Il lasciarsi cadere
Tra i nostri detrattori circola una certa favoletta auto-celebrativa molto in voga, questa: che grazie alle restrizioni e soprattutto all’ago, le persone si sono scoperte finalmente “comunità”.
Non solo. Ma che questa aggregazione rappresenterebbe niente di meno che la guarigione da 75 anni di consumismo individualista.
L’hanno professata i vari sacerdoti del conformismo come Recalcati e Gramellini, tutti indaffarati a confezionare un abito intellettuale al loro collaborazionismo.
Tutto ciò senza minimamente calcolare le vessazioni inflitte a chi aveva qualche dubbio, naturalmente. Queste sono passate in cavalleria. “Perché se la sono cercata, i disertori”.
La nuova “comunità” può fare del male, purché sia dichiarato giusto dal tribunale dell’Inquisizione. Si assiste all’invenzione del Male giusto. In presenza del pericolo della morte, qualunque genere di valore o legge su cui la società si fonda, ottiene quindi il beneplacito eccezionale ad essere sospeso, come fosse sempre stato solo un vezzo o un momentaneo lusso dovuto a un’epoca favorevole.
Chi non prende parte alla salvezza è scomunicato, in qualche modo subisce l’investitura a capro espiatorio, fa le veci del virus. Queste sono le basi “filosofiche” su cui quella favoletta si fonda.
La “comunità” si auto-proclama tale, quindi, solo quando è in pericolo di estinguersi. Secondo questa teoria, per rimanere compatti e amarci l’un l’altro dovremmo vivere in un perenne stato di pericolo imminente di estinzione. Del resto, è quello che stiamo vivendo, tra pandemia e rischio nucleare, dicono, no?
Ma non è forse -sempre- stato così? Da che mondo e mondo l’uomo lotta per non estinguersi, e l’amore tra gli uomini si è però manifestato per scelta, per pulsione a meta indeterminata, e non per dovere né per impellenza.
Il benessere e la sicurezza, una volta raggiunti, provocano un immiserimento interiore e una pulsione egoistica, che a loro dire, si cristallizzerebbe nel libertarismo. Strano. Si sarebbe detto che il problema fosse invece il neoliberismo…
Gli stessi autori del mondo consumistico-egoista improvvisamente propinano la dottrina della comunità.
Come convincere il mondo a una tale conversione in massa dalla sera alla mattina? Come conservare l’egoismo trasvalutandolo in collettivismo?
Semplice: spaventando a morte il gregge con un virus, instillando una sindrome di Stoccolma e riformulando il patto sociale intorno a un rito di magia nera pubblica, con tanto di battesimo (siero) e marchio (lasciapassare). Ora le masse adoreranno i padroni perché vedono in loro gli amministratori delegati della natura stessa, che ha consegnato loro in mano la gestione del virus. Il patogeno non si diffonde più per fato, ma dietro discrezione del padrone, che dispenserà morte e vita in base all’obbedienza. “Non ti vaccini, ti ammali, muori o fai morire.”
L’individuo terrorizzato, diluito nella massa indistinta, divenuto sincope orgogliosa di esserlo, sviluppa una duplice aspirazione: da un lato vuole sottomettere il difforme, dall’altro brama di essere sottomesso dal capo, per il quale prova una fascinazione occulta, e verso il quale ha proiettato i poteri salvifici e la giurisdizione sulle leggi di natura.
Dimenticano di dire, ovviamente, che questa comunità non si è formata per -vocazione-, bensì per costrizione, per riflesso pavloviano, per pulsione securitaria e per fuga istintiva dinanzi all’horror vacui.
Ogni individuo ha infatti “sfruttato” l’altro per garantirsi, in primis, la – sua- sopravvivenza, utilizzando il prossimo come un dispositivo di tutela corporea, e ha consentito che l’altro facesse lo stesso con il suo corpo, all’unico fine di preservare ciò che il famigerato Orsini, (non a caso esperto di guerra), a suo tempo, è arrivato a definire “quell’involucro di carne e sangue che siamo”.
Si è trattato perciò di uno scambio affaristico, prostituzione sanitaria, quindi più che mai in sintonia con lo spirito mercantile neoliberista. La forma mentis individualista non è stata convertita magicamente in solidarietà, se non nella misura in cui quella solidarietà presentava un ritorno in termini individualisti.
“Guai a chi avrà amato solo corpi, forme, apparenze. La morte gli toglierà tutto. Cercate di amare le anime. Le ritroverete.” scriveva Hugo.
Involucri di carne e sangue, privi di animus, ecco come ci descrive la favoletta. Plafoniere ambulanti ricolme di sangue, privi di sostanza; degli automi di carne, vuoti, preziosi come lo è il bestiame per il pastore. Animali che però inspiegabilmente avrebbero trovato come amarsi, finalmente: in qualità di corpi. E questa sarebbe la guarigione dal materialismo di cui parlano, quando in realtà questo sposalizio collettivo, basato sulla non-belligeranza reciproca e non sull’infatuazione o sull’affiatamento, semmai realizza supremamente l’egoismo e il materialismo consumistico, altro che guarirlo.
