
La disunità d’Italia che Mattarella non vede
Tale disunità ha radici antiche e le politiche sovranazionali altro non fanno che corroborarla
L’improntitudine al potere non ha limite. Ha un bel coraggio il nostro presidente Mattarella nel congedarsi dicendo “Vi lascio un Paese unito”. Davvero? Il Paese non è mai stato così frantumato e la colpa è proprio di chi lo spaccia per coeso: hanno fatto di tutto per rendere le famiglie divise, per eccitare tribù di fanatici da una parte e dall’altra della siringa miracolosa, hanno creato la demonizzazione degli scettici, alimentato le colate di odio nei social. Non si comunica più e la delazione è la regola, fomentata, consigliata dal governo. Due anni di comunicazione assassina, basata sul terrorismo, sull’isteria, hanno dato i loro frutti avvelenati: nell’incapacità di gestire la pandemia, il regime ha scelto di scaricare tutte le colpe sui cittadini provvedendo a dividerli per isolare i dissidenti e caricarli di ogni responsabilità. Finché i nodi arrivano al pettine. Non potendo più ragionevolmente addossare la causa del contagio ai cosiddetti novax, si provvede ad estendere le stesse restrizioni ai plurivaccinati, a riempirli di tamponi, a revocare loro il greenpass conquistato con sequele di buchi. Si torna alle chiusure, dapprima selettiva, per i soli sprovvisti di inoculazione, secondo strategia abusata, poi, vedrete, per tutti. Inflazione, disoccupazione, moria di attività produttive in crescita, prezzi dell’energia fuori controllo, una esasperazione sociale densa, fitta, ma per Mattarella il Paese è unito. Pensa se ce lo lasciava frammentato.
Di meglio, se possibile, il capo del governo Draghi, sentite qua: “Gli ultimi anni sono stati molto difficili per il nostro Paese, come per il resto del mondo. Mi riferisco alla pandemia e alla crisi economica. [ma] L’Italia in questi mesi ha dimostrato di saper reagire alle crisi più dure con coraggio, determinazione, unità”. Coraggio? Determinazione? I tempi sono duri soprattutto per l’incapacità di due governi di fila a fronteggiare qualsiasi aspetto dell’emergenza; e gli italiani non hanno potuto che adeguarsi, di fronte a continui ricatti uno più infame dell’altro. Draghi e Mattarella vivono su altre galassie: diversamente, avrebbero scrupolo nell’evitare uscite che sembrano più provocazioni che analisi ragionate. Scuola, sanità, lavoro, sono letteralmente allo sbando se non allo sfascio; su tutto il governo risponde “vedremo, capiremo, decideremo”, un futuro anteriore che sa molto di passato, prendere tempo per perdere tempo. Andiamo verso un lockdown che si sommerà a un blackout, le riserve di elettricità e gas sono già al lumicino e l’inverno è appena arrivato, ma il ministro Cingolani ha pronta la soluzione: pale eoliche nei giardini pubblici, “altrimenti dovrete fare a meno di automobili e cellulari”. “Dovrete”, dice il ministro, per dire voi popolaccio, voi stracciaroli. La transizione energetica è allucinante, impoverirsi oggi, al ritmo di trenta o quaranta miliardi l’anno, sperando, ma senza alcuna certezza, di guadagnarci tra venti o trent’anni, anche se non è chiaro in cosa. L’Unione Europea getta una sorta di mantello sul regime in atto condizionando l’Italia a riforme che solo lei vuole e che prevedono, fra le altre cose, l’impoverimento energetico e la cancellazione della produzione alimentare nostrana che vale 50 miliardi. Per il sistema Nutriscore, algoritmo di matrice francese, una bibita “light” è più sana, più nutriente di un vino italiano, di un formaggio italiano: si possono subire senza reagire coglionate del genere? È chiaro che l’intento europeista è di distruggere la filiera tricolore a beneficio proprio dei diretti concorrenti francesi: in cambio, dovremo alimentarci di locuste, come in una maledizione biblica, di vermi, di carne sintetica, di vini, olii sintetici.
Non c’è unità in Italia come non c’è in Europa dove ciascuno fa a modo suo. Ma qui la situazione è più critica, la disunità d’Italia ha radici antiche e le politiche sovranazionali altro non fanno che corroborarla. L’unica unità visibile è quella dei partiti, del “tutti dentro” in attesa della cornucopia del Piano di resilienza e resistenza se mai arriverà; di sicuro, i duecento miliardi, in larga parte a debito, comunque in forma di mera restituzione visto che da sempre versiamo all’Unione più di quanto riceviamo, sono già prenotati per la solita grande rapina al treno della lottizzazione, degli sprechi, delle corruttele. Ragione per cui non si vuole che le cose cambino e si punta a tenere il fallimentare Draghi dove sta, al governo, perché senza di lui non ci sarà la festa. Gli stessi partiti elogiati da Mattarella in ragione del loro senso di responsabilità, della loro serietà. Ma quando mai. Si sono rimangiati tutto, hanno archiviato la Costituzione col suo patrimonio di diritti, hanno imposto uno stato di polizia, sovente fuorilegge ovvero con decreti e norme al limite della correttezza istituzionale, hanno messo in atto una censura sconosciuta per una nazione democratica, ma teorizzata dai vecchi rottami senatoriali e avallata proprio dal capo dello Stato secondo il quale ai “novax” non va dato spazio sui media. Un’altra cosa ha detto il presidente in scadenza: che la normalità ritrovata (secondo lui) è però una normalità diversa e destinata a durare, che la normalità cui eravamo abituati non tornerà più. Frase agghiacciante essendo questa presunta normalità a base di divieti, di divisioni, di bavagli, di condizionamenti, di conformismo feroce. Una normalità nel segno del paternalismo autoritario di cui non si vedono i limiti. Ma allegri, abbiamo i virologi che distruggono Jingle Bells con liriche demenziali, “il nonnino non baciar, se un buon Natale tu vuoi far, ti devi vaccinar”. Una trovata talmente oscena, nel senso beniano di “fuori di scena”, ma si potrebbe anche dire oltre il pornografico. Uno spettacolo talmente inverosimile che abbiamo faticato a prenderlo per vero. Invece era vero. E quando un Paese arriva a un simile grottesco, vuol dire che è in fase terminale. Hanno fallito ogni previsione, ogni prevenzione, ogni terapia, siamo nella stessa situazione concentrazionaria di un anno fa a fronte di una pandemia che oggi ricorda più una endemizzazione del virus, la cui variante Omicron presenta sintomi scarsi quando non inesistenti. Però ci danno i maestri cantori di Norimberga. Quella loro, speriamo presto.

