Facebook al posto di LogLife
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I Social Network come architrave della guerra asimmetrica

“Facebook è un social medium e rete sociale, lanciato a scopo commerciale il 4 febbraio 2004” (1).

Quindi Facebook nacque ufficialmente il 4 febbraio del 2004.

Lo stesso giorno, ripeto LO STESSO GIORNO, il Pentagono cancellò un progetto identico, che si chiamava LifeLog ed era stato costruito dal Dipartimento della Difesa (DOD), attraverso il DARPA (Defence Advanced Research Projects Agency).

“Il programma DARPA [Lifelog] è stato cancellato il 4 febbraio 2004, dopo le critiche degli attivisti per i diritti civili riguardo alle implicazioni sulla privacy del sistema”. (2)

Wired, nel dare la notizia della chiusura di Lifelog, descrisse il progetto con queste parole:

“Uno sforzo ambizioso di costruire un database in grado di tracciare l’intera esistenza di una persona”.

Il progetto del DARPA, nella accurata descrizione di Wired, doveva essere “in grado di raccogliere in un unico luogo tutto ciò che un qualunque individuo dice o fa: le telefonate che seleziona, gli spettacoli televisivi che guarda, i giornali che legge, i biglietti aerei che compra, le mail che riceve e che invia. Da questo oceano apparentemente infinito di informazioni, gli specialisti avrebbero potuto selezionare distinti percorsi in grado di rappresentare le relazioni, i ricordi, le esperienze e gli eventi”. (3)

In poche parole lo scopo di Lifelog era quello di profilare cavie umane per raccogliere dati da utilizzare, tra le altre cose, per il machine learning.

Il fatto che il progetto militare Lifelog non sia stato effettivamente chiuso ma abbia semplicemente cambiato pelle per adattarsi alle normative sulla privacy del cosiddetto “Occidente Allargato”, è confermato dalle successive acquisizioni da parte di FB di Instagram nel 2012 e dell’applicazione di messaggistica WhatsApp nel Febbraio 2014.

L’aspetto più inquietante di tutta la vicenda è il fatto che nessun paese europeo, inclusa la stessa Unione Europea, abbia sollevato un sopracciglio riguardo ai problemi inerenti alla sicurezza nazionale derivanti dall’implementazione di un progetto militare straniero.

Oggi ci troviamo nel paradosso di frequentare una rete di comunicazione nella quale il gestore, straniero, oltre a profilare i cittadini e manipolare le loro opinioni e le loro scelte, può, più o meno arbitrariamente, togliere la “linea” agli utenti che pubblicano contenuti ritenuti non appropriati (comportandosi di fatto come un editore).

L’aspetto più assurdo è che nessuno se ne cura.

Ho scritto più volte che Cina e Russia, pur essendo partite con un gap tecnologico apparentemente incolmabile rispetto all’Europa, in pochissimo tempo si sono riappropriate del controllo di questi settori strategici.

Al giorno d’oggi, se volessero, le aziende Big Tech potrebbero letteralmente “spengere” l’Europa, o più semplicemente potrebbero disconnettere i singoli utenti dall’utilizzo delle loro piattaforme.

Illustrazione di Pawel Kuczynski

E’ un fatto di una gravità inaudita, eppure sembra non interessare nessuno.

Forse non tutti lo ricordano ma nel gennaio 2010 l’allora segretario di Stato Hillary Clinton tenne uno dei suoi discorsi più noti.

“Davanti a lei, radunati nel Newseum di Washington, ci sono amministratori delegati, senatori, deputati, ambasciatori e i massimi rappresentanti di società come l’Aspen Institute e altre. In poche parole, l’élite più elitaria degli Stati Uniti. Nel corso del suo lungo discorso, battezzato Remarks on Internet Freedom (osservazioni sulla libertà di internet), Hillary Clinton afferma: “Sotto molti punti di vista, l’informazione non è mai stata così libera. Ci sono oggi più modi di diffondere più idee a più persone che in qualunque altro momento della storia. Anche nei paesi autoritari i network d’informazione stanno aiutando le persone a scoprire i fatti e a responsabilizzare i governi”.

Siamo al picco di quello che potremmo chiamare “ottimismo digitale”. Anni in cui la narrazione dominante rappresenta il web, i social network, i blog e tutto ciò che rientra nell’infosfera abilitata da internet come qualcosa che avrebbe inevitabilmente reso l’informazione più accessibile, i cittadini più consapevoli e, come logica conseguenza, il mondo stesso più libero.

Ovviamente questo discorso era destinato alle platee dei paesi cosiddetti non allineati. Di lì a poco sarebbe iniziata l’era d’oro delle Rivoluzioni Colorate e delle Primavere Arabe.

Era tutto pronto da un pezzo, bisognava solo aspettare che i social raggiungessero un livello adeguato di diffusione in modo tale da poter entrare in combo con le teorie di Gene Sharp.

Questa idea positiva di utilizzo delle reti sociali era più che altro rivolta al loro impiego da “esportazione”; infatti i social, promuovendo l’interazione tra attivisti e ONG filoccidentali e i manifestanti locali, sono stati intesi per lungo tempo come uno strumento che ha contribuito a veicolare “libertà e democrazia” nei paesi non allineati. Di tutt’altro tenore è la considerazione generale di cui gode l’attivismo politico e la controinformazione via social dalle nostre parti: in questo caso i social network divengono un ricettacolo dei peggiori liquami che la società possa produrre, il luogo di elezione della propaganda straniera e dei famigerati troll russi (senti da che pulpito viene la predica); vengono visti come il perfetto terreno di coltura per le Fake News e come “micro-pulpito” per i peggiori cialtroni in cerca di uno straccio di visibilità.

