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Il razzismo anti-bianco degli anti-razzisti occidentali

Pochi giorni fa la sindaca di Chicago ha annunciato di essere disposta a concedere interviste solamente a giornalisti di colore perché “ci sono troppi bianchi fra i giornalisti che si occupano di Chicago”. Razzismo? No. Antirazzismo! Lori Lightfoot, sindaco di Chicago dal 2019, è nota per essere la prima donna afroamericana, nonché prima donna lesbica, a ricoprire il ruolo di primo cittadino in una grande metropoli americana. E allora si capisce come e perché abbia tutte le carte in regola per concedersi impunemente anche il “lusso” del razzismo (anti-bianco, ben s’intende). Negli Usa di oggi questo razzismo anti-bianco è divenuto senso comune degli ambienti della sinistra “woke” (risvegliata). È un razzismo che può farsi passare per “anti-razzismo” in quanto manifestazione della giusta lotta al “razzismo sistemico” bianco. Se fosse stato un sindaco bianco a decidere di concedere interviste solo a giornalisti bianchi, si può esser certi che si sarebbe scatenato un putiferio globale con guerriglie urbane, dimissioni del sindaco a furor di media e qualche altra statua buttata giù. Che ci sta sempre bene.

Fece scalpore negli Usa pochi mesi fa anche il caso della giovane poetessa di colore Amanda Gorman, diventata improvvisamente famosa per avere declamato i suoi versi al giuramento di Joe Biden. La Gorman rifiutò la traduttrice dei suoi versi in olandese Marieke Lucas Rijneveld perché pur essendo quest’ultima “non binaria” (cioè non strettamente eterosessuale) il che la rendeva non inadatta al suo compito, tuttavia aveva una imperfezione. “Non è adatta perché non è nera” sentenziò la Gorman. E ottenne che la casa editrice affidasse ad un’altra traduttrice nera il lavoro di traduzione.

Negli Usa oggi soltanto un uomo o una donna di colore può tradurre scrittori di colore e soltanto – come è realmente accaduto – un doppiatore di colore può dare la voce nei cartoni animati a un personaggio di colore. Solo studiosi neri possono insegnare su argomenti attinenti alle questioni razziali e solo esponenti delle lobby Lgbt possono insegnare e trattare argomenti legati al gender.

È la “teoria critica della razza”, un vero razzismo a parti invertite che è divenuto dogma nelle Università e nelle case editrici americane (e non solo americane). Non conta il merito, ma solo il colore della pelle. È una specie di apartheid al contrario in nome dell’anti-razzismo e della diversità. Un vero progresso!

Un neo-segregazionismo

Uno spettacolo di apartheid al contrario è stato messo in scena nei mesi scorsi in ben 75 Università americane dove sono state celebrate cerimonie di laurea separate per neri, latini, nativi, asiatici, Lgbt. I bianchi hanno avuto anche loro una cerimonia separata. I mulatti e i meticci non erano previsti, ma potevano scegliere. Alla Columbia University di New York c’era anche una cerimonia separata per i “redditi bassi”: segregazione sociale. Cerimonie “multiculturali”, dicono. Ma è l’opposto. È la segregazione prodotta dai folli della diversità ugualitaria. È il razzismo generato dall’anti-razzismo ideologico.

Negli Stati Uniti il business segue la corrente. La Unilever nelle sue pubblicità ha eliminato ogni riferimento alle virtù “sbiancanti” dei suoi detersivi. Così hanno fatto alcune fabbriche di cosmetici. La segregazione investe persino i prodotti in vendita nei supermercati. La catena Giant Food ha introdotto etichette che indicano la provenienza etnico-razziale delle merci vendute. “Black owned”, “Hispanic owned”, “Asian owned”, “Lgbt owned”. La motivazione è che si vuole facilitare le imprese afroamericana e delle altre minoranze. A quando le etichette “white free”?

Negi Stati Uniti si sta diffondendo un vero “neo-segregazionismo”. “Neo” perché adesso sono le minoranze, incoraggiate dai loro sponsor politicamente corretti, a rinchiudersi volontariamente nei ghetti da esse stesse creati, dato che in quei ghetti si può godere dei privilegi che la società multiculturale, dominata dall’ideologia “anti-razzista ed anti-sessista del politicamente corretto, garantisce alle “diverse” minoranze “culturali” o sessuali o di gender.

