La gabbia di Skinner; dipendenti dalle restrizioni
Nell’esperimento del cane di Pavlov, lo scienziato distribuiva cibo dopo il suono della campanella. Dopo un certo numero di prove, si accorse che non solo la bestiola accorreva felice alla ciotola al suono della campana, ma iniziava a salivare, pregustando il pasto, già al momento del suono. Pavlov aveva dimostrato l’esistenza di riflessi “condizionati”, ovvero determinati da un evento esterno provocato, il cosiddetto rinforzo. Pavlov aveva creato nell’animale una dipendenza attivata dal suono del campanello, annuncio del pasto. I riflessi naturali, opportunamente stimolati, avevano provocato una risposta emotiva. Dopo di lui, Burrhus Skinner inventò il condizionamento operante. Costruì una gabbia in cui la cavia poteva esplorare l’ambiente e compiere atti come pigiare una leva o premere un tasto. Alcuni comportamenti dell’animale erano “rinforzati”, il che rendeva più probabile la ripresentazione del comportamento voluto dal ricercatore. Se la cavia scopriva che premere un tasto portava all’erogazione del cibo, lo ripeteva più volte. Il condizionamento operante permette di indurre condotte che, se rinforzate, producono l’apprendimento e la ripetizione.
Temiamo che il potere abbia usato analoghi criteri – potenziati dagli studi successivi alle scoperte di Pavlov e Skinner – per costruire non solo la “narrazione” ufficiale sul Covid 19, ma per far accettare prima, introiettare poi e rendere permanenti le paure e soprattutto i comportamenti voluti. In parole semplici, siamo diventati dipendenti dalle restrizioni e dagli atteggiamenti di vita imposti attraverso una campagna di un’ampiezza, pervasività e continuità mai sperimentata. Abbiamo introiettato il distanziamento fisico, definito “sociale”, la sfiducia reciproca – homo homini virus– rifuggito perfino la stretta di mano con amici e parenti e ci siamo abituati alla solitudine esistenziale, tanto più triste dinanzi alla sofferenza, alla malattia, alla morte.
Ha vinto la paura, in larga misura indotta. La gabbia di Skinner funziona benissimo: la chiudiamo volontariamente e consegniamo le chiavi. La maggioranza risponde in maniera automatica agli stimoli attivati dal potere. La prova è la persistenza dell’uso della mascherina in luoghi aperti, nonostante sia caduta l’imposizione. Il caso più eclatante è la reazione della maggioranza dei britannici all’abolizione di gran parte delle restrizioni Covid a partire del 19 luglio. I sudditi di Sua Maestà hanno un’altissima percentuale di vaccinati e il governo di Boris Johnson ha sempre parlato con franchezza alla nazione: poche menzogne, l’ammissione del problema, misure tutto sommato proporzionate alla dimensione sanitaria. Per sostenere la fine dei divieti, Johnson ha fatto appello alla libertà, al recupero della sovranità e della responsabilità al popolo, concetti che in Gran Bretagna, culla del liberalismo, avrebbero dovuto essere accolti da un ampio sollievo e consenso.
Al contrario, gli inglesi hanno risposto con ostilità, quasi con orrore. La popolazione appare favorevole alla soppressione delle libertà concrete e dei diritti individuali. Un sondaggio ha rilevato che non solo la maggioranza è favorevole alle restrizioni, ma moltissimi pensano che dovrebbero essere mantenute per sempre. Il modo di pensare inglese è largamente diffuso in Italia e altrove, un fenomeno da analizzare sotto molteplici aspetti, psicologici, sociologici, antropologici. Le distopie diventano rapidamente realtà: due inglesi su tre sono favorevoli alla mascherina anche al termine dell’emergenza e un inquietante trenta per cento approva il coprifuoco a tempo indeterminato.
