Società

La mascherina crea una comunità basata sul nulla

Cosa induce milioni di italiani a portare la mascherina all’aperto ora che è venuto meno l’obbligo, sebbene si tratti, con la temperatura che sfiora i 40° e l’afa che rende affannoso il respiro, di un atto non solo inutile ma dannoso?

Questo comportamento è certo dovuto all’ossessiva campagna di disinformazione, che da mesi sparge terrore ad ogni ora del giorno. Non si tratta, però, soltanto di questo. Sospetto che il portare la mascherina risponda ad un’esigenza più profonda.

Viviamo, da tempo, in un mondo che ha espulso l’altro. Comunichiamo ma non dialoghiamo, ci informiamo ma non conosciamo. La nostra società promuove le diversità, ma solo nell’ambito di un perimetro tracciato e ben definito. Chi esce da esso non è riconosciuto.

Diceva Sandro Penna: Felice chi è diverso/ essendo egli diverso/Ma guai a chi è diverso/ essendo egli comune. Noi siamo stimolati ad essere diversi, ma solo nella misura in cui siamo comuni.

Pensiamo al Gay pride. Non fa altro che portare alle estreme conseguenze i comportamenti più superficiali del mondo eterosessuale. Se in passato in questo poteva esserci qualcosa di provocatorio, oggi c’è soltanto l’ideologia del capitale che si costituisce in nuovo senso comune e in nuova ufficialità.

Pensiamo ai social. Ognuno tende a rinchiudersi nel suo piccolo mondo di persone che la pensano come lui. Tutto ciò che esce dal recinto viene visto con insofferenza, se non addirittura con odio.

Il politicamente corretto indica, segnandolo di ipocrisia, il perimetro entro cui possiamo muoverci e che non dobbiamo in nessun modo oltrepassare. Dobbiamo essere liberali, democratici, antirazzisti, attenti ai diritti delle minoranze. In nome di questi principi possiamo però gettare droni che riducono in cenere donne e bambini o bombe umanitarie che sconvolgono interi paesi spingendone la popolazione alla fuga.

L’idea di rivoluzione (il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente), come del resto quella di restaurazione, sono cancellate. Il mondo si può solo curare, adesso preventivamente attraverso un vaccino universale, estendendo a tutti, anche con la forza, i valori della nostra civiltà superiore. Il razzismo, cacciato dalla porta, rientra dalla finestra.

Questo è il pensiero unico della nostra epoca, funzionale a un sistema economico che, mentre esalta i diritti umani, vuole i suoi sudditi in perenne competizione tra loro ed incapaci di riconoscere l’umanità del vicino, anche prossimo.

Cambio lavoro, cambio amici, cambio casa, cambio figa, applausi.. applausi per Fibra, diceva la canzoncina di un rapper. Questa, in fondo, è la nostra vita. Ognuno per sé, il mercato per tutti. Tutto si getta, una volta consumato.

In un mondo che non riconosce l’altro o lo riconosce solo in quanto rivale, come stupirsi, allora, che la mascherina sia così popolare? Essa protegge dal virus, ma soprattutto protegge dallo sguardo del prossimo. Impedisce di riconoscere gli altri e di essere riconosciuti dagli altri in ciò che è in noi unico: il volto con le sue infinite espressioni che indicano gioia e dolore e ci rendono quello che siamo. La mascherina crea una comunità basata sul nulla.

D’altra parte, può una civiltà reggersi su questi principi? Può precludersi la gioia del sorriso senza decadere? Credo di no. Diceva Virgilio:

Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem …. Cui non risere parentes nec deus hunc mensa, nec dea dignata cubili est (incomincia, piccolo fanciullo, a riconoscer tua madre dal suo sorriso. Coloro a cui i genitori non sorrisero né un dio li ha degnati della sua mensa, né una dea del suo letto).

Prof. Silvio Dalla Torre

Illustrazione di copertina: Bruno Mangyoku

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