
La guerra e il fattore N
Anche se l’escalation nucleare alla fine venisse scongiurata, ci ritrovermo comunque con le conseguenze del fatto di esserci arrivati vicini come mai prima d’ora.
Negli ultimi otto anni – quando si è acceso il conflitto Nato-Russia intorno alla crisi ucraina, poi intorno alla crisi siriana e adesso di nuovo intorno a quella ucraina – ho scritto un’elevata quantità di interventi volti a sostenere la tesi che la guerra nucleare fosse diventata un rischio tanto concreto quanto probabile.
A ogni intervento, un numero elevato di commentatori mi rispondeva scetticamente, facendosi forte dell’affermazione “ma ti pare che per davvero fanno scoppiare una guerra nucleare?”. A sentire queste obiezioni, la mia preoccupazione s’innalzava ulteriormente perché – pensavo – se le argomentazioni volte a confutare la probabilità di un conflitto atomico si riducono a un puerile “ma ti pare che per davvero”, allora vuol dire che siamo nei guai fino al collo.
Ma perché, in questi otto anni, ho ritenuto probabile che si arrivasse alla guerra nucleare mentre la maggioranza delle persone irrideva a tale ipotesi?
La differenza di valutazione, ebbene, non risiedeva tanto in analisi di tipo geopolitico o militare, quanto in una diversa percezione di come un Fattore N – laddove N stia per Nihil o Nichilismo – abbia modellato il mondo occidentale, rendendo quest’ultimo un motore di annientamento della specie umana.
Lo Zeitgeist di questo occidente si articola nelle distopie transumaniste di Klaus Schwab e compagnia, nel passare – ormai senza tregua o soluzione di continuità – da uno stato d’emergenza all’altro.
A dominare su tutto è un’assenza di futuro, declinata in pulsione ossessiva a fare tabula rasa di tutto ciò che il mondo e l’umanità sono stati fino a oggi. Il mondo occidentale, attualmente, non trova ragione di esistere fuorché quella di marciare da una distruzione all’altra, dal momento che l’ideologia neoliberale su cui esso si sorregge non ha alcuna altra prospettiva da offrire.
Dunque ecco che, ancora non conclusasi la distruzione dei sistemi costituzionali nati nel secondo dopoguerra, immediatamente, prende il via la distruzione dell’Ordine di Yalta.
E mentre si vaga impotenti e passivi nei meandri di questa devastazione, non già i siti complottisti bensì i padroni dell’occidente ci fanno sapere del collasso della vita civile grazie agli imminenti blackout della durata di diversi giorni consecutivi, della stretta securitaria finale che sarà determinata grazie alla seconda pandemia, e via dicendo.
Non è certo casuale che questa psicosi mortifera abbia trovato sostenitori e fedeli nel campo politico-culturale chiamato sinistra: la radice illuministica di quest’ultima è sempre stata volta alla fede cieca e incodizionata nei confronti dell’idea progressiva del tempo storico nonché nei confronti della tecnica ed è sempre stata, quindi intrisa di nichilismo. Chiusa attraverso l’abiura la parentesi del voler emancipare le classi povere, la sinistra è tornata a essere quella che ridefinisce i nomi dei mesi del calendario perché aborre il retaggio della memoria e la connessione comunitaria.
A quanto detto, si unisce una situazione psico-sociale, volta all’isteria, una coscienza collettiva adrenalinica e fanatica che, al contempo, ha azzerato la soglia dell’attenzione facendo sì che gli esseri umani non sappiano più mettere in correlazione gli avvenimenti, in quanto ciascun avvenimento più vecchio di due mesi viene rapidamente dimenticato. Dunque, sì: in un mondo ridotto in questo modo, è possibile che la vigente pulsione verso il Nulla possa portare i governanti anche alla guerra nucleare e quindi all’annientamento totale.
L’unica speranza risiede nel fatto che l’umanità che si oppone esca dalla dimensione re-attiva e difensiva, riesca a sintetizzare una propria visione del mondo, netta e radicale quanto quella di Schwab e soci, convinca gli incerti (dunque tutti tranne la sinistra) che questo mondo va rifiutato e combattuto a costo della vita.
Illustrazione di copertina: Davide Bonazzi

