Great Reset o nuovo Big Bang?
Era il 1956 quando ‒ nel corso di un campus estivo svoltosi presso il Dipartimento di matematica della Dartmouth University ‒ l’organizzatore di quel workshop coniò l’espressione con la quale, ancora oggi, indichiamo sia le macchine intelligenti sia il know how che serve per produrle.
In quell’occasione, infatti, John McCarthy espose la ricerca condotta l’anno prima dal suo gruppo e nella quale descrisse il termine l’Intelligenza Artificiale (IA) come «il lavoro scientifico e ingegneristico volto a creare macchine intelligenti» [1].
L’obiettivo del fondatore del celebre “laboratorio di Stanford” era quello di esplorare nuovi modi per creare una macchina in grado di ragionare come un essere umano e che fosse, de facto, capace di elaborare un pensiero astratto, la risoluzione di problemi e l’auto-miglioramento.
Tanto per capire chi fosse McCarthy giova ricordare che si tratti dell’inventore, nel 1958, del linguaggio informatico Lisp, il più usato nella programmazione IA standard. Un codice, cioè, che continua ad essere utilizzato non solo nella robotica e in altre applicazioni scientifiche, ma in una pletora di servizi basati su Internet: dal rilevamento delle frodi con carta di credito alla pianificazione delle compagnie aeree. Negli ultimi anni, il Lisp ha anche aperto la strada alla tecnologia di riconoscimento vocale, come fa “Siri”, l’applicazione di assistenza personale degli iPhone, tanto per intenderci. Infine, lo “zio John” presentò negli anni Settanta «un documento sull’acquisto e la vendita tramite computer, prevedendo l’e-commerce» [2].
L’approccio di ricerca sull’IA si sviluppò ben presto su due linee direttrici: la prima cercava di comprendere i processi del pensiero e del ragionamento umani attraverso modelli generati dai computer; la seconda, invece, iniziò a studiare il comportamento umano perseguendo l’obiettivo di realizzare delle macchine che fossero in grado di imitarlo [3].
Il secondo di questi indirizzi è stato quello che ha suggerito ‒ ad alcuni ricercatori ‒ di «scoprire come far usare il linguaggio alle macchine, formare astrazioni e concetti, risolvere tipi di problemi ora riservati agli umani» [4].
Uno di questi fu senza dubbio Irving John Good il quale, nel 1965, elaborò un altro concetto, quello dell’Intelligenza Artificiale Generale (IAG) che egli stesso sintetizzò così: «Definiamo ultra intelligente una macchina che può superare, di gran lunga, qualunque attività intellettiva umana. Poiché la progettazione di queste macchine è, a sua volta, un’attività intellettiva, ne consegue che una macchina ultra intelligente può progettare macchine migliori; ci sarebbe allora un’indiscutibile “esplosione intelligente”, e l’intelligenza umana verrebbe lasciata dietro. Quella della macchina ultra intelligente, sarebbe, quindi, l’ultima invenzione necessaria all’uomo» [5].
Il che, in parole povere ‒ per noi “poveri umani” ‒ significherebbe creare un nuovo Big Bang ‒ ammesso e non concesso che il primo sia mai accaduto ‒ dell’intelligenza. Un nuovo inizio, insomma, un Great Reset [6] in cui sarebbe azzerata tutta la tradizione, la memoria, la storia, la letteratura, i diversi modelli di pensiero critico, le abilità interpretative e comunicative frutto di secoli di storia [7].
De facto, significherebbe trascendere e resettare, per dirla con Saitta, il “cammino umano” [8] finora compiuto realizzando quanto espresso nel romanzo distopico ‒ poco citato, di questi tempi, rispetto a quelli di Aldous Huxley [9] e George Orwell [10] ‒ di Dan Brown.
Ci riferiamo a Origin, nel quale la conclusione aberrante alla quale arriva il protagonista è la seguente: «Le nuove tecnologie come la cybergenetica, l’intelligenza sintetica, la crionica, l’ingegneria molecolare e la realtà virtuale cambieranno per sempre il modo di essere umano. So che fra voi ci sono alcuni che credono di essere, come homo sapiens, la specie scelta da Dio. Posso comprendere che per voi questa notizia sembri la fine del mondo, ma, vi prego, credetemi… il futuro è molto più radioso di quanto non possiate immaginare» [11]. “Evviva l’alluminio!” direbbe Petrolini.
Sarebbe il trionfo del transumanesimo, termine sul quale molti scrivono oggi e che pare utile riassumere con le parole di Sir Julien Huxley ‒ figlio di Leonard, nipote di Thomas e fratello del più savio di tutti, Aldous ‒ il quale scrisse, alla fine degli anni Cinquanta: «Credo nel transumanesimo: quando ci sarà un numero sufficiente di persone che sosterranno questo progetto, la specie umana si troverà sulla soglia di una nuova esistenza, differente dalla nostra, almeno quanto lo è quella dell’homo erectus. L’umanità, a quel punto, compirà consapevolmente il suo vero destino» [12]. “Alla faccia del bicarbonato di sodio!” direbbe Totò.
