerdote che non vuole celebrare un “matrimonio” omosessuale o di un medico che non intende praticare un aborto o facilitare una gravidanza artificiale (i “diritti sessuali e riproduttivi”).
Tutto questo è all’interno dell’ormai famosa Agenda 2030 dell’ONU, il cui Obiettivo 5 stabilisce il gender come principio obbligatorio per tutte le nazioni. Da ciò si inferisce che arrivati al fatidico 2030, l’ ”approccio di genere “ diventerà ideologia globale ufficiale. Per questo devono identificare i nemici, intimidirli e ridurli all’insignificanza. Mentre scriviamo, stanno compilando la lista nera, ovviamente nel nome della “diversità “e dei “diritti umani”. Forse ne fa già parte chi firma e chi pubblica questa riflessione.
Foto di copertina: Victoria Ivanova
Accademia Nuova Italia