Attualità,  Cultura,  Società

Il discorso di odio

L’aggressione contro le libertà procede in maniera coordinata e inesorabile, secondo il principio “della rana bollita”. Le libertà non vengono attaccate tutte insieme, ma svuotate e poi abolite pazientemente – di fatto o di diritto – tessendo una tela ordita dall’alto. In questi tempi di moralismo invertito, la giustificazione è la difesa delle minoranze – alcune minoranze – la lotta contro le offese e le discriminazioni, l’esaltazione ossessiva della tolleranza, intesa come divieto di giudicare ed esprimere preferenze o avversioni.

Uno dei meccanismi più insidiosi è il “discorso di odio”. Come tutte le invenzioni del progressismo, è di origine americana: hate speech, per una volta tradotto nella nostra lingua, probabilmente per destare la massima impressione. Per discorsi di odio si intendono tutte le espressioni negative nei confronti di alcune categorie, opinioni o minoranze protette. Per esprimere un giudizio e conservare il diritto di parola è obbligatorio premettere un pistolotto in cui si garantisce, mano sul cuore, sopracciglia aggrottate e volto contrito, di essere esenti dall’odio, anzi di essere animati da sentimenti di amore universale.

Invece no: l’odio e l’amore sono entrambi sentimenti inestirpabili dall’animo umano. Tanto meno, uno di essi può diventare obbligatorio e l’altro vietato per legge. Sono talmente intrecciati, amore e odio, che un grande poeta, il latino Catullo, scrisse il distico immortale: Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio: sedi fieri sentio et excrucior. Odio e amo. Forse chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che ciò accade, e mi tormento. La fragilità, lo stupore dell’uomo dinanzi ai sentimenti primordiali non poteva essere meglio espressa.

Altri tempi: ora è obbligatorio astenersi dall’odio. Vasto programma, specie se la definizione è estesa all’antipatia, all’opposizione, al dissenso, al disaccordo, al giudizio negativo. Che il concetto di odio sia oggetto di una operazione di ingegneria sociale destinata a cambiare il diritto e mettere il bavaglio a milioni di persone è dimostrato dal fatto che le Nazioni Unite hanno elaborato nel 2018 un piano d’azione contro l’equivoco “discorso di odio”. L’ONU proclama l’“obiettivo di cercare le cause profonde, anche socio-economiche, della proliferazione del fenomeno, valorizzare il counter-speech, e promuovere attività di advocacy, oltre che sviluppare strategie a sostegno delle vittime.” Termini oscuri, come oscuro è il significato di odio entrato a vele spiegate nel diritto positivo degli Stati occidentali.

Il Consiglio d’Europa ha fornito una definizione del fenomeno non giuridicamente vincolante con la raccomandazione n. 20/1997 : “il termine discorso d’odio (hate speech) deve essere inteso come l’insieme di tutte le forme di espressione che si diffondono, incitano, sviluppano o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo ed altre forme di odio basate sull’intolleranza e che comprendono l’intolleranza espressa attraverso un aggressivo nazionalismo ed etnocentrismo, la discriminazione l’ostilità contro le minoranze, i migranti ed i popoli che traggono origine dai flussi migratori. “

Chiarissimo: è odio non essere d’accordo con l’immigrazione di massa e preferire se stessi agli altri. L’obiettivo è criminalizzare la maggioranza naturale, “normale”. L’Unione Europea ha diramato un codice di condotta nel 2016 includendo nuove “categorie a rischio di discriminazione: donne, anziani, giovani, diversamente abili e persone LGBTI”. La lista è aperta a ulteriori vittime ben introdotte nel paradiso progressista.

George Orwell teorizzò in 1984 il bispensiero e la neolingua, mostrò cioè l’inversione del linguaggio e dei concetti da parte del potere, indizio del suo carattere totalitario. Una prova è l’intervista davvero sinistra di un’esponente dell’oligarchia europea, già vice presidente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (denominazione esemplare di bispensiero e inversione), la belga Françoise Tulkens, la cui qualità di giurista rende le parole pesanti come pietre.

“Il discorso d’odio rappresenta un rifiuto viscerale dell’altro e un’intolleranza di fondo nei confronti del diverso, delle minoranze e dei più vulnerabili. Indipendentemente da dove viene espresso, ha sempre lo stesso denominatore: attacca intenzionalmente una persona o un gruppo di persone a causa dell’appartenenza etnica, del genere, di una disabilità, dell’orientamento sessuale, della religione, delle convinzioni politiche ecc. (…) Il discorso d’odio distilla veleno goccia a goccia fino a diventare un concentrato d’odio che esplode in tutti i sensi. “I bersagli sono “le donne, gli stranieri, i rifugiati, gli ebrei, i rom, i musulmani, le persone LGBT e gli omosessuali. L’elenco si allunga man mano che la società si complica e si diversifica. Nel 2019, per coloro che non condividono la posizione governativa dominante nel Paese, ad andare per la maggiore sono l’istigazione all’odio contro l’islam e la fomentazione dell’odio nazionalista.”