Se così fosse, viene alla mente un verso del Sommo Poeta: «Le parole non possono raccontare quel cambiamento transumano» [13]. Un cambiamento, insomma, che renderebbe gli uomini “strumenti dei loro stessi strumenti” [14] e l’umanità, una vera e propria “razza estinta” [15], per dirla con Andrea Larsen.
Sarebbe proprio così, in effetti: come descrivere un quadro così distopico, inquietante, alienante nel quale verrebbe a prevalere una tale prospettiva di intendere il futuro attraverso l’IA e che «afferma e auspica la possibilità di migliorare, in modo rilevante, la condizione umana […] sviluppando e rendendo ampiamente disponibili tecnologie per sconfiggere l’invecchiamento e potenziare sensibilmente le capacità umane intellettive, fisiche e psicologiche» [16] per poi trasferirle alle macchine?
Un futuro che ormai pare essere il presente se si considerano le attuali idee del transumanesimo ‒ già indissolubilmente legate all’emulazione completa del cervello umano ‒ e che hanno portato, ad esempio, «migliaia di svedesi ad aprire la strada verso l’uso di microchip futuristici impiantati sotto la pelle della mano» [17] e alcune persone ad affidarsi a Scottsdale ‒ in Arizona ‒ ai servizi di “brain preservation” offerti dalla Alcor pagando «per far congelare i propri corpi e/o cervelli riempiendoli di un antigelo per uso medico raffreddato a meno 196° Celsius e conservati in una vasca di azoto liquido insieme ad altri 170 “compagni” in attesa di una seconda vita» [18].
La crionica è, in un certo senso, l’ultima frontiera dell’utopia scientista che pervade la minoranza “illuminata” al lavoro ormai da anni in questa inquietante direzione. E che volge i suoi sforzi a cambiare l’esperienza umana in modo radicale e completo.
Secondo la direttrice della Alcor, Linda Chamberlain, ad esempio, anche l’idea della morte come “interruttore on-off” è ormai superata, come l’idea «di dover fare i conti con Dio, dopo tutto, nonostante tutti i sogni di onnipotenza; o, altrimenti, con il Nulla» [19]. Stiamo parlando di una signora che «lavora proprio in fondo al corridoio da suo marito. Gli passa davanti ogni giorno. Di tanto in tanto si ferma per controllarlo e salutarlo. L’unico problema è che Fred Chamberlain è morto da otto anni. […] Quindi, quando Linda fa visita a Fred, gli parla attraverso il muro di acciaio inossidabile isolato di una camera di conservazione alta 10 piedi. […] Poggia la mano sull’acciaio freddo e gli dà una carezza amorevole. Essere in una stanza con 170 morti non è morboso per lei» [20].
Sviluppare l’IA al fine di trasferire le capacità umane alle macchine è quindi legata da un sottile filo rosso ‒ quello di un’estensione ipertrofica dell’Io dei fautori del transumanesimo ‒ all’idea di poter rinviare persino l’appuntamento della morte o, comunque, di appropriarsi della prospettiva, come fa la crionica, di concedere una possibile nuova vita dopo l’incontro con «La Commare secca» [21], tanto per citare il pasoliniano film di Bernardo Bertolucci. In altre parole, l’obiettivo di fondo non è quello di migliorare la vita umana, ma quella di realizzare un’“umanità” nuova avverando, come auspicato da Yuval Noah Harari, il passaggio dall’homo sapiens all’homo deus [22].
Eppure lo stesso cosmologo ateo Stephen William Hawking ‒ che del presunto “Big Bang” e dei buchi neri si è occupato [23] per molte decadi ‒ nel suo libro postumo scrisse: «Mentre le forme primitive di intelligenza artificiale sviluppate finora si sono dimostrate molto utili, tempo le conseguenze della creazione di qualcosa che possa eguagliare o superare gli esseri umani […] gli umani, limitati da una lenta evoluzione biologica, non potrebbero competere e verrebbero sostituiti. […] Un’IA super-intelligente sarebbe estremamente efficace nel raggiungere i suoi obiettivi, e se quest’ultimi non fossero in linea con i nostri, allora saremmo nei guai» [24].
Facendo proprio il monito di Hawking, viene da sperare che quanti considerino «la morte fisica […] un mero problema tecnico che richiede una soluzione da parte della scienza medica» [25] non riescano a persuaderci del fatto che di “Eterno” ‒ in una prospettiva trascendentale ‒ ci sia solo Dio e di “immortale” ‒ su questa terra ‒ ci sia solo l’eredità che si fa traditio quando arriva a noi da chi ci ha preceduto.
