La corda e il serpente
“Ci sono due modi per far muovere gli uomini: l’interesse e la paura.”
Napoleone Bonaparte
Unire l’intera umanità sotto un’unica fede è un’impresa in cui han fallito religioni venerande, nonostante millenari proselitismi. Al covidismo son bastati invece pochi mesi per radunare i popoli della Terra in una Chiesa perfettamente organizzata sul piano del dogma, della morale e della liturgia. Il segreto di tale risultato è duplice: da un lato, una congregazione mondiale de propaganda fide che ha svolto una formidabile e diuturna opera di conversione; dall’altro, un’umanità che della propaganda fa ormai il suo pane quotidiano, l’aria che respira.
Il covidismo, neonata religione universale, non soppianta le precedenti religioni o filosofie, ma le ingloba. Riunisce cristiani, marxisti, buddhisti ecc. all’interno di un unico grande pensiero ecumenico, nonostante sia per sua natura anti-cristiano, anti-marxista ecc. La neo religione attrae le masse per la sua dogmatica medico-scientista, mediatrice tra l’uomo e la salvezza.
Come dottrina metafisica, il covidismo ruota su due cardini: il Peccato, contagio spesso asintomatico che rende l’uomo mortale, e la Grazia, speranza di immortalità mediata da un vaccino. Entrambi sono misteri della fede e in quanto tali trascendono la ragione. Come prassi morale, il covidismo è una Legge di tipo mosaico, precettistica scrupolosa e ossessiva fatta di purificazioni e interdizioni rituali. Ma è anche profetismo escatologico, sorta di millenarismo, utopia farmaceutica secondo cui i giusti, cioè i vaccinati, regneranno sulla Terra.
Il covidismo non è dottrina d’amore o verità ma di paura. Non presuppone alcuna trascendenza. Professa un’immanenza carnale e malaticcia, cui dedica un culto integralista. È incerta guerra fra una Natura satanica e un Farmaco messianico. Non promette felicità in questo o in altro mondo. Non prevede, come ogni altra religione, una salute futura; solo un’emergenza sanitaria che sempre rinasce dalle proprie ceneri, come una Fenice; un eterno stato influenzale cui opporre un perenne Stato diagnostico-terapeutico. È celebrazione di una perpetua ipocondria.
Alcuni, senza dubbio, sono covidisti per calcolo, come per convenienza furono cristiani alcuni conquistadores o schiavisti, papi e cardinali. Ma il covidista ingenuo si illude, osservando i precetti e partecipando ai Sacramenti vaccinali, di poter salvare l’umanità, o almeno sé stesso, dal peccato e dalla morte.
Politicamente, il covidismo mira a governare l’umanità ricordandole quotidianamente la sua precarietà biologica, sorta di assillante memento mori. Soddisfa così l’oscura voluttà con cui tanti amano la sofferenza e la paura. Il covidista gode delle sue catene, prova una dissimulata libidine nel sottomettersi. Psicologicamente, il covidismo è quindi una nevrosi masochistica. Prospera perché pesca in quella sterminata massa che da sempre ama la servitù volontaria.
“Il segreto della felicità è la libertà e il segreto della libertà è il coraggio”, dice Pericle. “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”, risponde don Abbondio. Chiedere a un pauroso di aver coraggio sarebbe dunque come chiedere a un paralitico di camminare. Lamentando un’ingiustizia di nascita – che l’ha fatto “vaso di terracotta” – don Abbondio si ritiene esonerato dal dovere di affrontare il male. Il suo errore è confondere paura e viltà, ovvero un istinto con un vizio morale. Provar paura è naturale. Vile invece è sfuggire o nascondersi al proprio destino.
È immune alla paura chi stima un nulla ciò che può perdere. Così, non ha paura di morire chi disprezza la vita; o chi sa di essere un attore immortale che recita la parte di un condannato a morte. Non ha paura chi sa guardare al dolore, fisico o morale, con distacco. Il perfetto stoico, messo ad arrostire nel toro di Falaride, conserva la sua imperturbabilità, almeno in teoria. È libero dalla paura anche chi corregge la falsa percezione di una realtà minacciosa.
Prendiamo un uomo che torna a casa camminando tra le ombre incerte della notte. D’improvviso si trova davanti un grosso serpente e ha un moto di terrore. Ma ecco che dalle nuvole sbuca la luna e illumina la scena. Capisce allora che si tratta di una corda e la sua angoscia dilegua. Questa nota parabola non ci chiede di essere eroici ma di rettificare le nostre percezioni. Ci ricorda che la paura ha spesso radici nell’immaginazione. Più delle cose in sé noi vediamo le lunghe ombre che proiettano. Quante volte rinunciamo alla libertà e alla felicità cedendo a paure immaginarie?
Il covidismo è appunto una pedagogia della paura basata su fittizie rappresentazioni del reale. Proietta nella coscienza collettiva l’ombra di un enorme serpente nelle cui spire verremo presi, soffocati e ingoiati, se non procediamo coi rituali esorcismi e sacrifici. È un sorta di Idra mitologica, ma su chi osi dubitare della sua esistenza, della sua malignità o delle sue reali dimensioni, incombono l’apostasia e la scomunica.
Tuttavia, alcuni scettici hanno cercato di disperdere le nuvole che coprono la luna. Hanno visto così che il temuto mostro, divoratore d’uomini, era in realtà una corda, contraddicendo le canoniche litanie della paura. Ma questo non li ha affatto rassicurati. Quella corda è infatti usata per legare mani e piedi, cuore e cervello della gente. Ricorda la corda con cui l’Inquisizione torturava gli inquisiti, il cappio con cui si veniva impiccati.
In quella corda si annodano tutti i vincoli penosi, di natura fisica e morale, che il covidismo vuol imporci per il nostro bene; i veleni che vuol somministrarci come antidoto al presunto veleno del serpente. Perciò, più del serpente ci spaventa la corda; più di un’influenza passeggera temiamo una durevole dittatura.
Il covidismo è dunque un’illusione ottica. Ma per il covidista è la corda la vera allucinazione, il fantasma di un complotto. Si creano così due visioni contrapposte, due mondi ostili e divisi. E i pochi visionari che temono la corda si sentono ribelli e naufraghi in un mare di menzogne, “rari nantes in gurgite vasto”. Forse impauriti come don Abbondio, speriamo non altrettanto vili.
Illustrazione di copertina: Kirsten Ulve