Cultura,  Società

La Generazione degli Obbedienti

Di solito, tendo a tradurre articoli scientifici o che comunque parlano di dati e di fatti. Qui, però, mi è molto piaciuto questo articolo che è comparso sul sito del “Brownstone Institute.” Non so molto dell’autore, Clayton Fox, sicuramente non uno scienziato. Ma qui ha scritto una bella cosa, molto sentita, e che mi ricorda molto come è ridotta la mia università. Con tutti i difetti che aveva, era comunque un posto dove ci si poteva incontrare, parlare, e avere un rapporto umano fra professori e studenti. Ora, è diventata una specie di caserma dove la gente cammina in riga, uno dietro l’altro. Un posto triste e spettrale.

Nell’articolo di Clayton Fox anche il link al film “E.T.” di Spielberg è molto efficace. Quel film era quello che si dice certe volte, “un inno alla libertà.” Era del 1982. Se avete tempo, seguite il consiglio di Clayton Fox e riguardatelo. Vi accorgerete di quante cose abbiamo perso da allora. Forse per sempre.  E allora leggetevi questo articolo, ne vale la pena anche solo per questo paragrafo.

La bontà della vita non può venire dalla deferenza alla legge e ai burocrati, al protocollo e ai mandati, agli uomini e alle donne, con le chiavi dell’autorità che tintinnano, appese alle tasche. Non può. Questo non significa che dovremmo lottare per l’anarchia. Difficilmente. Il sistema, gli esperti, il culto dei “fatti,” non sono intrinsecamente cose cattive. Non impediscono di vivere nel bene. Ma quando permettiamo loro di diventare degli dei, siamo condannati.

(Prof. Ugo Bardi)

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La Generazione degli Obbedienti (articolo originale),

di Clayton Fox

Su una collina della mia città di Evanston, Illinois, c’è la Northwestern University, casa dei Wildcats, alma mater di David Schwimmer, Kathryn Hahn, e di veri pazzoidi americani come Rod Blagojevich e Rahm Emanuel. Quando ero bambino, i miei genitori mi iscrissero a delle lezioni extracurricolari qui nei fine settimana; i professori del college insegnavano davvero tutto a noi scolari, dalla fisica all’economia alla politica.

Era un sogno. Passavo i sabati a passeggiare nel campus con i grandi e a placare la mia inesorabile sete di conoscenza. Dopo le lezioni, i miei genitori venivano a prendermi e andavamo insieme nella zona dei ristoranti, e io prendevo una pizza al Pizza Hut e raccontavo loro quello che avevo imparato.

L’università era un posto a cui aspirare, l’apprendimento era prezioso ed eccitante, la pizza era salata e buona. Queste sono cose che sapevo quando avevo otto anni. Quando sono andato all’università a New York, ho imparato altre cose, e come si fanno. Le città sono un buon posto per essere giovani, e portare quattro borse della spesa su e giù per quattro serie di scale della metropolitana in due quartieri è assolutamente normale.

Ho imparato anche che cosa sono il teatro, la letteratura, la fisica e le relazioni internazionali. Ma soprattutto, ho imparato come essere una creatura umana. L’ho imparato dai miei compagni di classe, da alcuni dei miei insegnanti e dalla città stessa. Non credo di aver avuto bisogno dell’università per imparare queste cose, ma è stata una benedizione aver avuto un bozzolo in cui impararle. Ho imparato come avere una ragazza, come ci si sente ad amare, come ci si sente a soffrire, e come non rompere con qualcuno. Ho imparato a contare su me stesso per cercare cure mediche se ne avevo bisogno, e a comprare mobili, e ad affittare un magazzino. Ho imparato anche altre cose.

Non sono sicuro che ci sia qualcosa di più dolorosamente bello di un diciottenne che assapora la libertà per la prima volta, che si mette in proprio. All’epoca non riuscivo a vederlo in me stesso, ero troppo occupato a sperimentarlo, ma ora lo vedo in voi, miei vicini. Anche se non sono sicuro che vi sia data la libertà di essere dolorosamente adorabili.