In poche righe un distillato di correttezza politica – il concetto di “discorso di odio” può essere considerato un potente effetto collaterale del politicamente corretto – destinato a produrre una legislazione in base alla quale qualunque dissenso, ogni presa di posizione sgradita al potere può essere considerata espressione di odio. Il gioco è facile: le mie convinzioni, inevitabilmente, sono favorevoli a qualcosa e qualcuno e contrarie a qualcun altro. Basta chiamare odio le mie preferenze e le mie antipatie, benché frutto di un coerente sistema di valori e principi.

L’elenco della signora Tulkens è destinato ad allungarsi, ma dalle sue parole pare evidente che nessun odio può essere espresso da posizioni internazionaliste, omosessualiste, femministe, persino islamiste (non si deve, giustamente, istigare all’odio contro i musulmani, ma non è colpito l’odio dei mussulmani contro crociati ed infedeli). L’ottima Tulkens applaude entusiasta la cancellazione dei post di Donald Trump, qualificati senz’altro, dall’alto della sua perizia giuridica, “discorsi di odio” in quanto (Orwell riderebbe di gusto) “disprezzano la diversità e l’alterità. Democrazia significa accettare che ognuno abbia una propria opinione e che possa esprimerla. La libertà di espressione favorisce il dibattito, mentre i discorsi d’odio lo restringono e lo soffocano.“

Splendido: peccato che a stabilire che cosa è odio sia un tribunale permanente formato da un’unica cultura, quella espressa dalla Tulkens. Libertà di espressione è ciò che dicono loro, anche nel caso di attacchi violenti, coordinati, reiterati nel tempo contro personalità o principi non appartenenti al cerchio magico; odio è l’opinione di tutti gli altri. L’ultimo velo cade allorché la giudice emerita di una corte intestata ai diritti dell’uomo attribuisce un colore politico ai discorsi di odio: “che siano di matrice nazionalista o xenofoba, i discorsi d’odio sono utilizzati e apprezzati soprattutto dai partiti populisti che se ne servono per allargare la loro base elettorale. A volte sono accompagnati da teorie complottiste.” Se ne inferisce che tutte le altre culture politiche e le opinioni non populiste (parola omnibus, buona per tutti i gusti, ideale per attaccare senza argomentare) sono esenti dall’odio: i Buoni, i Giusti, gli Amorevoli.

Dopo aver enunciato il delitto – il perimetro dell’odio potenzialmente universale da cui è esente la farina del loro sacco – l’élite europoide passa al castigo. “Oggi più che mai gli Stati devono assumersi le proprie responsabilità e intervenire con fermezza dando un senso alla cultura comune e alla democrazia pluralista. I discorsi d’odio non devono essere trattati isolatamente, ma accompagnati da un’ampia critica al razzismo, alla xenofobia e all’omofobia nella società.” Tombola.

La domanda è: perché le forze politiche liberali, popolari ed anche marxiste non si oppongono alla deriva in atto? Passo dopo passo, qualsiasi dissenso comunque espresso diventa discorso di odio in quanto controcorrente o – come afferma con candore (o arroganza del potere) la giurista belga, non compreso nella denominata “cultura comune “(?) e nella “democrazia pluralista”, in cui tutti suonano la stessa musica, con la tolleranza di alcune tonalità diverse. Infine, la sincera ammissione: “la libertà di espressione è quella che permette tutte le altre, ma non è un diritto assoluto. Possiamo porle limiti precisi e ben definiti per preservare la coesione sociale. Quando un discorso d’odio consiste in parole orientate all’azione e istiga direttamente alla violenza, all’omicidio o alla rappresaglia non si può più parlare di libertà di espressione.”

Formalmente ineccepibile se fosse vero: giusto punire esclusivamente le azioni, non le idee, tanto meno i sentimenti. Da giurista esperta, Tulkens non può ignorare che tutte le condotte da lei deprecate sono già punite da specifici titoli di reato in tutti i codici giuridici. Quale necessità vi è dunque di intervenire su un sentimento, un moto dell’animo, sia pure negativo, per reprimerlo come reato, nell’impossibilità di definirlo in maniera sensata, spalancando la strada all’abuso, alla discrezionalità dei giudici, del potere, della polizia, che diventa, come previde Orwell, polizia del pensiero? Per di più etichettando come discorsi di odio solo idee sgradite a chi comanda nel presente. Paradossalmente, se il vento cambiasse direzione, sarebbe legittimata la persecuzione a chi esprime i sentimenti e le opinioni oggi protette contro l’odio (presupposto) dei loro avversari.

