In fondo a tutto c’è sempre la luce
Da sempre, avverso chi mescola dottrina politica e dottrina spirituale perché ritengo che queste ultime rappresentino ambiti profondamente diversi della coscienza, dell’attività umana e della storia. Sto però e in parte rivedendo tale posizione, perché sento in me crescere l’odio verso il Nazismo Arcobaleno che sta trasformando il mondo e cancellando l’umano dalla prospettiva teleologica della storia.
Suddetto odio cresce non solo verso i potenti, ma anche verso ciascun componente del pavido gregge che garantisce a essi maggioritario consenso e che, quotidianamente, vomita odio e minacce verso ogni forma di dissenso politico.
Del resto, sto esperendo in questi giorni la condizione dell’essere un dissidente politico nell’era in cui il dissenso politico è stato, di fatto, messo fuori legge non già tramite divieto diretto, bensì tramite deprivazione dei diritti. Come potrei dunque non provare rancore verso i tantissimi che sostengono che dovrei, anche, essere deprivato del diritto al voto o all’assistenza sanitaria?
Dopo aver militato per trent’anni nella sinistra, il fatto che i sostenitori del nuovo nazismo e dell’esautoramento definitivo della democrazia coincidano esattamente col campo progressista, fa sì che non solo con suddetta area io non abbia più un presente condiviso, ma che affiori anche un sentimento di revisione retroattiva, ovvero che mi chieda: che passato in comune posso dire di avere avuto con chi, oggi, sostiene il distanziamento sociale permanente e se ne frega di milioni di persone che hanno perso o stanno per perdere il lavoro? Sento cioè che anche la condivisione trascorsa di idee, militanza e valori, ora, suona alquanto priva di senso.
Eppure, non è pensabile procedere così. Orizzonte personale e orizzonte del comune, in questo caso, coincidono.
Sul piano personale: se già il sistema di potere ha reso la vita di ciascuno materialmente miserabile, il crogiolarsi nel rancore non potrà che aggiungere, entro la coscienza individuale, miseria alla miseria.
Sul piano dell’orizzonte comune: dinanzi a un sistema che rende gli uomini estranei fra loro in quanto potenziali untori, la rigenerazione dell’umano deve per forza affidarsi alla connessione fra i viventi, non certo all’odio che separa.
Ma quando la maggioranza dell’umanità evoca o giustifica un futuro dove gli uomini devono restare per sempre separati fisicamente, in contrasto con ogni accezione possibile di amore e fratellanza, come si può volgere l’attenzione a ciò che unisce?
Come si può – vedendo ancora una volta tutto sprofondare nel buio del buco del culo d’una nuova Auschwitz – continuare a ricordare che, in fondo a tutto, c’è sempre la Luce?
Senza il soccorso d’un piano spirituale della coscienza, tutto questo risulta impossibile alle umane forze.
Occorre sfiorare la sfera del sovrasensibile per continuare a sentire la dolcezza, l’amore, come forza immanente dell’Universo. Quella forza da cui il mondo asettico del calcolo, dell’algoritmo e della “massima precauzione” vuole allontanarci irreversibilmente.
Illustrazione di copertina: Francesco Bongiorni