Mentre attraversavo in bicicletta il campus della Northwestern in quello che doveva essere il primo giorno di lezione, autunno 2021, ho superato una lunga fila di studenti che indossavano mascherine, all’aperto, in attesa di entrare in qualche edificio, o in un residence. Non era chiaro cosa stesse succedendo, ma era impressionante.

Giovani, sani, presumibilmente vaccinati, corpi mascherati in piedi in fila indiana lungo un triste tratto di marciapiede alla fine e all’inizio di un altro triste anno. Mi è venuto in mente, mentre li superavo e continuavo a superarli, carichi di libri, carichi di borse, pieni di energia impaziente, che avevo il cuore spezzato per loro, e furioso. Mi è venuto in mente che ciò che è stato perpetrato sulla loro generazione, a più di dieci anni di distanza dalla mia, è un disastro e un oltraggio.

Cari studenti, quando la pandemia è emersa per la prima volta, ho deriso le persone che dicevano che era criminale interrompere i vostri anni di sviluppo. Ho pensato che fosse il prezzo che tutti dovevamo pagare, e che ve ne sareste fatti una ragione, che eravate giovani e quindi robusti. Mi sbagliavo. Mi vergogno e mi dispiace. Voi siete più preziosi di quello che pensavo. Avete cose da imparare, cose ineffabili che non possono essere rimandate, e non possono essere sostituite. Alcune di queste cose sono così profonde, così essenziali, che nel processo di apprendimento potreste anche trovarvi di fronte, in qualche meravigliosa passeggiata da ubriachi verso casa, alla domanda se siamo qui per uno scopo o se siamo soli?

Ho rivisto E.T. l’Extraterrestre, di recente. L’avete visto? Non ne posso essere sicuro, dato che alcuni di voi non sanno chi sia stato Jimi Hendrix e pensano che i Doors siano i 3 Doors Down (n.d.t. i Doors erano un gruppo rock americano degli anni ‘60, i “3 Doors Down, sono un altro gruppo rock, ma molto più recente). Le pietre di paragone culturali di ogni generazione cambiano sempre, con grande dispiacere di chi è venuto prima. E.T. è il mio film preferito di Spielberg, e potrebbe essere il mio film preferito in assoluto. È talmente bello da far male. Racconta di una famiglia californiana che si sta riprendendo dal divorzio, e specialmente un giovane di nome Elliot, il figlio di mezzo che cerca qualcosa, forse l’amore. Nel film lo ottiene sotto forma di un visitatore dalle stelle, una creatura che arriva a chiamare E.T.

E.T. ed Elliot formano un legame soprannaturale, come fratelli, come quei tipi di fratelli legati dal destino. Il legame è così forte che verso la fine del film, quando E.T. si ammala, troppi giorni fuori dalla sua atmosfera naturale, Elliot comincia a morire al suo fianco.

Il film è un capolavoro in tutti i sensi. Quali altri registi, oltre a Spielberg che potrebbero fare di un alieno animatronico, chiaramente sintetico, una creatura di così profondo pathos e arguzia? Per i cinefili, il film vale la pena di essere visto anche solo per imparare come si fa una messa in scena, come si illumina una stanza e come si cronometra una battuta. Ma è più di questo.

E.T. è un film profondamente umano. Parla di un alieno, ma non c’è momento che non sia pieno di quell’insopprimibile difetto umano, la serietà. Il film non porta alcun accenno di frivolezza robotica o snobismo sterile, la moneta della nostra epoca. È disordinato, è sciocco, è pieno d’amore. In breve, è un film profondamente per noi umani. Lo si vede nella faccia dell’attore che interpreta il fratello maggiore di Elliot, Michael, la prima volta che vede la creatura. Spielberg lo presenta come il fratello maggiore freddo e sarcastico, ma la sua espressione di meraviglia è quella di un bambino.