Prima di esprimere un giudizio, occorre un minimo di ricostruzione degli eventi che si sono susseguiti dal febbraio/marzo 2020, allorché i governi, con preoccupante, sospetta sintonia, hanno deciso (ovvero hanno accettato la volontà dei livelli di potere sovraordinato) di ricorrere al terrore per far accettare il confinamento, ribattezzato lockdown. Si trattava di enfatizzare i rischi della malattia sconosciuta, estendendoli all’intera popolazione, non solo alle fasce di età e alle categorie più vulnerabili. Fu il tempo delle drammatiche immagini di Bergamo, delle fosse comuni, degli intubati di massa, cagione, lo si è compreso dopo, di innumerevoli lutti. Il messaggio giustificava, anzi imponeva la reclusione di massa e il blocco delle attività economiche.
Nessun accenno di una protezione selettiva dei gruppi a rischio, ma il mezzo è il messaggio: la paura fa novanta. L’appello al terrore – generato in parte dal materialismo assoluto dell’Occidente terminale e dalla rimozione della morte, il grande tabù – ha scatenato un effetto valanga del tutto inatteso dagli osservatori, ma probabilmente previsto dal potere. Amplificato da tutti i mezzi di comunicazione, rafforzato dal baccano di massa e dall’origine sconosciuta del male – la versione ufficiale parlava di una malattia portata dai pipistrelli, animali ripugnanti, detestati dall’immaginario popolare – l’allarme ha condotto al panico generalizzato. Non si ha notizia storica di una campagna globale altrettanto potente capace di generare un timore così duraturo. Una volta assestato lo stato di panico, si è instaurata un’interazione malsana tra governi e popolazione. In alcuni casi, come la Gran Bretagna del freedom day, è stata l’opinione pubblica a chiedere maggiori restrizioni, in altri – come in Italia, – la spirale della paura è stata cavalcata dal sistema di potere, convinto che la pentola necessitasse di maggiore pressione per conseguire una percentuale più elevata di iniezioni, una volta messi in commercio i preparati di Big Pharma.
Non è certo nuovo l’uso della paura per scoraggiare determinati comportamenti, ma è la prima volta, crediamo, che è stata utilizzata per affrontare un disastro. Al contrario, i governi hanno sempre tentato di diffondere messaggi tranquillizzanti per evitare che il panico si impadronisse della popolazione. Tuttavia, in tempi di cultura della cancellazione, l’esame dei precedenti non interessa: anticaglie di epoche oscure, non rischiarate dalla Scienza e dal Progresso. Pare che il mondo sia nato all’alba del Terzo Millennio ex cristiano e che l’intero passato vada obliterato, ignorato, condannato per empietà. Oppure – a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina- creare uno stato permanente di angoscia era dall’inizio un obiettivo del piano alto del potere, di cui i governi nazionali sono la manovalanza ben pagata.
Così una passeggiata con la famiglia, il caffè al bar, scoprire il volto, è improvvisamente diventato illegale, un reato perseguito con accanimento dagli sgherri del potere, esecrato dagli impauriti delatori di ogni comportamento sconsigliato dalla grancassa della comunicazione. Anziché spiegare che la storia ha conosciuto un succedersi di epidemie, quasi tutte più gravi di quella presente, il potere ha agito come se la situazione fosse senza precedenti, un’Apocalisse alla quale applicare le misure più strane, insolite, contraddittorie. Il Sars-Cov 2 ha visto impegnati quasi più i poliziotti che i sanitari. Lo zelo inusitato di molte categorie ha ricordato un acuto aforisma di George Bernard Shaw: quando uno stupido fa una cosa di cui si vergogna, dice che è il suo dovere.
