Il sogno dell’immortalità di Bezos e l’ineludibilità della morte
L’ancestrale paura per la morte si mescola costantemente, lungo la Storia, con il tentativo di allungare l’esistenza terrena anche solo di qualche giorno. È questo il tentativo di Jeff Bezos, il fondatore della multinazionale dello schiavismo Amazon, che dopo il viaggio nello spazio con la navicella Blue Origin ha pensato di lanciarsi in un nuovo progetto.
Dalla MIT Technology Review si apprende che Bezos starebbe investendo in una nuova startup finalizzata all’interruzione dell’invecchiamento dell’essere umano, dal nome Altos Lab, lanciata dal miliardario russo Yuri Milner nel 2021. Il complicato lavoro sulla longevità mira a mettere a punto una tecnologia che permetta di ringiovanire le cellule e consenta alle persone di vivere almeno cinquant’anni in più rispetto alla media attuale. «La filosofia della compagnia è puntare tutto su un lavoro di ricerca animato dalla curiosità», ha spiegato a Technology Review il ricercatore Manuel Serrano, «Attraverso un’impresa privata, abbiamo la possibilità di essere audaci ed esplorare tutte quelle dimensioni che possono aiutarci a comprendere il meccanismo del ringiovanimento. Monetizzare sulle scoperte che faremo è un’ipotesi, ma non l’obiettivo principale del nostro lavoro». Oltre a Serrano, già noto per il suo impegno nell’ingegneria genetica della longevità, nel progetto sono coinvolti anche Shinya Yamanaka e John Gurdon, premi Nobel per la medicina nel 2012 con un lavoro sulla riprogrammazione del DNA, il genetista statunitense Steve Horvath, il biologo tedesco Wolf Reik e il biochimo spagnolo Juan Carlos Izpisua Belmonte. La “lotta contro il tempo” di Bezos, uomo più ricco al mondo secondo le riviste di settore, non è una novità: con l’investimento fatto anni fa su Unity Biotechnology, azienda farmaceutica specializzata nell’anti-age, già si era detto volenteroso di dare un futuro – o forse più futuro, per fare un po’ di ironia – a questo ambito della ricerca.
È inevitabile il sorgere di alcune domande e riflessioni, delle quali la prima è di carattere socio-economico. Un magnate dell’ordolibersismo tecnocapitalista investe potentemente in un settore, preludio dell’ormai noto meccanismo per il quale una volta brevettata la scoperta, questa viene venduta, con ingente profitto e costruzione di paradigmi di dipendenza finanziaria e controllo sociale, agli Stati o ad altre aziende, alimentando il sistema di mercificazione della vita umana e le relative politiche. Non vi è niente di problematico, in sé, nella ricerca, anzi ben venga che la si possa eseguire, ma è la volontà che sottostà al progetto ad essere doverosa di valutazione, specialmente quando si tratta, come in questo caso, di un personaggio già noto per aver creato un’azienda monopolizzatrice in cui i lavoratori vivono in condizioni di precarietà ed inumanità lavorativa, creando concorrenza sleale nel mercato e trascinandone l’andamento in funzione di un maggiore arricchimento, sempre a discapito dei più deboli.
Una seconda domanda riguarda l’aspetto bioetico. Il rapporto con la morte è quanto di più ancestrale, radicato e comune all’uomo, fa parte del suo statuto ontologico ed antropologico. Un buon rapporto con la morte lo si ha nel momento in cui si realizza, e vive, l’apertura trascendentale dell’esistenza, nell’ordine metafisico che ci appartiene, non identificandosi con il proprio corpo biologico ma con l’anima che gli dà forma, acquisendo la consapevolezza che la dimensione esistenziale entro cui si acquisisce coscienza di sé non è l’unica, bensì è una ed un passaggio. La paura della morte compare, invece, quando non si compie questa maturazione individuale, restando ancorati o meglio intrappolati nella materialità del vivere, così da non avere alcuno scopo e alcuna verticalità. La morte è inevitabile, per entrambi i tipi di individui, arriva comunque sia per chi l’aspetta e la accoglie con riflessione, cuore aperto e consapevolezza del passaggio che rappresenta, sia per chi la teme, ne fugge in continuo e tenta di esorcizzarla violentemente. L’assurdità che emerge da un progetto destinato ad una presunta “immortalità” è poco sensato anche sotto un profilo ancora più sottile: il corpo biologico è una parte della nostra essenza incarnata e rimanervi collegati “per sempre”, quasi fosse l’unico stato in cui possiamo esistere, significherebbe limitare la nostra evoluzione, il nostro cammino in una dimensione ben più alta. È un po’ come cercare la libertà volendo rinchiudersi con maggiori catene dentro un carcere.
C’è anche un aspetto biomedico da considerare. Qualora si raggiungesse le possibilità di allungare la vita biologica, cosa ne sarebbe del nostro corpo? La genetica e la biologia ci insegnano che il corpo umano è un organismo complesso, in cui niente avviene “all’improvviso”, in cui le modificazioni provenienti dall’adattamento comportamentale ed ambientale hanno bisogno di un lungo periodo di tempo per fissarsi in maniera duratura nel patrimonio genetico ed essere, quindi, ereditabili. La grande scoperta di Bezos e compagni finirebbe per essere, ancora una volta, un lusso per pochi, non certo una elisir per i popoli e le nazioni. Anche la via dell’ibridazione uomo-macchina e l’applicazione delle biotecnologie al corpo, con tutta la complessa riflessione etica che richiamano, non possono interrompere il cammino che ogni anima è chiamata a compiere.
Sarebbe più sensato, magari, investire così tante risorse, ad esempio, nella formazione ad una vita sana, genuina ed equilibrata, o al lavoro interiore, alla consapevolezza di sé, allo studio per il bene comune e alla realizzazione autentica ed integrale della felicità individuale e collettiva. In questo modo, si permetterebbe una qualità della vita migliore, una trasformazione della società, un cambiamento radicale della direzione che ha preso questo mondo. Allora la morte probabilmente non sarebbe più la nemica da cui fuggire fino all’infausto ed inevitabile giorno, ma la sorella, come diceva San Francesco, cui appoggiarsi fraternamente al termine del proprio percorso in questa forma di vita, pronti a consegnarci fra le sue braccia per trapassare consapevolmente a nuovi orizzonti.
Idee&Azione / Illustrazione di copertina: Paolo Beghini