Società

Il capobranco, il gregge e la pecora nera

“Non sei un medico”, mi dicono alcuni amici, “come ti permetti di contestare l’opinione di persone che hanno studiato tutta la vita una disciplina che tu non conosci?”.

L’obiezione sembra fondata, ma parte da un presupposto a mio parere sbagliato: considera la comunità scientifica un mondo ideale, dove dei cavalieri senza macchia vanno alla ricerca dell’assoluta verità.

Le cose, però, non stanno così.

Tutti i gruppi umani, anche quelli ristretti e, almeno in teoria, democratici, tendono a creare delle oligarchie di fatto. Pensiamo, per fare solo un esempio, ad un conclave della chiesa cattolica. Esso è composto da un centinaio di cardinali che hanno alle spalle una lunga carriera e hanno passato molteplici filtri di selezione. Si tratta, inoltre, di uomini di potere, perché altrimenti non si troverebbero dove si trovano. Se tutti sono, almeno teoricamente, sullo stesso piano, non tutti, però, sono ugualmente influenti. L’elezione di un nuovo pontefice, come si riesce a intuire dalle testimonianze a mezza bocca dei protagonisti, è nei fatti decisa da quattro o cinque cardinali. Essi convogliano il voto degli altri, i quali spesso non riescono nemmeno a comprendere le esatte implicazioni della loro scelta e si muovono in base alla fiducia personale o a complicità di cordata.

Credo che qualcosa del genere avvenga, a maggior ragione, in tutte le comunità umane. Vi sono dei leader naturali (potrei dire, azzardando , il cinque per cento del gruppo). La gran massa (il 95%) che, come un gregge di pecore, tende ad adeguarsi al volere del capobranco, identificandolo con la verità. Ci sono, infine, dei rari battitori liberi. Persone che, pur non avendo attitudine al comando, o comunque non in misura sufficiente, sono però recalcitranti a farsi inglobare nel gregge e conservano una propria autonomia critica. Questi ultimi, guardati con sospetto dal potere, rappresentano il vero elemento innovativo all’interno di ogni società. Sbarazzarsi di loro, tentazione sempre presente, può essere molto rischioso, perché in tal modo ci si priva di una fondamentale fonte di innovazione.

Ecco , sono fermamente convinto che anche la cosiddetta comunità scientifica risponda a questa legge dei gruppi umani.

Vi sono dei centri di potere, lautamente sovvenzionati e spesso direttamente controllati dalla finanza internazionale: alcune grandi università anglosassoni, l’OMS, i ministeri della sanità di alcuni stati, alcune importanti riviste scientifiche. Da questi centri promana la verità sul covid, poi ripresa dalla stampa, dalle televisioni, dai vari virologi di regime i quali non fanno lavoro di laboratorio o di corsia, ma hanno il compito di rilanciare le parole dei loro capicordata. Ad esse, infine, si adeguano, per convinzione o conformismo, la gran parte dei medici.

Va da sé che la verità così costruita non è la verità in senso assoluto, ma la verità del potere.

Contestare la narrazione epidemica non significa, allora, millantare conoscenze mediche che non si hanno, ma soltanto rifiutare le pseudo verità che si vogliono imporre.

Significa, in buona sostanza, appartenere all’un percento che non si accontenta di seguire a testa bassa il gregge.

Prof. Silvio Dalla Torre

Illustrazione di copertina: Davide Bonazzi

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