Green pass e lobby della digitalizzazione
Nella sua ultima conferenza stampa, riparatoria della fuga dopo il fatidico primo DL dell’anno, Mario Draghi accusa per tutti gli errori e contraddizioni politiche i non vaccinati, e con questo supera ogni livello di indecenza istituzionale, tanto che la sua immagine pubblica è in caduta libera, persino peggio di quella di Berlusconi in versione post-populista, il che rende la contesa fra i due per la carica di Presidente della Repubblica surrealisticamente assurda.
La lobby farmaceutica non aveva certo bisogno dell’obbligo vaccinale per gli over 50, perché quel 10% dello “zoccolo duro”, resistente a ogni forma di persuasione, è ampiamente compensato dal consistente esercito dei “terzadosisti” (circa il 45% della popolazione), pronti al susseguirsi delle dosi di richiamo che si preannunciano a scadenza trimestrale. Anzi, con l’obbligo vaccinale addirittura si rischia di innescare una voragine di ricorsi giudiziari, onerosi sia per il sistema giudiziario che per i decisori governativi che, considerando i frequenti segnali di stato confusionale, non dovrebbero dormire sogni tanto tranquilli. In più, il fatidico decreto non dovrebbe far stare tanto sereni nemmeno i giuristi, vista la congenita anomalia giuridica con cui sono stati concepiti gli ultimi provvedimenti sanitari, sapendo che un obbligo vaccinale non può dare luogo a forme di estorsione del consenso informato e senza prevedere l’assunzione di responsabilità da parte dello Stato per i casi di danno da vaccino. Non contento di aver stracciato ciò che rimaneva dell’art. 32 della Costituzione e della sentenza 5/2018 della Corte Costituzionale (redattore Cartabia) in materia di obbligo vaccinale, il governo Draghi ha fatto strame della nozione stessa di legislazione, riconfermando che lo Stato e le istituzioni pubbliche sono astrazioni pseudo-giuridiche che coprono altre gerarchie sociali, ossia lobby e organizzazioni para-mafiose d’affari.
Ad aver bisogno dell’obbligo vaccinale è stata in realtà la lobby della digitalizzazione, dove un importante peso lo hanno gli interessi della Lega (Giorgetti), oltre che quelli della famiglia Berlusconi. Affidando ufficialmente all’Agenzia delle Entrate la caccia ai renitenti al siero e la relativa sanzione pecuniaria, di fatto la gestione del Green pass viene trasferita al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che d’ora in poi avrà in ostaggio i conti correnti dei contribuenti, potendo impedire loro persino l’accesso alle banche. In realtà il Green pass è stato sin dall’inizio sotto la gestione del Ministero dell’Economia che lo controlla attraverso la SOGEI, la società di gestione dei servizi informatici di proprietà del Tesoro, la cui piattaforma è una formalizzazione del patto con l’IBM, stipulato ancora nel 2009 da Brunetta per conto del governo Berlusconi. In realtà il DL 1/2022 legalizza a posteriori un abuso già esistente, il cui terreno è stato preparato dal DL 139/2021 Capienze, convertito in legge, che apparentemente nasce per gestire l’accesso limitato agli spazi pubblici, ma in sostanza riforma il Codice della Privacy con ben 37 modifiche, permettendo alla PA di trattare i dati personali in modo arbitrario e autoritario, scavalcando le farraginose questioni della privacy senza alcun dibattito politico parlamentare. In base al DL Capienze ogni pubblico ministero è autorizzato a incrociare dati relativi al Ministero della salute, e viceversa, in un quadro informatico dove i dati rimbalzano da un ente all’altro, creando una database sempre più centrale e verticalizzata. Questo processo tecnico/giuridico, che sostanzialmente è la digitalizzazione della PA, non è iniziato con il Green pass, bensì con la fatturazione elettronica, su cui il Garante della Privacy aveva già espresso valutazioni di “non proporzione del rintraccio di dati sensibili rispetto all’obbiettivo di interesse pubblico” e preoccupazioni per “i rischi elevati per i diritti e le libertà degli interessati”. Tutto ciò fa immaginare facilmente il passaggio verso un sistema di punteggio sociale (social scoring), dove l’accesso a beni e servizi esistenziali sarà costantemente subordinato al possesso di determinati requisiti.
