Politica,  Società

Il partito politico, ovvero la fatica di Sisifo che ci aspetta

Alle ultime elezioni amministrative, l’astensionismo ha raggiunto in Italia la percentuale record di circa il 50% degli aventi diritto. Se proiettato e confermato su scala nazionale, un simile dato indicherebbe che in questo momento ci sono venti milioni di persone non rappresentate dagli attuali partiti presenti in Parlamento.

Dunque, parlando in linea per ora puramente ed esclusivamente teorica, possiamo dire che ci sono venti milioni di voti che pascolano liberi e che, se qualcuno riuscisse a intercettarne e convogliarne anche solo la metà, potrebbero generare un terremoto del sistema politico. Ma, appunto, si tratta soltanto di uno schema teorico astratto.

Il punto è che, a rigor di logica, una percentuale così estesa di disaffezione nei confronti del sistema politico non può coincidere con l’attuale opposizione sociale al green pass giacché quest’ultima ha avuto finora dimensioni troppo ridotte.O forse non è così. Forse, una qualche correlazione invece può esserci.

Secondo un sondaggio pubblicato ieri da Nando Pagnoncelli, i contrari al green pass ammonterebbero al 31% dell’opinione pubblica, ovvero una base sociale enormemente più estesa di quella che assomma i renitenti alla vaccinazione. Una base sociale che, soprattutto, va a intrecciarsi con le numerose categorie economico-professionali che sono state colpite dalle misure di lockdown e distanziamento.

A questo dato italiano di Pagnoncelli, aggiungo allora una riflessione internazionale formulata il 31 dicembre da Bill Gates: in contrasto con un discreto numero di pareri scientifici ufficiali indicanti il 2025, il fondatore di Microsoft sostiene innanzitutto che la pandemia si concluderà in questo 2022. E aggiunge che il problema che investirà la società, nel corso dell’anno, consterà dell’erosione del consenso popolare alla classe politica, proprio in ragione della gestione disastrosa dell’emergenza pandemica.

In questo scenario, appare evidente che il compito dell’opposizione sociale dovrebbe oggi esser quello di creare un’offerta elettorale puntante almeno al 10% dei consensi. Per quanto la piazza possa crescere o addirittura insorgere, infatti, senza lo sbocco di una rappresentanza istituzionale non si raggiungeranno mai i rapporti di forza in grado di invertire materialmente la rotta.

Ma anche in questo caso, ci riferiamo a uno schema teorico ideale e astratto. Sul piano operativo, quest’ipotesi di rappresentanza istituzionale va a cozzare con cinque ordini di problemi: tre intrinseci alle qualità soggettive delle forze di opposizione e due inerenti al contesto internazionale.

I problemi intrinseci alle forze di opposizione sono i seguenti:

1) Tutte le forze di opposizione – in particolare quelle orientate verso il piano elettorale – sono incentrate su una prospettiva soggettivista facente sì ch’esse si considerino autosufficienti con il loro zero-virgola o che, in rapporto alla necessità di unirsi, si considerino auto-investite del ruolo di entità che confedera tutte le altre.

2) A questi problemi di soggettivismo autoreferenziale, si uniscono poi quelli di natura dottrinale. La necessità di semplificare la comunicazione per far presa sulle masse, porta molti a puntare sul marketing ovvero alla scorciatoia di un movimento privo d’analisi strutturale della fase storica, ovvero basato sul fallace principio “prima ci uniamo, poi vediamo che visione del mondo elaborare”.

Se quest’approccio era un peccato mortale già nel 2007 al tempo della crisi finanziaria globale, di fronte all’avvento della quarta rivoluzione industriale risulta semplicemente inconcepibile. Gli elementi per avere una comunicazione di massa semplice ma qualificante sul piano dell’analisi, invece, sono presenti e visibili negli enunciati e nelle categorie ricorrenti all’interno della nuova opposizione sociale. Essi sono sostanzialmente tre: a) ri-generazione della democrazia costituzionale; b) avversione verso tutte le forme di governance sovranazionale (UE, OMS, WEF, eccetera), perché incompatibili col principio costituzionale di sovranità popolare; c) necessità non solo di una nuova politica, ma anche di nuovi modelli di relazione sociale, di cultura e di vita quotidiana.

Una formazione politica che bypassasse questi elementi di qualificazione per creare un contenitore di protesta generica e senza cervello, ebbene, sarebbe destinata a non cambiare assolutamente nulla.

3) Inoltre, se per assurdo una formazione elettorale di alternativa ottenesse un risultato tale da andare al governo del paese, nel giro di pochi mesi essa verrebbe travolta dalle sopra citate forze sovranazionali, dai media asserviti a queste ultime e, infine, dalla magistratura e dai servizi segreti. Pertanto, l’alternativa passa da una classe politica che abbia comprensione del fatto che cambiare le cose, oggi, significa assumere prioritariamente il controllo delle forze dell’ordine e del sistema giudiziario e che, anche così facendo, si tratterebbe sempre e comunque di rischiare la propria vita morendo in qualche fortuito incidente aereo o cose del genere. Al momento, anche nelle forze d’opposizione più radicali, siamo molto lontani dalla consapevolezza della dimensione non democratica del contesto sovranazionale e, quindi, della dimensione di rischio personale che esso implica.

Illustrazione: Sam3

I problemi di ordine internazionale che rendono al momento inattuabile la nascita di una formazione politica d’alternativa, infine, sono i seguenti.

1) Quantunque fin dall’inizio la pandemia abbia mostrato la sua dimensione globale e quantunque lo sfruttamento sovranazionale della sua gestione si sia svolto sottraendo ulteriore potere decisionale alle istituzioni democratiche dei vari paesi, in due anni non si è riuscito a determinare neanche un abbozzo di movimento internazionale. Dal momento che nulla, all’orizzonte, lascia intendere un superamento di tale e gravissima carenza, diventa anche velleitario pensare che un paese – da solo, senza alleanze internazionali – possa liberarsi dalle maglie d’un colpo di stato globale.

2) Se da una parte in due anni non è riuscito a sorgere alcun movimento di protesta internazionale, dall’altra neppure vi sono contrapposizioni geopolitiche intorno alla quarta rivoluzione industriale. O meglio: l’occidente sta vivendo tensioni economiche e commerciali con la Cina e rinnovate tensioni militari con la Russia, ma nulla che lasci preconizzare una contrapposizione bipolare o multipolare intorno al modello sociale-istituzionale del regime pandemico.

Concludendo, la costruzione di un partito politico o movimento/partito, è oggi un impegno tanto necessario quanto, molto probabilmente, destinato a rivelarsi una Fatica di Sisifo o un ineluttabile fallimento.

Riccardo Paccosi

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Illustrazione di copertina: Francesco Ciccolellla

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