I pedagogisti sono utili?
Non bisogna fare di ogni erba un fascio. Il mondo della pedagogia italiana è vario, ci sono pedagogisti con un buon senso della realtà, dentro la cosa stessa. Ma la pedagogia nel suo insieme è diventata un problema, teorico e pratico.
Teorico perché pesca e si fa guidare di volta in volta dalle mode: il marxismo, la psicanalisi, le scienze cognitive, le neuroscienze. Usa di volta in volta categorie che durano una stagione per elaborare modi di affrontare il problema scolastico. I risultati da trent’anni sono devastanti.
Stiamo perdendo la capacità di formare, di trasmettere, travolti dalla didattica, da questa idea, opinabile e controversa, secondo cui il problema dell’insegnamento si supera con la tecnica, sia un problema tecnico, e la tecnica qui si chiama “didattica”: la classe rovesciata e gli infiniti altri metodi escogitati per aggirare il problema semplice: la scuola non coinvolge, ha perso la propria capacità di formare, cioè di permettere alla vita di prendere forma.
Il problema è la necessità di una riflessione pedagogica che metta in discussione tutti questi assunti, cioè se stessa. Difficile che lo faccia, la situazione è sclerotizzata in “scuole”, persa nel politicamente corretto accademico. L’esigenza resta.
I pedagogisti possono non cogliere la sfida, ma a studenti, insegnanti e famiglie le cose sono chiare: la pedagogia e la didattica (come disciplina accademica) sono ormai il problema della scuola.
Come possono essere utili se sono il problema? La pietra di inciampo? Se sono ciò che produce malfunzionamento? Se invece di eliminare le disfunzioni sono esse per prima ad essere disfunzionali?
Poi c’è un problema pratico. Il ministero è praticamente occupato dai pedagogisti, una sorta di occupazione militare. Il ministro Bianchi non è caduto dal cielo, si sviluppa entro una logica. E a guidare questa occupazione è un’impostazione demenziale, aziendalistica. I peggiori sono quelli che fanno capo alla fondazione agnelli.
Alcuni di questi campioni si sono distinti durante il lockdown, che per loro fu un’occasione ghiotta per imporre il loro mito (e la loro fonte di introiti): la dad.
Non c’era verso di farli ragionare. Loro sono il progresso, la tecnica.
Sappiamo che fu follia, che ha prodotto danni gravi su una generazione, e non solo dal punto di vista dei contenuti formativi, ma della crescita e della salute mentale.
Sono quelli delle competenze, quelli che trasformano esigenze anche in parte condivisibili, ma da usare con prudenza, in bandiere per lotte di potere, come strumenti ideologici.
In una società della conoscenza la formazione è il nucleo della società, quello formativo diviene un sistema-guida rispetto agli altri sottosistemi. Non lo stiamo capendo, mentre lo capiscono i ragazzi, gli insegnanti.
Stiamo perdendo su vari fronti, nel trasferimento di conoscenza, nella capacità di tramettere contenuti e l’abilità di orientarsi nel mondo.
Soprattutto stiamo perdendo le nuove generazioni.
Bisogna cambiare, e non solo ministro, che è pessimo di suo. Bisogna cambiare l’intera struttura ministeriale. Va azzerata. Se non si fa questo lo sfacelo non avrà fine.
Illustrazione di copertina: Cathryn Virginia