D’altra parte, «il progresso non è altro che un’idea moderna, ossia un’idea sbagliata» [26].
Note:
[1] J. McCarthy, M.L. Minsky, N. Rochester, C.E. Shannon, A Proposal for the Dartmouth Summer Research Project on Artificial Intelligence, paper del 31 agosto 1955.
[2] M. Childs, John McCarthy: Computer scientist known as the father of AI, in «Independent», del 1° novembre 2011.
[3] Cfr., S. Russel, P. Norvig, Artificial Intelligence. A Modern Approach, Harlow, Pearson, 2016, pp. 1-5, passim.
[4] G. Press, Artificial Intelligence (AI) Defined, in «Forbes», del 27 agosto 2017.
[5] I.J. Good, Speculations Concerning the First Ultraintelligent Machine, in AA.VV., Advances in Computers, vol. VI, a cura di F.L. Alt e M. Rubinoff, New York, Academic Press, 1965, p. 33.
[6] C.M. Viganò, A Meditation on the “Great Reset” and the Liberty of Christians, in «Quaderni Culturali delle Venezie» dell’Accademia Adriatica di Filosofia “Nuova Italia”, del 2 dicembre 2020.
[7] R. Bonuglia, Dalla ‘Great Transformation’ al ‘Great Reset’: l’altra faccia dell’utopia globalista, in ivi, del 10 dicembre 2020.
[8] Cfr., A. Saitta, Il cammino umano, Firenze, La Nuova Italia, 1952.
[9] Cfr., A. Huxley, Brave new world, Londra, Chatto & Windus, 1932.
[10] Cfr., G. Orwell, Nineteen eighty-four: a novel, Londra, Secker & Warburg, 1949.
[11] D. Brown, Origin, New York, Doubleday, 2017, p. 411.
[12] J. Huxley, New Bottles for New Wine, Londra, Chatto & Windus, 1957, p. 17.
[13] D. Alighieri, The Vision; or Hell, Purgatory, and Paradise, vol. III, Londra, Taylor and Hessey, 1819, p. 8.
[14] Cfr., H.D. Thoreau, Walden, Londra, Walter Scott, 1886, cit. in A. Larsen, 18 frasi contro la Tecnologia, del 15 giugno 2020
[15] Si tratta di un canale YouTube «dedicato ai pochi, agli incompresi, agli eroi che un giorno salveranno vite, mondi, Ere intere» curato da Andrea Larsen, cfr., https://www.youtube.com/channel/UC03b0BsdkEWMDP5xnUIb4NA .
[16] N. Bostrom, The Transhumanist FAQ. A General Introduction, in AA.VV., Transhumanism and the Body: The World Religions Speak, a cura di C. Mercer e D.F. Maher, New York, Palgrave Macmillian, 2014, p. 1.
[17] L. Chadwick, R. Wasserman, Will microchip implants be the next big thing in Europe?, in «Euronews», del 1° giugno 2021.
[18] C. Reilly, Cryonics, brain preservation and the weird science of cheating death, in «CNet», del 9 luglio 2020.
[19] F. Lamendola, La malattia della modernità consiste nel rifiuto della sofferenza, malattia, vecchiaia e morte, in «Quaderni Culturali delle Venezie» dell’Accademia Adriatica di Filosofia “Nuova Italia”, del 1° maggio 2020.
[20] C. Reilly, Cryonics, brain preservation and the weird science of cheating death, cit.
[21] Si tratta di un film prodotto in Italia da Antonio Cervi nel 1962 e diretto da Bernardo Bertolucci su un soggetto di Pier Paolo Pasolini che a sua volta aveva ripreso la definizione della morte da un sonetto di Giuseppe Gioacchino Belli «… e già la Commaraccia secca de strada Giulia arza er rampino».
[22] Cfr., Y.N. Harari, Sapiens: A Brief History of Humankind, Londra, Harvill Secker, 2014 e Id., Homo Deus: A Brief History of Tomorrow, Londra, Harvill Secker, 2016. La trilogia del docente si è completata con Id., 21 Lessons for the 21st Century, Londra, Jonathan Cape, 2018.
[23] Cfr., S. Hawking, A Brief History of Time. From the Big Bang to Black Holes, Londra, Bantam, 1988.
[24] S. Hawking, Brief Answers to the Big Questions, Londra, Murray, 2018, pp. 186-188.
[25] Y.N. Harari, Homo Deus: A Brief History of Tomorrow, cit., p. 22.
[26] F.W. Nietzsche, Frasi immortali di Friedrich W. Nietzsche, a cura di A. Larsen, [s.l.], WarWave, 2021, p. 89.
Illustrazione di copertina: Sam Chivers
Nuova Accademia Italia