Nuovo suprematismo

Gli unici a non godere di alcun privilegio sono i maschi, bianchi, cristiani ed eterosessuali. Per loro c’è solo il diritto comune e la riprovazione moralistico-razziale. Al vertice della piramide del politicamente corretto ci sono le donne, nere, musulmane, femministe e omo-bi-transessuali, come la sindaca di Chicago citata. Queste sono anche inattaccabili. Sono in una botte di ferro. Viceversa  il maschio bianco, cristiano, eterosessuale sta diventando un paria, per di più sospetto.

Il capovolgimento della gerarchia di razze, sessi, culture o civiltà non genera uguaglianza, ma una diversa discriminazione: neri, meticci, donne, ex colonie, paesi del Sud del mondo o Islam, sessualmente diversi stanno diventando modelli politici, culturali e morali mentre i bianchi, gli uomini, le chiese cristiane, gli eterosessuali, l’Occidente e la sua cultura sono relegati al fondo della piramide multiculturale, colpevolizzati e stigmatizzati. Da dietro l’inversione di polarità fa capolino un nuovo suprematismo alla rovescia: tutti valgono di più dell’occidentale, bianco, cristiano, eterosessuale. Se poi è anche un liberal-conservatore o è comunque politicamente scorretto, è un paria, da perseguitare e cancellare. È una nemesi della storia che non promette nulla di “progressivo” perché è una sovversione anche ideologica dei principi universali cristiani e liberali che almeno in linea di principio e imperfettamente garantiscono l’eguaglianza formale di tutti i cittadini a prescindere da razza, religione, sesso e opinioni.

“Eppure, negli Stati Uniti negli ultimi 100 anni abbiamo fatto enormi progressi. Cento anni fa, ai bambini a scuola veniva insegnato che il colore della loro pelle era la loro caratteristica più importante. E se avevano un certo aspetto ed erano neri erano inferiori. Oggi ai bambini viene insegnato di nuovo che il colore della pelle li definisce e, se hanno un certo aspetto e sono bianchi, sono degli oppressori” ha osservato il senatore nero afroamericano Tim Scott in un suo clamoroso discorso al Congresso di Washington.

Jason Riley, giornalista di colore del Wall Street Journal ha scritto: “Termini come razzismo sistemico e pregiudizio inconscio sono sempre più comuni, ma le opinioni razziste dei bianchi sono in costante declino e tuttavia la sinistra politica ha interesse a sopravvalutare l’esistenza e gli effetti del razzismo… E i media seguono gli ordini della sinistra politicamente corretta…Nel politicamente corretto c’è un colore della pelle che invece criminale lo è: il colore bianco”.

“Day of Absence”, la giornata organizzata dall’Evergreen State College di Washington in cui i bianchi non sono ammessi

L’antirazzismo è usato come un manganello. All’Evergreen College di Washington un gruppo di studenti aveva organizzato una “Giornata di esclusione dei bianchi”. Un professore di Biologia, Bret Weinstein, che aveva osato denunciare l’evento come “razzista e segregazionista” ha dovuto dimettersi, dopo essere stato insultato e accusato dal movimento “anti-razzista” di studenti e insegnanti “Equità e Inclusione”. Cinquantotto dei suoi colleghi professori avevano chiesto contro di lui un provvedimento disciplinare. E Weinstein ha dovuto andarsene. “La polizia mi ha detto che non ero al sicuro” ha raccontato.

Teoria critica della razza

Il nuovo razzismo anti-bianco ed anti-occidentale ha anche una sua teoria ed una sua ideologia chiamata “teoria critica della razza”. Essa è basata su una concezione della storia dell’Occidente come intrinsecamente e geneticamente criminale, caratterizzata solo da schiavismo, colonialismo e razzismo. Tutte le conquiste scientifiche, letterarie, filosofiche, artistiche, spirituali dell’Occidente sono occultate e scompaiono perché vengono cancellate.