La paura è una risposta utile perché protegge da molti pericoli, ma diventa dannosa quando è incontenibile, persistente, paralizzante. Il timore – diventato un ulteriore virus – favorisce l’abuso di alcool, droghe, psicofarmaci, induce ansia e depressione, provoca pulsioni distruttive e autodistruttive. In più indebolisce il sistema immunitario, il primo bastione a difesa dell’organismo. La paura inibisce l’azione, rende dipendenti, blocca il giudizio razionale, trasforma in schiava anche la personalità più libera. L’umanità, nel tempo, ha escogitato vari meccanismi mentali per mitigare la paura, tutti sconfitti da un’azione di propaganda martellante, a cui non può sfuggire qualsiasi gesto quotidiano. Pensiamo a un tragitto in autobus, durante il quale dopo ogni fermata viene scandita dall’altoparlante la litania della distanza da osservare – pressoché impossibile – della maschera da calzare fin sotto gli occhi, con il corollario minaccioso delle sanzioni.
Tutto ciò ha trasformato il prossimo in nemico, l’Altro in untore, veicolo di malattia e di morte. Le dichiarazioni davvero violente di un uomo avveduto come Mario Draghi vanno in questa direzione: se non ti vaccini, contagi e diventi tu stesso un assassino. Va da sé che l’assassino è un criminale da assicurare alla giustizia, con l’attiva collaborazione dei buoni cittadini. Nessuna imprudenza da parte di Mister Britannia: ha detto esattamente ciò che gli premeva dire.
Un modo efficace per sfuggire la paura in altre situazioni è soddisfare le richieste della propaganda: smettere di fumare o di assumere alcolici. Con il Covid, l’operazione è impossibile: anche rispettando ogni regola, il pericolo resta. Di qui la trasformazione del timore – ragionevole, da affrontare con la prudenza – in terrore, per natura incontrollabile. La successione dei messaggi è devastante: “è essenziale adottare questa misura ed accettare la restrizione relativa”, ma, subito dopo la presa d’atto “siamo vulnerabili come prima”. L’ esito è la percezione di assoluta precarietà, sentimento che favorisce un senso di impotenza appreso, anticamera della dipendenza dalle misure restrittive. Alcuni chiedono un divieto in più nel tentativo di alleviare momentaneamente l’ansia, ma, come per qualunque dipendenza, necessitano dosi sempre più elevate di restrizioni per ottenere una provvisoria diminuzione della paura. Il condizionamento attivo rende sempre più stretta la gabbia di Skinner e più tortuosa la strada verso la libertà.
Diffondere paura è una politica irresponsabile, soprattutto durante un’epidemia. La durata del panico determina gravi conseguenze sociali e comportamentali di lunga durata. Causa disturbi psichici, aumenta l’egoismo e l’intolleranza, azzera il rispetto verso i diritti degli altri, mette in pericolo la libertà, trasforma i diritti costituzionali in carta straccia, giacché una maggioranza terrorizzata sostiene istericamente la soppressione di ogni libertà in nome della speranza – solo la speranza – della personale esistenza in vita. In Italia, per di più, le oscillazioni normative, la doccia fredda di aperture e chiusure, la danza macabra dei divieti e delle “concessioni”, alimentano il circolo vizioso dell’insicurezza.
Il virus – lo hanno capito quasi tutti – non scomparirà per decreto, per accumulo di divieti e neppure per l’esito favorevole delle campagne di immunizzazione sanitaria. L’umanità passata imparò a convivere con agenti patogeni ben più pericolosi. Ma già, ieri non conta ed è difficile tornare alla consapevolezza che non esiste il rischio zero (ci hanno convinto dell’onnipotenza tecnoscientifica dell’homo deus post moderno) e che molteplici malattie uccidono ogni giorno, forse più di prima, giacché le terapie si concentrano su un’unica patologia. Siamo a un bivio: recuperare la libertà e un minimo di razionalità, o perdere entrambe per molto tempo. Sembra che questo sia l’obiettivo del potere, con ampio consenso dei sudditi.
Nessuno ha mai dato retta all’avvertimento di Etienne de la Boétie: il tiranno, individuale o collettivo, mantiene la sua presa fintanto che i sudditi gliela concedono. Nella condizione presente, prevale la sindrome di Stoccolma, ossia la simpatia per il tiranno, mentre qualsiasi atto, idea, discorso o pensiero dissidente è circondato dal disprezzo. Agisce efficacemente la demonizzazione del nemico di volta in volta designato, il negazionista (ma la rimozione di un pericolo reale è un meccanismo psicologico ben conosciuto), l’avversario delle iniezioni salvifiche, il semplice uomo della strada che non crede alla narrazione ufficiale.