Tornando al fatidico primo DL dell’anno, possiamo dire che, astutamente, la sanzione di soli 100 euro per gli over 50 privi di un valido certificato vaccinale, è stata congegnata per favorire la “trasgressione” e, nel contempo, per scoraggiare ricorsi giudiziari che sarebbero più costosi. Il governo spera che non tutti capiscano che la sanzione in mancanza di reato (vista la natura passiva del comportamento sanzionato) rischia di diventare in un prossimo momento un grattacapo insolubile anche per costituzionalisti alla Zagrebelsky, abili in arrampicate interpretative. (Sarà dura invocare la dignità umana nel momento in cui i costituzionalisti dimostrano di essere i primi ad averci rinunciato.) Ma con questa sanzione il governo spera oltre tutto di gettare polvere negli occhi dell’opinione pubblica soggiogata dalla Vaccinolatria, che sarà contenta di potersi indignare e di poter invocare provvedimenti forcaioli e perfino il carcere per i no vax, tralasciando il nocciolo del problema, ossia la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di usare il lasciapassare come strumento di ricatto verso chiunque. Del resto, l’incitamento all’odio è la principale arma di distrazione di massa, un modo per abbassare drasticamente il livello della discussione e far oscurare i dettagli più importanti.
Il governo, che nel frattempo assume sempre di più le sembianze di un’organizzazione a delinquere, continua a contare su una base di opinione pubblica, ma ciò non vuol dire che abbia una vera base sociale, ed è questa la sua differenza con il fascismo storico (e le altre dittature del secolo scorso), che pur venendo al potere per conto delle oligarchie bancarie e fondiarie, offriva al ceto medio crescita economica e ascensore sociale. Al contrario, oggi il ceto medio è preso di mira affinché possa impoverirsi, insieme a tutta la classe lavoratrice. In questo senso non reggono più di tanto i paragoni del Green pass italiano col sistema del credito sociale cinese, al di là delle pur evidenti affinità sul piano del controllo informatico. In Cina infatti la stretta sulla disciplina sociale viene accompagnata da una crescita diffusa del reddito e dall’allargamento del ceto medio. Forse per questo motivo la rivista “Focus” fa capire che il credito sociale cinese non piace al mondo occidentale, mentre non dice nulla su quello italiano, forse perché l’obbiettivo delle oligarchie locali è di controllare senza distribuire reddito.
Non dobbiamo credere che a qualche autorità estera interessi il destino degli italiani e l’umiliazione che stanno subendo, anche se qualche timido segnale di ammonimento verso Draghi ci è stato, da parte di Guardian e di Amnesty International. L’unica cosa che potrebbe creare qualche preoccupazione all’estero è il crescente attivismo dell’establishment italiano che sta inseguendo il primato nella corsa alla digitalizzazione del controllo sociale. I non smemorati della storia sanno che quando l’establishment italico si dà alle velleità autoritarie e repressive, diventa contagioso anche per gli altri paesi, nonostante l’auto-razzismo italico sia unico nel suo genere. In realtà esso non è opposto ai nazionalismi degli altri paesi, ma rappresenta un’attitudine specifica attraverso cui le ambizioni oligarchiche seguono la prassi di reprimere e avvilire il popolo/cavia, che viene usato come carne da macello in sperimentazioni politiche e sociali. La buona notizia è che un sistema informatico di controllo statale – gerarchico e centralizzato, a differenza di quello orizzontale della Blockchain sarebbe troppo esposto ad attacchi e sabotaggi dal basso, ossia facilmente hackerabile, per cui si renderà fallace e insicuro per tutti. La cattiva notizia è che le oligarchie italiane e la rispettiva classe politica non cambieranno mai la considerazione poco lusinghiera che nutrano verso il proprio popolo. Il che, per motivi diversi, definisce negativamente oltre tutto quest’ultimo.
Illustrazione di copertina: Cathryn Virginia