Anche gli umani nel film si amano molto. Il film mostra l’importanza e la magia dell’amore dei fratelli, delle madri e degli amici. Ci ricorda che gli adolescenti possono ancora stupirsi, che va bene sorridere come un idiota. E che è giusto permettere a un film di farvi sorridere così. Ci ricorda che i miracoli sono reali e anche fragili. Quando E.T. perde il ritmo del polso, i medici cominciano a somministrare ogni sorta di trattamento di emergenza, sperando di rianimarlo con mezzi umani. Elliot, mentre le sue condizioni migliorano ogni secondo che E.T. si avvicina alla morte, e il loro legame si sfilaccia, piange e grida: “Lo state uccidendo!”.

E in effetti, le medicine dell’uomo, la brutalità del defibrillatore, non possono salvare l’alieno. Quando pensiamo che se ne sia andato, la fragilità dei miracoli prende un volto alieno. Ma il film non è una tragedia. È, nel senso greco o shakespeariano, una commedia. E io ho sempre pianto più alla fine della Dodicesima Notte che a quella di Re Lear.

Ogni volta che guardo E.T. passo gli ultimi venti minuti a singhiozzare come un bambino. Lacrime buone, sane e piene di speranza. Perché gli uomini piangono ai loro matrimoni quando la sposa sale all’altare? Cosa c’è di più bello della speranza?

Elliot entra per dare l’ultimo saluto a E.T. solo per rendersi conto che è ancora vivo, che i suoi compagni sono arrivati con la loro astronave per portarlo via, e questo lo ha rianimato. Prima che gli uomini in giacca e cravatta che amano punzecchiare e misurare possano tornare per sigillare E.T. per il “bene del genere umano” o qualcosa del genere, Elliot e suo fratello Michael escogitano un piano per riportare E.T. a casa. Quello che segue è una delle scene di inseguimento più stimolanti e anche più divertenti della storia del cinema. Ogni volta, negli stessi momenti, rido tra le lacrime.

Michael, che non ha mai guidato una macchina prima salvo che a marcia indietro, guida il furgone che trasporta E.T. ed Elliot lontano dalle centinaia di uomini in tuta, e maschere, e dispositivi di protezione personale per incontrarsi con i loro amici in un parco vicino. I ragazzi sono lì pronti all’azione, con biciclette per tutti e una cesta per E.T. Superano la polizia e le auto “governative” per alcune strade e verso la foresta, dove E.T. deve essere raccolto. Se ci riescono, E.T. vivrà, un alieno libero. Se falliscono, sarà un esperimento scientifico di qualche burocrate, e probabilmente morto. Al penultimo momento, quando sembra che la speranza sia persa, E.T. usa i suoi poteri ultraterreni e le bici prendono il volo, sopra gli uomini con i fucili, sopra le strade e sopra il sole. Accoppiato con l’impennata della colonna sonora, è il momento nel cinema che mi fa sentire più come un bambino, pieno di meraviglia, disposto a credere nell’idea che il bene possa prevalere. Mi prende il magone ogni volta.

Quello che quei minuti finali mi hanno rispecchiato in questa visione, quest’anno, è una lezione più necessaria, più vitale per il futuro di ognuno di voi e per la razza umana di qualsiasi altra a cui possa pensare. La bontà della vita non può venire dalla deferenza alla legge e ai burocrati, al protocollo e ai mandati, agli uomini e alle donne, con le chiavi dell’autorità che tintinnano, appese alle tasche. Non può. Questo non significa che dovremmo lottare per l’anarchia. Difficilmente. Il sistema, gli esperti, il culto dei “fatti” non sono intrinsecamente cose cattive. Non impediscono di vivere nel bene. Ma quando permettiamo loro di diventare degli dei, siamo condannati.

Che Steven Spielberg lo volesse o no, ha realizzato la più grande sequenza della storia del cinema dedicata all’idea che l’amore nel tuo cuore e le verità che ti sono care valgono il rischio dell’ira dei potenti; che se sei disposto a superare gli uomini in giacca e cravatta, che sai essere pieni di cattive intenzioni, potresti anche prendere il volo.