Whiteness e razzismo sistemico

La storia “criminale” dell’Occidente viene fatta ascendere alla whiteness (traducibile con bianchitudine), in sostanza il colore della pelle, a cui viene associata una cultura, una tradizione e un insieme di valori. La whiteness ed il suo “razzismo sistemico” colonialista e schiavista sarebbe poi una specie di malattia ereditaria e contagiosa che contaminerebbe anche i discendenti degli schiavisti e dei colonialisti bianchi del passato. È evidente che la whiteness è solo un altro nome della razza e che in questo modo si reintroduce la razza come criterio di interpretazione storica e di giudizio politico, riproducendo di fatto le teorie del razzismo classico (alla maniera di Joseph Arthur de Gobinau e del suo “Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane”) e le peggiori esperienze della storia europea degli ultimi due secoli. Ma secondo i suoi ideologi, l’ideologia della whiteness non sarebbe un vero razzismo, perché l’unico vero razzismo sarebbe quello bianco, intrinseco alla società e alla civiltà occidentale e cioè alla razza bianca. Ma in realtà la cosiddetta “teoria critica della razza” è uno pseudo-antirazzismo perché, in quanto anti-bianco, è un antirazzismo razzista. I bianchi sarebbero geneticamente e ineluttabilmente suprematisti perché hanno quel colore della pelle.

Sulla base di simili teorie antistoriche ed antiscientifiche, negli atenei americani si tengono corsi universitari preconfezionati dove si deformano la storia, la filosofia, le scienze sociali e si manipola il cervello di un’intera generazione. Esse stanno rilegittimando le teorie razziste in nome dell’anti-razzismo. Negli Stati Uniti ogni viso pallido dovrebbe ammettere sin dalla scuola materna il proprio privilegio, e scusarsene. L’unica identità che ai bianchi viene ancora concessa è quella della contrizione, della penitenza e dell’espiazione. Anche i regimi totalitari perseguitavano gruppi di persone non per quello che facevano, ma per quello che erano. L’antirazzismo politico non è altro che una macchina da guerra contro i bianchi e la società e la cultura occidentale. Queste bizzarre teorie non sono limitate agli Stati Uniti dove sono legate allo schiavismo ed al razzismo anti-nero del passato, ma si diffondono anche in Europa.

In Europa l’ideologia decoloniale

Nei Paesi europei ex imperiali e colonialisti, come la Gran Bretagna e la Francia quelle teorie prendono l’aspetto di un’ideologia “decoloniale” che pretende di purificare la società europea dai residui pregiudizi (anche inconsci) coloniali e dalle opinioni contrarie al movimento decoloniale e multiculturalista. Queste teorie sono incompatibili con il liberalismo e la democrazia perché riducono la società ad un’aggregazione di gruppi, minoranze, comunità e tribù.

In Europa l’attacco al liberalismo avviene in un contesto generale di crisi della sinistra classica che ha pensato di colmare il vuoto conseguente alla caduta del marxismo e del comunismo adottando le teorie americane del genere, della razza e dell’identità, che riconducono tutta la storia umana a queste tre dimensioni.

Dall’inizio degli anni Duemila si è sviluppata in Francia un’ideologia decolonialista di sinistra radicale, che ha sostituto il marxismo ed il comunismo. Sulla sua base si è realizzata un’alleanza militante tra gruppi marxisti, in particolare trotskisti, e gruppi islamisti, antioccidentali e antisionisti con forti caratteri anti-ebraici ed anti-semiti. La figura del proletario vittima della società borghese è stata sostituita dal musulmano, sulla base del presupposto che sarebbe una vittima dell’Occidente eurocentrico e suprematista. L’Islam stesso sarebbe una religione dominata. Le comunità musulmane immigrate sarebbero una minoranza erede e simbolo dei popoli colonizzati, oppressidiscriminati e razzializzati, che dovrebbero subentrare al proletariato perduto. I militanti dell’estrema sinistra si sono mobilitati così a fianco degli islamisti, Fratelli Musulmani o salafiti. La parola d’ordine unificante è la lotta all’islamofobia che sarebbe diffusa tra i francesi borghesi bianchi eredi dei colonialisti d’antan. La vittimizzazione che negli Stati Uniti ha per oggetto il nero, in Francia si incarna nella figura del nordafricano musulmano che “giustamente” odia il francese. La vittimizzazione richiama la colpa. Se c’è una vittima c’è anche un colpevole, un aguzzino, un carnefice. E questo è il francese, l’occidentale, il bianco. A sostenerlo sono, oltre ai musulmani, anche molti francesi bianchi impegnati nei gruppi anti-razzisti. A molti occidentali, piace sentirsi in colpa, concepirsi come parte di una colpa collettiva e anacronistica. Essi si compiacciono di auto-fustigarsi per colpe commesse da presunti e simbolici “antenati” nel passato (che tra l’altro erano ben lungi dal sospettare di stare commettendo colpe imperdonabili).

