Società

La mezza vita

Come può definirsi la nostra esistenza al tempo della pandemia? In un’espressione riassuntiva direi: la Mezza Vita. Da due anni stiamo vivendo a tutti gli effetti una vita dimezzata: possiamo vivere solo a metà e solo la metà delle cose che  costituivano la nostra vita quotidiana. Dimezzati gli spazi, i luoghi di lavoro, le possibilità di spostarsi, le frequentazioni, le ricreazioni, i viaggi, le occasioni di vita, i posti a sedere nei luoghi pubblici. Tutto a metà. Qualcuno si azzarda a dire anche vita sessuale dimezzata, così i rapporti d’amore, le relazioni d’amicizia, la vita politica, culturale e mondana. Per qualcuno un po’ più della metà, per altri un po’ meno: tra questi gli anziani, i bambini e i non vaccinati o i vaccinati scaduti, che non hanno ancora rinnovato la promessa col richiamo. Terribile il danno e i disagi per i ragazzi; ma anche un anziano si chiede quante altre primavere poi gli restano, incalzate dagli inverni; perdere anni laddove non ti restano decenni è tanto.

Viviamo una vita dimezzata anche rispetto alle stagioni: un autunno triste e minaccioso, un inverno brutto e contagioso, una primavera di convalescenza più che di risveglio, infine – per dirla con Cesare Pavese – la bella estate. Dove tutto sembra un incubo passato, almeno nella prima metà della stagione; perché già da agosto cominciano le avvisaglie, serpeggiano le varianti, arrivano lontane eco che poi matureranno nella collezione autunno-inverno del contagio. La mezza vita somiglia a quella degli animali che vanno in letargo e vivono solo la metà dell’anno.

Il risultato è una vita di mezzo in una Terra di Mezzo, tra la casa e l’hub vaccinale, tra il ristorante e la farmacia, tra lo stadio e l’ospedale. Tra il sorriso e la mascherina. Celebri virologi all’inizio della pandemia predicevano che ci sarebbero voluti almeno un paio d’anni per debellarla; ora, dopo due anni dicono la stessa cosa: ci vorranno altri due anni per tornare alla normalità. E così, di biennio in biennio, passa la nostra Mezza Vita: la vita lascia, il virus raddoppia.

Alla simbologia della Mezza Vita attingono anche i tutori della pandemia: quando ci dicono che non siamo mai del tutto immuni o del tutto malati, ma stiamo nel mezzo, anche se ci siamo pluri-vaccinati o abbiamo già preso il covid. E la stessa promessa radiosa del vaccino seriale ormai non è più l’immunità ma una Mezza Malattia, senza terapia intensiva, non letale, ma pur sempre tale da dimezzare le possibilità di vivere normalmente. Ci sono trivaccinati che hanno già avuto il covid e l’hanno pure ripreso… Tutto passa per normale decorso; che vuoi, è la Mezza Vita ormai, al posto della Dolce Vita di cui si favoleggiava un tempo.

Anche le previsioni statistiche delle organizzazioni sanitarie disegnano scenari in cui mezza popolazione europea alla fine si contagerà, nonostante tutti gli accorgimenti, le mascherine a sette veli e i sette sieri; e mentre ci incitano a completare il ciclo vaccinale aggiungono en passant che varianti come Omicron non sono coperte dagli attuali richiami; lo facciamo per dimidiare il danno, per partecipare a un rito purificatore o un obbligo sociale e per unirci al gregge, non con l’immunità ma per conformarci.

Rifiutare il vaccino – lo dice un vaccinato in regola col regime sanitario- comporta una penalizzazione non solo degli spazi di vita e di lavoro ma anche una punizione etica: non meriti di usurpare il posto in ospedale, perché col tuo comportamento il contagio te la sei cercato. Costi alla collettività e rubi il posto ad altri. Non discuto se sia giusto o meno questo argomentare, mi limito a osservare: ma se qualcuno avesse fatto lo stesso discorso a proposito dei malati di Aids, che derivava da comportamenti sessuali, o della droga, del fumo e dell’alcol, o dell’obesità, il diabete e i mali derivati dal cattivo comportamento alimentare, avreste accettato anche in quei casi lo spartiacque etico nella sanità, tra malati incolpevoli e malati colpevoli, anche se poi la sanità e a carico di tutti? E questo, non è il preambolo ideologico alla card cinese, la famosa carta di credito, e di discredito, con cui la Repubblica comunista cinese scheda i cittadini, stabilendo una sorta di punteggio sulla base dei comportamenti? Alla gogna già ci siamo, seppure nella formula più italiana dello sputtanamento e dell’invettiva del coro contro il singolo; ci manca solo la giurisprudenza etica e la repressione poliziesca per coronare la discriminazione.

Poi per consolarci ci dicono che altrove si sta anche peggio: ma in Africa non c’è nessuna ecatombe di vittime del virus, in Asia nemmeno; in India, ripetono i nostri tg, ci sono quasi duecentomila contagi al giorno. Già, come da noi, con la piccola differenza che gli indiani sono venti volte più di noi… Si sa che i numeri più alti di contagi sono nei paesi più vaccinati.

Ma lasciamo stare le polemiche contingenti e torniamo alla nostra visuale antropologica o se volete esistenziale: ma riusciremo a sopportare così a lungo, senza intravedere un termine, questa vita dimezzata? A sopportarla, dico, senza danni, senza crisi di rigetto, senza conseguenze psicofisiche, senza tentazioni distruttive o autolesionistiche? Potremo accettare dopo che ci è stato detto per anni che la libertà non può avere limiti, i nostri diritti coincidono coi nostri desideri, abbattiamo i muri e le repressioni, che invece la nostra vita vada costretta, dimezzata, ed è un baratto necessario per non perderla: meglio mezza che niente? Una vita smart, una vita part time. Con chi te la prendi? Con nessuno, per carità. Con la sorte. Lasciateci almeno il diritto alla scontentezza. Qué vida de mierda, per dirla nella lingua di Garcia Lorca.

Marcello Veneziani

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Illustrazione di copertina: Mark Smith

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