Purtroppo, si diffonde un senso dell’esistenza esclusivamente materiale, greve, zoologico: pasto, riparo, sonno, altro pasto, somministrato dal “buon” pastore. Un’esistenza inconsapevole, soprattutto del fatto che il pastore, il gregge e il cane da guardia non amano il gregge: si limitano a proteggerlo sino al mattatoio. Se questa è la post umanità a cui ci stanno riducendo, hanno ragione gli anti specisti, che sostengono l’equivalenza tra l’uomo e gli altri viventi; ci stanno trasformando davvero nella “Scimmia nuda, studio zoologico sull’animale uomo” di Desmond Morris .
Tuttavia, i riflessi non sono completamente condizionati: non tutte le gabbie di Skinner sono sigillate, non tutti i riflessi sono quelli del cane di Pavlov. Lo ha dimostrato l’imprevisto successo, superiore a qualunque previsione, delle oltre ottanta manifestazioni di sabato 24 luglio contro il passaporto verde (non diciamo green pass per rispetto della nostra lingua, segno potente dell’identità di un popolo che non si fa ridurre a popolazione, mandria umana). La violenza verbale, la manipolazione del regime e dei suoi terminali giornalistici, culturali e politici si è fatta sentire, ma non ha scoraggiato i partecipanti. Qualcuno chiedeva se fossero stati richiesti i relativi permessi. No, quando il popolo si muove non ha bisogno dell’autorizzazione dei superiori e può ben far valere il diritto naturale (e costituzionale) di riunirsi pacificamente e senz’armi.
Pure, si sono udite dall’alto grida scomposte, si è cercato con accanimento il “no vax” squilibrato, l’anarchico, l’estremista, meglio se di destra. Hanno cercato senza successo di minimizzare i numeri: le piazze si restringono o si allargano a seconda delle bandiere dei manifestanti. Hanno insistito con la grottesca questione delle distanze, che non hanno indignato i commentatori dei festeggiamenti per la nazionale di calcio. Nessun trionfalismo: può essere solo un fuoco di paglia.
Ma forse spira finalmente un venticello di fronda contro il potere – politico, sanitario, scientifico, economico, mediatico – la cui portata si chiarirà nel tempo. Ed è una brezza di libertà, non di paura, divieto, proibizione. Un certificato di esistenza in vita di un numero minoritario, ma non trascurabile di italiani che, per dirne una, rispettano le regole, ma non considerano la mascherina una panacea. Il simbolo della Sars-Cov 2 è piuttosto il nuovo oggetto transizionale, la coperta di Linus del morbo, la camomilla a buon mercato, il simbolo di tic, paure, ossessioni e ormai anche un accessorio alla moda. Il mondo-mercato tutto tritura, tutto riduce a cartellino con il prezzo. “Voglio la mascherina che mi piace tanto, che mi distingue nella folla di uomini e donne celati, allevia la paura, mi attribuisce un posto speciale nel gregge dei diversamente uguali. “
Qualche speranza riaffiora: chi ha creduto per un anno e mezzo di essere, come Giovanni Battista, la “voce di chi grida nel deserto”, adesso sa di avere avuto degli ascoltatori. Il primo modo per affrontare un problema – la libertà rubata – è prendere atto che esiste. Il secondo è non trattarlo con i metodi del passato, ossia non credere nella mediazione della politica, nel potere taumaturgico di una “società civile” addomesticata e spesso venduta e, con serena fermezza, agire personalmente, dimostrando di esserci e di costituire una forza. Le buone idee – se davvero crediamo in quella che le contiene tutta, la libertà – verranno. Amiamo le idee che diventano azioni.
Illustrazione di copertina: Pawel Kuczynski