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La grande bruttezza o il grande inganno

Da tre giorni i fiorentini, andando in Piazza della Signoria, una delle più belle piazze del mondo, possono ammirare (si fa per dire) un abete di oltre 22 metri, installazione dell’artista Giuseppe Penone, che si è ispirato all’albero dantesco citato nel XVII Canto del Paradiso della Divina Commedia “che vive de la cima e frutta sempre e mai non perde foglia”. Beh, che non perda mai foglia, non c’è pericolo, visto che i tronchi e i rami realizzati in acciaio non ne portano alcuna, quindi non si può perdere ciò che non si ha, non fa una grinza.

Francamente, al passante che si imbatte in questa installazione, non viene certo spontaneo il collegamento a Dante, che si vorrebbe celebrare con questo manufatto e se è necessaria una spiegazione, forse l’immediatezza che dovrebbe essere caratteristica della comunicazione artistica, è una grave mancanza.

L’arte moderna può piacere o non piacere e Firenze ha già ospitato, fra polemiche e plausi, i canotti ideologici di Weiwei nel 2016 appesi a Palazzo Strozzi, e la monumentale Big Clay di Urs Fischer nel 2017, sempre davanti a Palazzo Vecchio.

Non entrerò nel merito del valore artistico, anche se credo che abbiate già capito la mia opinione, ma esaminerò i meccanismi per cui si ritiene (a torto o a ragione) che qualcosa debba per forza essere considerato arte.

Su una bacheca di un mio amico di Facebook, un utente aveva “osato” mettere in dubbio il valore dell’abete dantesco, ma era stato rampognato aspramente da un commentatore che chiosava: “Ma ho letto che Penone è un grande artista, quindi non può essere così brutta la sua opera”.

Già: se i giornali dicono che l’artista X è grande, se lo ripetono le televisioni, se lo proclama la radio, se su internet troviamo su di lui commenti entusiastici, vuol dire che lo sarà davvero. Chi siamo noi per contraddire tante voci autorevoli?

Se un visitatore entra in un museo, è portato a pensare che tutto ciò che è al suo interno debba essere per forza un’opera d’arte, perché il museo è il luogo deputato per accogliere solo l’arte, ed automaticamente consacra tutto come tale; qualche anno fa, però, al Museion di Bolzano, le signore dell’impresa di pulizie del museo trovarono bottiglie vuote, scarpe, vestiti stropicciati, mozziconi, cartacce, nel bel mezzo di una delle stanze, e, senza pensarci due volte, buttarono tutto nella spazzatura, attribuendo tale scempio alla maleducazione dei partecipanti alla festa di inaugurazione di una mostra della sera prima. Ignoravano però (beata ingenuità!) che tutta quella immondizia altro non era che un’installazione di Goldschmied & Chiari, in arte Goldi&Chiari, due celebratissimi performers di arte contemporanea, che avevano ricevuto la commissione di creare tale “opera” dalla “Casa Atelier” di Museion, ma le zelanti ed ignare addette alle pulizie non avevano pensato nemmeno per un istante di trovarsi di fronte ad un’opera d’arte fatta di stracci e di sporcizia… Nessuno gliel’aveva detto.

La manipolazione avviene su tutti i livelli e su tutti i piani: chi mi vuol capire, capisca…

Stefano Burbi

Illustrazione di copertina: Luc Melanson

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