Nell’epistola di San Paolo rivolta a Tito compare la frase:

«Omnia munda mundis; coinquinatis autem et infidelibus nihil mundum, sed inquinatae sunt eorum et mens et conscientia.»

Che più o meno significa questo:

«Tutto è puro per i puri; ma per i contaminati e gl’infedeli nulla è puro; sono contaminate la loro mente e la loro coscienza.»

Qualcuno mi dovrà spiegare un giorno perché i blogger che attaccano i governi dei paesi non allineati sono sempre dalla parte del giusto e infallibili, mentre quelli che criticano gli apparati di potere cosiddetti “Occidentali”, quando non vengono censurati o ridicolizzati dalla gogna mediatica di regime, sono immancabilmente etichettati come complottisti o peggio ancora come dispensatori di Fake News.

L’informazione indipendente è sacra solo se è funzionale all’imperialismo e all’esportazione della democrazia a suon di rivoluzioni colorate e di bombe, mentre è cialtroneria complottista se osa mettere in discussione il sacro verbo della narrazione ufficiale dei padroni del discorso.

Illustrazione di Davide Bonazzi

Il dover enfatizzare l’immagine dell’individuo che da solo combatte il potere dittatoriale da un lato e nel contempo ridicolizzarla dalle nostre parti, è una delle più marchiane contraddizioni dell’impianto logico del potere.

Chiunque punti il dito contro le vistose falle del frame dell’informazione nel mondo occidentale, subisce un processo di linciaggio mediatico che lo costringe prontamente al silenzio e lo riporta nei ranghi. I più ostinati finiscono per essere emarginati dagli ambienti che contano e si vedono spengere immediatamente i riflettori.

In parole povere possiamo affermare che la figura del blogger ribelle è un prodotto destinato soltanto all’esportazione.

Da noi invece la fanno da padroni i wrestler, gli influencer di regime, quelli che fanno finta di lottare strenuamente contro gli ologrammi del potere ma che si guardano bene dal contrastarne le sorgenti.

Ovviamente questo doppio standard di giudizio non è casuale; chi ha messo a punto quest’arma sofisticata per sovvertire i governi non graditi, ne conosce perfettamente le criticità e pertanto sa dove intervenire perché altri non la rivoltino contro il proprio creatore.

I metodi più semplici sono quelli per così dire “meccanici”: algoritmi, filtri, censure, shadow ban, bolle tematiche.

Ma da soli non bastano.

Ecco allora la necessità di un’altra forma di censura che è quella per discredito, ovvero fare in modo che la maggioranza degli utenti consideri non attendibili i contenuti non “ufficiali”.

Grazie al lavoro di preventivo condizionamento, sono le stesse persone comuni ad aver assunto in automatico e inconsapevolmente il ruolo di collaborazionisti e kapò del Sistema, partecipando attivamente e su imbeccata, all’isolamento e al discredito delle voci dissonanti.

Con la scusa dell’informazione “responsabile” si intende in realtà mettere la mordacchia a tutte le voci che si discostano dalla narrazione ufficiale, lasciando lo storytelling cosiddetto ufficiale libero di attecchire nell’opinione pubblica.

Se crei in anticipo un clima ostile nei confronti delle possibili controdeduzioni al tuo discorso, sarà più facile in seguito farlo accettare, in quanto queste teorie saranno rigettate in maniera acritica, automatica.

Quindi in conclusione si può dire che è vero che stiamo giocando con un mazzo truccato nel casinò del nostro avversario, ma è altrettanto vero che quest’arma è talmente potente che è un attimo perderne il controllo e vedersela rivoltata contro.

Per questo motivo è fondamentale tenere sempre a mente che abbiamo a che fare con una piattaforma che nasce per scopi militari e che nulla di ciò che appare sui nostri schermi è innocuo.

Così come i social sono stati l’arma che ha consentito di abbattere o comunque di mettere in crisi i governi non allineati, allo stesso modo oggi sono lo strumento fondamentale nella guerra asimmetrica che le élite stanno muovendo contro le popolazioni dell’Occidente allargato attraverso la pandemia.

Come ho scritto più volte, non essendo riuscite a “democratizzare” per tempo la Cina attraverso una Rivoluzione colorata, ad un certo punto hanno capito che l’unica strada percorribile era quella di cinesizzare l’Occidente attraverso una Rivoluzione virale. (4)

Per capire quale sarà il punto di arrivo di questo processo basta vedere la Grecia.

Per loro è bastata la crisi iniziata del 2009, per noi che eravamo più solidi si è resa necessaria una “seconda dose”.

Giorgio Bianchi

Fonti:

(1) https://it.wikipedia.org/wiki/Facebook

(2) https://en.wikipedia.org/wiki/DARPA_LifeLog

(3) https://www.wired.com/…/02/pentagon-kills-lifelog-project/

(4) https://www.facebook.com/giorgio.bianchi.100/posts/10221645827006401

Illustrazione di copertina: Pawel Kuczynski

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