
La contraddizione tra ottimismo della volontà e comprensione del tempo tragico
Chiarisco alcune cose riguardanti i miei interventi pubblici, ma non per parlare di me bensì per chiarire molto concisamente un problema filosofico legato a questa fase storica.
Spesso, quando mi capita di fare dibattiti politici, alcuni interlocutori con cui condivido la medesima visione critica dell’attuale fase storica, mi rimproverano eccessivo pessimismo.
Inoltre, alcuni di coloro che hanno letto il mio libro “Un Mondo Senza Danza” sono rimasti colpiti dalla natura pessimistica dell’opera, ovvero dalla tesi portante secondo cui – a dispetto della concezione progressiva del tempo storico propria della sinistra – quella che stiamo vivendo è una tragedia, una precipitazione catastrofica come poche altre se ne sono verificate nella storia. E parimenti tragico, quindi, non può che essere il punto di vista di chi rifiuta l’indirizzo intrapreso dal mondo. Tragico perché consapevole di non poter invertire il corso della storia, ovvero di non poter vincere.
Eppure non soltanto promuovo e organizzo in prima persona mobilitazioni sociali e politiche, ma mi sforzo anche di analizzarne le potenzialità parlando di nascita d’una nuova opposizione sociale, d’un nuovo potere costituente e così via.
C’è dunque una contraddizione?
La risposta è: sì e no.
Il problema è che la prassi politica, per potersi svolgere e per essere anche solo articolata dal pensiero, impone un ottimismo della volontà, ovvero un individuare scintille di vita anche in uno scenario di morte spirituale e devastazione sociale come quello presente; deve individuare la possibilità di avanzare strategicamente ovvero la possibilità, ancorché remota, di vincere.
Ma non appena ci si distacca dalla modalità volitiva e strategica del pensare politicamente, non appena si osserva la realtà senza alcun coinvolgimento militante, ecco che quest’ultima non ci lascia altro all’infuori dell’essere testimoni della Fine. Per dirla con Agamben, la realtà di questa fase storica non ci lascia altro che l’essere testimoni della scomparsa dell’uomo dall’orizzonte della storia, dell’uomo che scompare come un viso di sabbia disegnato sul bagnasciuga del mare.
Tutte le professioni di ottimismo, infatti, constano oggi di una fede priva di appigli. Enunciati come “prima o poi la gente si ribellerà” oppure “dallo sprofondamento nelle tenebre verrà fuori il Risveglio”, sono prive di qualsivoglia fondamento materiale, indiziale, fenomenico. Al contrario, tutta la realtà fenomenica intorno a noi volge verso l’irreversibilità dello spegnimento della natura umana, con un apparato di potere compattamente concorde sulla direzione presa e con una massa maggioritariamente acquiescente e passiva.
Nietzsche spiegava che solo il pensiero tragico può contemplare il decadimento e la distruzione che sono insiti su tutti i piani della realtà e ricondurre la coscienza, al contempo, verso una comprensione dell’universo e dei legami fra le cose, ovvero verso la comprensione della potenza affermativa della vita. Di fronte alla catastrofe antropologica definitiva ch’è in corso, soltanto la comprensione del tragico, dunque, consente di mantenere amore per l’umanità e amore per quell’universo col quale – sprofondati nel mondo telematico – stiamo perdendo sentimento di connessione nella stessa misura in cui la stiamo perdendo nei confronti dei nostri simili.
E allora, se così stanno le cose, la lotta politica e il conflitto sociale a cosa servono?
Possiamo a dire che servono a coltivare – attraverso una prassi di conflitto destinata a perdere – la testimonianza di ciò che l’umanità è stata, nella speranza che in un futuro molto remoto, per le generazioni a venire, da questa testimonianza possa nascere qualcosa di diverso rispetto alla notte del mondo che ci ha inghiottiti.
Ma per essere motivati a fare questo, occorre una tensione spirituale, ovvero d’amore autentico e incodizionato per l’umanità.
Questa condizione del tempo tragico non può essere enunciata in un comizio di piazza, ma la riflessione filosofica ha il dovere di ribadirla e chiarirla.

Illustrazione di copertina: Karolis Strautniekas