Odio di sé

L’odio del bianco per il bianco è anche un odio di sé del bianco privilegiato e civilizzato. L’attrice francese Rosanna Arquette, nel 2019 scrisse in un tweet che fu ripreso da vari giornali: “Sono disgustata dal fatto di essere nata bianca e privilegiata. Provo un enorme senso di vergognaNé la Francia né gli Stati Uniti vivono in un regime di razzismo e di segregazione, bensì sono due Paesi costituzionalmente antirazzisti, anche se in quei Paesi, come ovunque, si verificano degli episodi di razzismo. L’Occidente – se si vuole l’uomo bianco – ha commesso molti orrori come il colonialismo, l’imperialismo e lo schiavismo. Ma nessuna civiltà può dirsi esente da quei medesimi orrori del passato che oggi sono considerati orrori solo perché l’Occidente cristiano e liberale ha insegnato al mondo intero a considerali tali. È stata l’Europa cristiana e liberale – e cioè l’uomo bianco – che ha inventato i diritti dell’uomo e l’abolizionismo della schiavitù non certo l’Asia o l’Africa.

La cultura occidentale è la sola poi a prendere le distanze dai propri errori ed è l’unica che abbia riconosciuto la propria barbarie e che sia capace di autocritica. E questo che è il suo maggior pregio etico è anche alla prova dei fatti una debolezza strategica, anche perché le altre civiltà si sono chiuse in un ostinato diniego dei propri orrori e della propria barbarie. Che perciò persistono soprattutto in vari Paesi extra-occidentali. Autoimponendosi un ideale universalista di libertà ed uguaglianza troppo elevato – e per questo irraggiungibile – l‘Occidente si espone alle accuse di inadempienza rispetto ai propri stessi principi, che non le sono perdonate né dai suoi nemici esterni, né soprattutto dai suoi nemici interni, che in quelle inadempienze trovano il suo punto debole ed un facile pretesto per decostruirlo.

L’Occidente nel mirino

Il delirio anti-occidentale ed anti-bianco dei presunti anti-razzisti vuole probabilmente punire l’Occidente per aver rivelato la violenza costitutiva di tutte le società e civiltà umane. E di essere diventato così la coscienza del pianeta che ha indicato a tutto il mondo la sola via di civilizzazione possibile: quella dei diritti umani e della universale dignità dell’essere umano. Non è quindi una questione di sangue e di colore della pelle come affermavano i razzisti di un tempo e come ripetono i neo-razzisti “anti-razzisti” di oggi. L’uomo bianco potrebbe anche scomparire come etnia. I meticciamenti etnici e i mescolamenti di sangue anzi migliorano l’umanità. Il vero pericolo viene dal fatto che quello che i nemici esterni ed interni dell’Occidente vogliono distruggere davvero, anche stigmatizzando in nome dell’anti-razzismo l’uomo bianco, è la civiltà occidentale, e cioè l’universalismo cristiano e liberale che respinge come male assoluto ogni forma di razzismo e di discriminazione.

La fine della civiltà occidentale significherebbe però la fine di ogni possibilità di civilizzazione universale ed un ritorno alla barbarie premoderna sia pure in forme post-moderne, tecnologiche e transumane. La civiltà occidentale potrebbe essere sostituita nel futuro dal modello olistico e totalitario cinese o da quello tribalista e teocratico islamico. O da una mistura multiculturale tecnologica e nichilista. Non si vedono altre alternative all’orizzonte. Un giorno gli storici del futuro biasimeranno probabilmente i nemici odierni dell’Occidente e loderanno la sua grande civiltà e persino l’uomo bianco. Diranno di quei nemici esterni ed interni dell’occidente: fecero un deserto e lo chiamarono “Progresso”.

Lucio Leante

Illustrazione di copertina: Gracia Lam

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