
La classe degli zoomisti si prende il Covid
Essere malati non è più peccato. Come Omicron ha Cambiato la Narrativa
Nel seguito trovate la traduzione di un articolo di Jeffrey Tucker apparso sul sito del “Brownstone Institute” (https://brownstone.org/articles/the-zoom-class-gets-covid/). Tucker fa una serie di punti interessanti, notando come l’arrivo della variante Omicron sta cambiando completamente la narrativa di tutta la faccenda.
Omicron sta sfondando tutte le barriere e crescendo a velocità folle. Vi ricordate l’anno scorso quando cercavano di terrorizzarci parlando di “crescita esponenziale”? Ma Omicron sembra lo Space Shuttle confrontato con dei pensionati che arrancano in bicicletta in salita.
Il nuovo animaletto peduncoluto sembra impossibile da fermare. “Buca” il vaccino come le zanzare passano attraverso una rete di recinzione. Se ne infischia delle precauzioni e colpisce più o meno tutti, anche quelli che, come fa notare Tucker, pensavano di essere al sicuro standosene a casa davanti allo schermo del PC, lasciando alle classi inferiori il compito di portargli la pizza per cena. Allo stesso tempo, Omicron è anche una creaturina a suo modo gentile. Per il momento, i dati sulla mortalità sono rassicuranti.
Vedete come tutto cambia: Fino a poco tempo fa, prendersi il virus era un’onta sociale, un vero marchio di infamia. Voleva dire non aver seguito le regole, essere un sovversivo, un criminale, un disadattato, o qualcosa del genere. Ma ora non più. Per molti di noi Omicron non è più un incubo esistenziale, ma solo una seccatura. È un’influenza stagionale che tanto vale avere subito, e poi non se ne parla più.
A questo punto, si rischia veramente un capovolgimento di narrativa: ritornare a un mondo in cui, come dice Tucker, “essere malati non è più peccato”. E potremmo forse ritornare al concetto che “Il modo corretto di definire le persone da proteggere non dovrebbe riguardare la classe, il reddito e il lavoro, ma piuttosto la vulnerabilità”. È possibile? Il tempo ce lo dirà.
(Prof. Ugo Bardi)
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La classe degli zoomisti si prende il Covid (articolo originale)
di Jeffrey A. Tucker. 27 Novembre, 2021
Per quasi due anni, ci siamo chiesti come andrà a finire. A posteriori, l’indizio è nel modo in cui è iniziata.
Le chiusure iniziali avevano una forte componente di classe. Alle classi lavoratrici era stato assegnato il compito di consegnare generi alimentari, curare i malati, guidare i camion pieni di merci, tenere le luci accese e fornire il carburante. Alla classe professionale, tra cui c’erano le persone che spingevano le chiusure in nome della prevenzione/soppressione delle malattie, fu assegnato il compito di stare a casa in pigiama, al sicuro.
Tutto è successo apparentemente in un istante. Tutti noi dovevamo capire se il nostro lavoro era qualificato e cosa avremmo dovuto fare. Più sorprendentemente, all’epoca, era l’idea stessa che i burocrati del governo potessero suddividere la popolazione in questo modo, decidendo cosa può aprire e cosa no, chi deve lavorare e chi no, cosa possiamo e non possiamo fare in base alla nostra posizione nella vita.
Così ora mi sembra ovvio. Tutto questo disastro sarebbe finalmente arrivato alla fine (o almeno la fine sarebbe iniziata) quando fosse diventato ovvio che la grande strategia di divisione e demarcazione delle classi non riusciva a proteggere dal contagio la classe di quelli che lavoravano su Zoom.
Quel giorno è finalmente arrivato, con un’impennata di casi in molte parti del paese e colpendo chiunque di ogni classe, sia che siano “attenti” e aderiscano alle “misure di prevenzione” o meno. Ciò che colpisce ancora di più è come anche i vaccini, che avrebbero dovuto codificare la saggezza della segregazione di classe, non abbiano protetto dal contagio.
Tutto questo sembra essere avvenuto nel corso del dicembre 2021, con l’arrivo della variante Omicron, apparentemente mite. Allo stesso tempo, ancora le altre varianti circolano ampiamente, causando vari gradi di gravità con o senza ospedalizzazione, molto meno la morte. In altre parole, milioni di persone di tutte le classi si stanno finalmente ammalando. A questo punto, sembra che stiamo assistendo a un grande cambiamento negli atteggiamenti.
Molto di questo viene dalla conversazione casuale. Una persona si ammala di Covid, magari confermato dai nuovi test casalinghi di moda. “Ti sei vaccinato?” viene invariabilmente chiesto alla persona. La risposta arriva: sì e ho anche fatto il booster. È allora arriva il brivido. Sembra che alla fine niente possa proteggere la gente da questo virus. In questo caso, è ora di cambiare tono.
“Migliaia di persone che ‘hanno seguito le regole’ stanno per avere il Covid. Non dovrebbero vergognarsi”, titola il Washington Post.
Provare vergogna per aver preso il covid-19 non è salutare o utile, gli esperti sono d’accordo… Ricordati: non sei un fallimento. “Milioni di altre persone si sono ammalate”, dice (Seema) Varma. “Sfortunatamente, non sei solo. Non sei l’unico. Non sei il primo a prendere il covid, e non sarai l’ultimo”. E quel test positivo, ribadisce, “non fa di te una persona irresponsabile”.
Così il pezzo va avanti, con un completo capovolgimento della narrazione che ci hanno propinato a lungo: chiunque prenda il Covid non è riuscito a rispettare le regole, ignora i consigli di Fauci, probabilmente vive in uno stato repubblicano, rifiuta la scienza, e comunque si porta addosso un marchio di egoismo e il desiderio di mettere la libertà davanti alla salute pubblica.
Il Covid è stato finora parte di una colpevolizzazione coerente con la lunghissima storia di demonizzazione dei malati e il tentativo di attribuire la malattia al peccato morale. Questo impulso risale al mondo antico, ma è stato ravvivato con grande ferocia nel 2020.
Per la verità, il concetto di classe è sempre stato meno importante nella storia americana, a causa della nostra lunga storia di aver evitato titoli e barriere sociali e in favore della mobilità e dei diritti universali. La schiavitù era inaccettabile in questa storia proprio per questo motivo. L’ethos americano ha aspirato forse non a una società senza classi, ma a una in cui il concetto è così opaco da non avere molto potere esplicativo culturale o politico.
Tutto questo è cambiato con le chiusure. Ci siamo ritrovati improvvisamente dentro una serie di a categorie rigide, imposte dallo Stato, che prima erano impensabili. Sono stati emessi documenti da burocrati della sanità pubblica con lunghi elenchi di istituzioni che potevano e dovevano restare aperte, imprese che dovevano chiudere perché “non essenziali”, e lavoratori che avevano improvvisamente il diritto di essere pagati anche se non si erano presentati al lavoro. È diventato oltremodo ovvio chi fosse chi.
Inoltre, questa rigida categorizzazione delle persone e delle condizioni di vita ha colpito anche la malattia. La maggior parte dei governatori negli Stati Uniti ignorava l’esperienza e le conoscenze apprese dall’amministrazione ospedaliera e riservava forzatamente i servizi medici solo ai malati di Covid o ai servizi di emergenza. Gli interventi e le procedure “elettive” dovevano aspettare.
Questo era vero anche per i viaggi e le attività essenziali e non essenziali. Con il passare del tempo, abbiamo gradualmente scoperto cosa era considerato non essenziale. Era la chiesa. Era cantare. Era andare in spiaggia, partecipare a feste, organizzare feste, stare in un bar, andare in vacanza. Essenzialmente, tutto ciò che normalmente era stato considerato divertente venne associato alla malattia, cementando così ulteriormente una sorta di relazione culturale tra peccato e malattia.

Questa demarcazione di classe era così potente da scavalcare i normali istinti politici della gente. La sinistra, a lungo orgogliosa del suo egalitarismo e della sua aspirazione di classe universale, si è adattata molto rapidamente e facilmente al nuovo sistema di classi, come se il tradimento di tutti i loro ideali politici fosse una cosa buona data l’emergenza della salute pubblica. La richiesta che tutti andassero d’accordo con gli esperti era qualcosa che decenni di esperienza politica americana avevano insegnato essere gravemente sbagliata. Ma in pochi fatidici mesi, durati quasi due anni, questa richiesta ha messo fuori gioco ogni altra considerazione.
L’ambizione trainante qui, anche se mai esplicitamente dichiarata, era quella di assegnare il peso di sopportare la malattia ai più deboli tra noi. Questo è un modello convenzionale usato nelle società illiberali nel corso della storia. Le élite che avevano sia concesso che beneficiato delle chiusure, assumevano come assiomatico il fatto di meritare la purezza e la salute più di coloro che lavoravano per mantenere la società in funzione. E questo schema è parso funzionare per molto tempo. Sono rimasti a casa, al sicuro e puliti, mentre il virus circolava di stagione in stagione.
È difficile sapere quale doveva essere la fine del gioco. Gli Zoomisti credevano onestamente di poter evitare per sempre l’esposizione e l’infezione e quindi lo sviluppo dell’immunità naturale? Certamente hanno creduto per un certo periodo che le iniezioni li avrebbero messi al sicuro. Una volta che è stato chiaro che non era questo il caso, è venuto fuori un problema enorme. Non c’erano più strumenti per perpetuare le caste delle malattie che erano state forgiate in passato.
Ora che quelli che hanno cercato di proteggersi non sono più in grado di farlo, stiamo assistendo a un improvviso ripensamento della stigmatizzazione delle malattie, del disprezzo di classe e del trattamento degli altri come sacchi di sabbia per proteggere le persone in base alla classe. Ora improvvisamente non è più un peccato essere malati.
Affascinante! Cosa è andato storto qui? Tutto. L’idea che la salute pubblica debba dividere così la gente – sulla base di un agente patogeno – contraddice ogni principio democratico. Quell’idea sopravvive ancora con i vaccini, indipendentemente dai limiti conosciuti. Le persone che hanno investito in questi vaccini, personalmente e socialmente, continueranno ad usarli per dividere e conquistare.
È tutto molto pericoloso per la nozione stessa di libertà. Il modo corretto di definire le persone da proteggere non dovrebbe riguardare la classe, il reddito e il lavoro, ma piuttosto la vulnerabilità, che nel caso di Covid è soprattutto legata all’età. È così che il XX secolo ha imparato a gestire le malattie infettive stagionali e anche le pandemie.
Quello che hanno tentato di fare nel 2020-21 era senza precedenti nel mondo moderno. Alla fine non ha funzionato, nemmeno per raggiungere l’obiettivo di mantenere le classi professionali libere dalle malattie. Questo è forse il momento in cui tutto finalmente finisce, non con il ripudio ma con la rassegnazione, l’acquiescenza e la resa. Si può stigmatizzare chiunque, ma si va troppo oltre quando lo si fa alle stesse élite della classe dirigente.
Traduzione dall’articolo originale a cura del Prof. Ugo Bardi per The Unconditional Blog
Illustrazione di copertina: Karolis Strautniekas