Dilaga intanto l’intenzione moralistica di una civilizzazione esangue la quale, benché atea, materialista e priva di qualsiasi anelito trascendente, per realizzare i suoi obiettivi deve nasconderli dietro parole d’ordine e credenze di segno quasi religioso, che non suscitano la ripulsa popolare per l’egemonia di una mentalità ostile al pensiero critico, all’analisi, al giudizio, interdetto in quanto discriminatorio, ergo intriso di odio. E’ caduto nella trappola Jorge Mario Bergoglio, che ha chiesto apertamente al potere mondano di combattere “la diffusione dell’incitamento all’odio, all’adescamento, alle notizie false e alle teorie del complotto”.

Ecco un altro elemento della furiosa battaglia contro il pensiero libero: le notizie false – che abbondano ovunque – sono tali se non filtrate, timbrate dal potere. Diventano fake news se provengono da chi si oppone alla narrazione corrente, prodotti malsani di malintenzionati il cui obiettivo è diffondere odio contro il potere. Materno, rassicurante e benigno anche quando distilla violenza verbale, come l’alto responsabile politico quando ha affermato che i non vaccinati uccidono. Se l’affermazione provenisse dalla trincea dei malvagi, non sarebbe difficile qualificarla discorso di odio.

La verità ha dei padroni, il resto è post-verità, ossia menzogna, prodromo dell’odio: una falsificazione che lascia senza fiato e apre la porta a ogni abuso. In prima linea-non poteva essere altrimenti – Wikipedia, la Bibbia con l’imprimatur dei potenti, che, alla voce “discorso di odio” unisce l’immagine di un murales: “per l’onore d’Italia, Cina e Islam fuori”. Una frase che può indicare xenofobia, non odio, ma anche, dal punto di vista opposto, amore di sé. Una lunga serie di fobie – tutte nuovissime, forgiate nell’officina del potere – sono rubricate come odio. E’ la psichiatrizzazione del dissenso: non la pensi come i Buoni e i Giusti? Non solo sei carico di odio, ma sei affetto da fobie. Non resta che il trattamento sanitario, obbligatorio come la sanzione penale.

Se attaccassi gli eterosessuali (o cis-gender…) non subirei alcuna conseguenza, ma se osassi preferire l’eterosessualità agli altri “orientamenti sessuali “, sarei immediatamente condannato per discriminazione e discorso di odio. La direzione dell’odio, infatti, è univoca, cammina verso destra, mai viceversa. Ciononostante, i destinatari delle accuse – anzi delle condanne – tacciono, per intimidazione, tornaconto (basta che si possa continuare a fare affari…), incomprensione della portata storica del fenomeno. La patologizzazione, il trattamento dell’odio come reato-ossia la criminalizzazione progressiva dell’opposizione – sono parte essenziale del cambio di paradigma del liberismo illiberale in cui viviamo.

Naturalmente, poiché i sentimenti non si possono estirpare, l’odio continua, si estende e raggiunge vette impensabili. E’ sufficiente chiamarlo diversamente, dargli una denominazione e un intento morale: i cittadini ubbidienti lo sfogano con cattiveria, violenza verbale, ansia di delazione e talvolta di ghigliottina contro i devianti indicati dal potere, i capri espiatori che dividono la comunità, portatori insani dell’odio “cattivo”, quello altrui, contrapposto al loro, buono, bene intenzionato, la sacrosanta reazione contro gli orchi del popolo amorevole, empatico, solidale, tollerante, progressista.

I vantaggi di quest’odio spacciato per amore e opposizione al male – proiezione che trasferisce su altri caratteristiche proprie – sono molteplici: consente di non discutere le idee, di sentirsi dalla parte giusta, nel solco della storia, al passo con i tempi. Incidentalmente, permette anche di fare carriera e di impedirla agli altri – gli empi carichi di odio – praticando la censura e il divieto in nome degli oppressi.

In fondo, quest’odio travestito è un piacere sottile, come sapeva Lord Byron: gli uomini amano in fretta, ma odiano con calma. Tocca dar ragione a un pessimo maestro, Herbert Marcuse. “Oggi, ciò che si proclama e si pratica come tolleranza, è in molte delle sue manifestazioni effettive al servizio della causa dell’oppressione”. Che, in nome della lotta all’odio, si sostituisce al Dio in cui non crede chiamando peccato tutto ciò che le si oppone: pensieri, parole, opere, sentimenti.

Roberto Pecchioli

EreticaMente / Illustrazione di copertina: Sebastien Thibault

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *