Società

La normopatia

Alla psicanalista Joyce McDougall (1920-2011) dobbiamo la teorizzazione di un concetto espresso con un termine che lei stessa coniò, e che oggi, più che mai, è di estrema attualità: la normopatia.

Nel suo libro Plea for a Measure of Anormality (1978), la dottoressa McDougall spiega che il normopatico teme in modo parossistico di distaccarsi dal pensiero dominante di un determinato contesto sociale, in quanto ha orrore della sua individualità.

Teme di non ricevere l’approvazione degli altri e di non essere ritenuto parte del branco (o, meglio diremmo, gregge) e fa di tutto per uniformarsi alla narrazione ufficiale senza osare contraddirla. Parla per frasi fatte, costruisce un falso sé, non contraddice mai un’opinione diffusa, crede ai luoghi comuni e dà per scontato che quello che dice la maggioranza sia la verità indiscutibile.

Non si fa domande, anzi, dileggia chi se le pone; non permette a nessuno di mettere in discussione quello che gli è stato spacciato per dogma assoluto; tende ad attaccare chiunque metta in dubbio una sua convinzione acritica ed a priori, perché ha il terrore di esporsi. Ama la mediocrità ed odia, ovviamente, tutto ciò che cerca di elevarsi dalla media.

Non ha colore politico, lo trovate dappertutto, ed ovunque sia, si mimetizza con l’ambiente che lo circonda. Salta sul carro dei vincitori ed è il primo ad abbandonare la nave che affonda, o almeno, che lui crede che stia per affondare.

Il normopatico non sopporta gli individui, perché, in fondo, non sopporta se stesso. Non si ama, ergo, non ama nemmeno gli altri. Ma guai a farglielo notare.

Stefano Burbi

Illustrazione di copertina: Stephan Schmitz

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