Mistificando la differenza tra salvare e preservare, hanno convinto le masse a disciogliere il proprio Io per preservare il corpo. Il Re del Mondo gli dice chi e come amare, e loro amano chi e come gli viene detto. Gli dice di odiare i rimanenti, e loro li odiano. Hanno paura, perseguitano, si coalizzano, proteggono coloro con i quali subito dopo competono. Ma la favoletta funziona, fa breccia. Perché è bell’e pronta, non richiede sforzi intellettuali né spirituali. Basta aderire. Basta ubbidire. Basta essere conformi.
La salute, come la libertà, deve essere ora -impiantata- tramite inoculazione, deve essere “conferita”, non è più uno status preesistente alla malattia, ma la condizione che si ottiene solo curandosi preventivamente da una malattia che ancora non si è contratta. Ecco prodursi un esercito di malati immaginari o d’ufficio.
Un individuo in salute senza vaccino è ritenuto illegalmente sano, e comunque ad interim; il suo vigore non è certificato perché non si manifesta dietro prescrizione o controllo. Nessuno lo genera burocraticamente a monte, perciò “non vale”. Essere sani senza aver assunto il vaccino è ora avvertito come un illecito, un privilegio che non si è conquistati con l’inchino e il “sacrificio”.
Dove avrebbe condotto questo asservimento fideistico non era chiaro definirlo, sulle prime, poteva condurre a tutto. Si pensava al credito sociale cinese. Ed infatti sta accadendo. Ma nel frattempo è entrata in scena la guerra. Colpo di scena.Ora tocca mettere in atto un lavaggio del cervello di quelli mostruosi, il cui esito nemmeno lassù possono calcolare: convincere li stessi a cui era stato inculcato il culto del corpo, che il corpo è sacrificabile per quei valori che prima erano stati dichiarati sacrificabili in nome del corpo.
Dissonanza cognitiva ? Ci vorrebbe un nuovo vocabolo per una tale contorsione mutante.
Prima li hanno convinti che la sicurezza valeva l’anima. Ora, al contrario, che la libertà e i valori prima sacrificati in nome dell’involucro di sangue e carne, tornano in cima alla lista delle cose fondamentali della vita, e valgono il sacrificio del corpo in nome della guerra. La guerra comincia a produrre un’elettricità erotica inconscia su scala collettiva.
Due anni di mesmerizzazione, basata sul culto del corpo come coefficiente supremo della società. Improvvisamente, ecco un nuovo elemento davanti a cui l’intero impianto di mondo, di essere, di valori e concetti deve cedere il passo. Ciò davanti a cui la realtà deve bruscamente retrocedere a istanza biologica e le dottrine umane confluire in una furia scientifica oscurantista.” Per il bene di tutti”.
Se non altro, è stata un’occasione drammaticamente propizia per dimostrare, agli scettici della dissidenza, quanto e come i vaccini, le restrizioni e la guerra trovino un’ inquietante sorgente comune, come collimino sinistramente, e soprattutto che coloro che prima propugnavano i sieri, ora propugnano le bombe. Cerberi assetati di vita e di paura, gente senza dio, avversi alla terra e al cielo.
Del resto, non è ciò che auspicano i vari Schwab & Harari, sulla scorta di Skinner? Eliminare il fastidio di possedere un Io, l’istanza psicologica interna dell’Essere. Eliminare l’anima, il simbolo cristico, e tutto ciò che lo rappresenta: le letterature, le discipline umanistiche stesse. Eliminare l’homo humanus e annunciare l’avvento dell’homo algorithmus, l’umano come unità del formicaio, che ha trasceso il suo enigma con una lobotomia su scala antropologica.
Ma perché l’uomo cerca una sicurezza che non potrà mai raggiungere? Lascio rispondere allo Zio Hermann:
“Che pensiero meraviglioso: una vita senza paura. Superare la paura: questa era la beatitudine, questa la redenzione. Era stato afflitto dalla paura per tutta la vita e adesso che la morte già stava per strangolarlo non ne provava più: niente paura, niente terrore, solo sorriso, solo redenzione, solo armonia. Seppe, d’un tratto, cosa sia la paura, seppe che essa può essere superata solo da chi l’abbia riconosciuta. Si ha paura di migliaia di cose, del dolore, dei giudici, del proprio cuore; si ha paura del sonno, paura del risveglio, paura della solitudine, del freddo, della follia, della morte: specialmente di quest’ultima, della morte. Ma sono tutte maschere, travestimenti. In realtà c’è una sola cosa di cui si ha paura: del lasciarsi cadere, di fare quel passo verso l’ignoto, quel passettino lontano da ogni sicurezza possibile. E chi avesse tentato una volta, una sola volta, chi avesse avuto fiducia e si fosse affidato al destino, sarebbe stato libero. Non avrebbe più ubbidito alle leggi terrene, sarebbe caduto nell’universo e avrebbe partecipato del moto degli astri. Così stavano le cose. Era così semplice, ogni bimbo poteva capirlo, poteva saperlo.” [H.H. Klein e Wagner]
Illustrazione di copertina: Angelica Alzona