Il papa dell’ammuina
Da quando ci hanno imposto la maschera, i potenti si sono tolta la loro. Tutte le narrazioni del passato (libertà, democrazia, Stato di diritto, religione) sono saltate in nome – o con il pretesto – di un esserino battezzato Sars-Cov 2. Il nostro è un tempo tragico e grottesco, che ricorda l’ordine della marina borbonica per la visita del re: Facite ammuina. Fate confusione: qualcosa succederà.
Il pensionante di Santa Marta, il signore argentino di professione papa, da anni è il maestro nella speciale arte di fare ammuina. Non solo nell’ambito del contagio, in occasione del quale ha chiuso le filiali (prima si chiamavano chiese), fatto sostituire l’acqua santa con l’igienizzante e dettato la linea ufficiale sull’epidemia. Per Jorge Mario Bergoglio vaccinarsi è un dovere, non sappiamo se laico, religioso o che altro. Silenzio assordante sul senso dell’accaduto, su un’interpretazione del male e della sofferenza alla luce della speranza cristiana.
Bergoglio fa ammuina, semina confusione e, come nella vignette di Giovannino Guareschi, proclama il “contrordine, compagni!” nella chiesa, non più cattolica (Francesco dixit: Dio non è cattolico), non più tanto romana (sinodale, ecumenica o, più prosaicamente, dove ciascuno fa e dice ciò che gli frulla in capo) e tanto meno apostolica. È stato il gesuita venuto dalla fine del mondo a condannare l’apostolato missionario, sbrigativamente derubricato a proselitismo: una cosa brutta, pare. Non parliamo di Pachamama l’idolo amazzonico portato in San Pietro, delle dichiarazioni improvvide in materia di legge naturale e morale sessuale (“chi sono io per giudicare?”) e, trascuriamo che l’unica salvezza ammessa sembra essere quella ecologica del pianeta, stando a encicliche in cui si cerca invano il nome di Dio.
Ora è arrivata la svalutazione dei Dieci Comandamenti, Non possiamo non dirci cristiani, affermò Benedetto Croce, ma erano altri tempi. Oggi tocca fuggire da un’istituzione il cui declino si rivela una gigantesca crisi di fede. Nessuno, dal pulpito o da Santa Marta (il Vaticano è la sede di rappresentanza) parla più di Dio, del destino eterno dell’uomo. Il Nazzareno è resuscitato il terzo giorno, oppure qualcuno ne ha trafugato le spoglie e messo al suo posto un sosia, mostrato a Tommaso, agli stupefatti uomini di Emmaus e ai discepoli?
Gli innumerevoli contrordini della chiesa post moderna (o post chiesa?) sono il più drammatico dei tradimenti. Producono dolore morale e perfino fisico. È come vedere con i propri occhi l’ostentato tradimento della persona amata, che per di più ci sorride. La domanda è tremenda: ci hanno imbrogliato per venti secoli, o sono impazziti negli ultimi decenni? Abbiamo creduto, come tanti prima di noi, che la Chiesa fosse “madre e maestra”. Diventata matrigna e rigettato il ruolo di guida a partire dell’oblio della legge naturale (i principi non negoziabili a cui è indifferente il papa protempore), a che serve la vecchia, venerabile, religione cattolica?
È ancora una fede, se, tra continui contrordini, non è più solida pietra tra le tempeste – il ruolo assegnato dal Figlio – ma fa ammuina e corre qua e là come i marinai borbonici? L’ultimo colpo riguarda i Dieci Comandamenti, simbolo dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. Per il tifoso del San Lorenzo de Almagro, i comandamenti “non sono assoluti. La loro funzione è limitata nel tempo e conducono all’incontro con Gesù Cristo che ci giustifica gratuitamente.” Tale è la catechesi pronunciata in udienza generale. Stavolta, almeno, Bergoglio non si è interrotto per rispondere al telefono, come in un’occasione precedente.
La Legge, “certamente aveva avuto delle funzioni restrittive” ma anche – bontà sua- “una funzione positiva, ma limitata nel tempo. Non si può estendere la sua durata oltre misura, perché è legata alla maturazione delle persone e alla loro scelta di libertà. Una volta che si giunge alla fede, la Legge esaurisce la sua valenza propedeutica e deve cedere il posto a un’altra autorità. “Quello che ci giustifica – prosegue – è Gesù Cristo. I Comandamenti si devono osservare, ma non ci danno la giustizia; c’è la gratuità di Gesù Cristo, l’incontro con Gesù che ci giustifica gratuitamente”.