Mentre guardavo gli adolescenti di E.T. volare oltre il sole, ho pianto per il loro coraggio e la loro fratellanza, ma ho anche pianto per voi, miei giovani e brillanti vicini. Noi, questa nazione, vi abbiamo cresciuti obbedienti. La generazione che “si è accesa, si è sintonizzata e si è ritirata” (e i punk un po’ più giovani) vi ha cresciuto senza la loro stessa ribellione, né con la fede e l’umiltà dei loro genitori. Cosa vi hanno dato invece? Obbedite e sarete ricompensati. La vita dell’Occidente è dolce e piena di frutti deliziosi per coloro che sono disposti a stare zitti, a chiudersi e ad appoggiarsi. Zittire. Chiudere il becco. Avere un appoggio.

Ora vi hanno permesso di vivere per quasi due anni in un universo bizzarro, in cui continuavate a seguire gli studi mentre eravate segregati a casa, o peggio, in un dormitorio in stile sovietico dove persino l’esercizio fisico è razionato e monitorato. Ha avuto senso per un po’, l’ignoto è potente e a volte va temuto. E c’è ancora molto da sapere su questo agente patogeno profondamente misterioso, e forse temuto. Ma in un modo o nell’altro, molti se non la maggior parte di voi sono già stati esposti al virus, e continuerete ad esserlo per tutta la vostra vita adulta. È inevitabile che ci saranno sfide legate al COVID, e che voi, e io, e i vostri fratelli minori dovremo affrontarle, adulti tutti. La domanda che mi attanaglia è: che tipo di adulti sarete?

La risposta dipende da quale follia vi imprimiamo ora, quali sogni sono stati rimandati, e cosa farete per evitare il loro rinvio. A partire da ora, la follia è assordante. State tornando ai campus sotto nuove assurde restrizioni. Anche con tre dosi di vaccino richieste per tutti, state tornando all’apprendimento a distanza. 

Perché? Perché siete trattati in questo modo? Per chi? Il panico non è per voi, le ingiunzioni non sono a vostro beneficio, e la crescente farsa di tutto questo comincia a tirare i fili della legittimità. Paesi come il Belgio, la Finlandia, la Norvegia, l’Islanda e la Francia non permettono più a chi ha meno di trent’anni di ricevere Moderna, ma tu non puoi invitare quella bella ragazza che frequenta Storia della Scienza nella tua stanza per un drink.

Quegli stessi anziani che vi hanno cresciuto obbedienti, che hanno dato ogni grammo di sé alla generosità di aiutarvi, ora vogliono proteggersi. Gli obbedienti vogliono proteggersi per avere ancora molti anni qui, seguendo gli ordini, sorseggiando il nettare “duramente guadagnato” di qualsiasi varietà. Vogliono proteggersi, e vogliono obbedire, perché l’obbedienza è sicurezza e la sicurezza può essere raggiunta solo attraverso i nuovi dei. E poiché si preoccupano per voi, in qualche oscuro modo arretrato, vogliono che voi obbediate, che vi proteggiate proteggendo loro, anche se la protezione sembra sempre più difficile da ottenere.

Non so cosa sarebbe successo oggi a Michael ed Elliot e ai loro amici. Non so quale sia il prezzo per andare in bicicletta sopra il sole e oltre la tirannia per aiutare un amico a tornare a casa, affinché possa vivere. Immagino che la pena possa essere estremamente severa. Dopo tutto, quell’amico sarebbe stato inestimabile per gli dei della scienza che gestiscono il nostro governo e, da ventidue mesi, il nostro mondo. Tagliare la sua carne aliena avrebbe dato loro anni di finanziamenti, premi e opportunità di “migliorare” la nostra specie. Sicuramente il prezzo per la sua libertà sarebbe stato il dolore.

Ma, quando penso a cosa significa per me essere umano, aver ricevuto il dono del libero arbitrio – e meglio di questo l’amore, e da questo la speranza – penso che sarei orgoglioso di sedere in qualche cella buia accanto a Elliot, entrambi sorridendo ironicamente alla conoscenza segreta che solo noi potremmo possedere. La conoscenza della libertà, e le avventure lontane del nostro amico che vive lì. Guardate E.T. Baciate qualcuno. Andate in bicicletta più in alto che potete.

Clayton Fox

Traduzione dall’articolo originale (Brownstone Institute) a cura del Prof. Ugo Bardi)

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Illustrazione di copertina: Kouzou Sakai

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