Par di capire che più che di comandamenti, si trattasse di consigli bonari del tempo che fu. E se Gesù giustifica tutto, a che valgono le opere, i comportamenti, fare il bene e fuggire il male? Nella migliore delle ipotesi, è luteranesimo rimasticato (la giustificazione per fede), nella peggiore è l’adesione alla vulgata occidentale moderna, per la quale i comandamenti sono un irricevibile elenco di divieti e prescrizioni, indegni dell’uomo sovrano di se stesso.
Qual è il posto di Dio, se c’è ancora? Gesù “giustifica gratuitamente”, dunque a nulla vale una vita onesta, in cui non si ruba, non si uccide, non si fornica, non si desiderano la donna e la roba d’altri, si onora il padre e la madre, o i genitori 1 e 2. Gesù appare, più che misericordioso, indifferente al giusto e al peccatore. Nello sforzo di fare ammuina, l’uomo di bianco vestito va oltre. “Come vivo io? Nella paura che se non faccio questo andrò all’inferno? O vivo anche con quella speranza, con quella gioia della gratuità della salvezza in Gesù Cristo?”
Insomma, ciò che fu santo e giusto – i suoi predecessori lo chiamavano timor di Dio – è un comportamento ridicolo, indegno dell’orgoglioso uomo moderno. Desideroso di stupire come certi dissacratori, Bergoglio ne ha sparata una ancora più grossa: “Hai fatto questo, pertanto la Legge – i Dieci Comandamenti – dice questo: tu sei in peccato. Anzi, come insegna l’esperienza comune, il precetto finisce per stimolare la trasgressione.” Meglio quindi tacere su ciò che è bene e ciò che è male, lasciare che ciascuno sia legge a se stesso, in un relativismo esistenziale in cui la fede in Gesù (ma è ancora Dio?) giustifica tutto. Se, come asserivano nel buio passato, c’è un’altra vita, lassù c’è posto per tutti. Gesù salva a prescindere. Applausi a scena aperta da assassini, ladri e mentitori.
Stremato, al termine dell’udienza, l’anziano vescovo di Roma si è concesso una ricreazione a biliardino, un toccasana per lo spirito. Lasciamo ai sapienti ogni considerazione teologica, ma resta un’amarezza infinita, un vuoto che solo la preghiera del credente può superare. E gli altri, i dubbiosi, gli agnostici, quelli che attendono una parola forte, un segno di speranza, una scintilla di eternità?
Un libriccino di Marc Augè si intitola Le tre parole che cambiarono il mondo. Quelle parole sono “dio non esiste” e chi le pronuncia è il titolare della cattedra di Pietro. Il 1 aprile (il giorno delle burle), la domenica di Pasqua – la Resurrezione – il pontefice si affaccia e fa il clamoroso annuncio. Nel libro, il cui protagonista è lo scienziato Theophile (amico di Dio) che si fa chiamare Theophobe (il nemico di Dio) al messaggio segue il crollo di tutte le religioni.
Per Augé, ateo, è l’inizio della felicità per l’umanità liberata da conflitti e false credenze. Per noi, è esattamente il contrario. A piccoli passi, un’ammuina dopo l’altra, al papa di Roma non resterà che pronunciare le medesime, fatidiche parole: Dio non esiste, non ci crediamo più, abbiamo scherzato per duemila anni.
Forse esageriamo, interpretiamo malamente i messaggi di Santa Marta, sede operativa del Vaticano, ma ci sembra che il vero dramma sia l’indifferenza, lo sbadiglio che accoglie le parole del papa. Le chiese sono vuote e mancano le vocazioni. Chi dedicherebbe la vita a qualcuno che forse non esiste, chi seguirebbe comandamenti che sono banali suggerimenti senza impegno, figli di un tempo lontano tra la sabbia del deserto ?
Poi, magicamente (come altro dire?) arriva la fede in Gesù, un profeta del trapassato remoto, un grand’uomo, un potente guaritore (parole del biblista cardinale Ravasi) e siamo salvati. Come nel gioco infantile, al termine dell’ammuina, tana libera tutti. Che cosa arriviamo a pensare!
Idee&Azione / Illustrazione di copertina: Emiliano Ponzi