
La ragione smarrita
Ci sono fenomeni che indicano una improvvisa, apparentemente inspiegabile perdita della ragione in una società. Fenomeni che fanno tornare in mente il noto detto antico secondo cui “gli Dei accecano quelli che vogliono mandare in rovina”.
Gran parte delle reazioni politiche, culturali e sociali al virus Covid 19 in molti paesi occidentali (tra cui l’Italia in prima linea) sembrano purtroppo rispondere pienamente a questa casistica: i lockdown che hanno favorito i contagi e distrutto l’economia, la proibizione delle cure agli ammalati, le ingiustificabili limitazioni alle libertà personali, l’assurda prescrizione di indossare inutili mascherine all’aperto, dove il contagio di un virus respiratorio è pressoché impossibile… E la cosa più inquietante è stata senza dubbio la passiva accettazione di tali misure da parte di cittadini apparentemente privati di ogni buon senso, ridotti ad una massa in preda a riflessi condizionati degni dei cani di Pavlov, animati solo dalla ricerca di feticci miracolosi e capri espiatori, tanto da far pensare che modernità e razionalismo non abbiano cambiato in nulla, o forse abbiano addirittura peggiorato, l’atteggiamento superstizioso rispetto alle calamità naturali proprio delle civiltà antiche.
Ma la regressione collettiva ad uno stadio infantilistico tocca vertici sempre più alti sorprendenti. Il più recente e macroscopico è l’atteggiamento di alcuni governi (tra cui ahimé il nostro) e di parte cospicua della società rispetto ai vaccini contro il virus. Uno strumento sanitario ancora in sperimentazione ma utile, se usato con discernimento, a minimizzare i rischi di morte e casi gravi della malattia nelle fasce della popolazione a rischio per età avanzata e patologie pregresse – in cui si concentra tra l’80 e il 90% delle vittime – viene propagandato, senza alcun motivo serio, come unica e necessaria soluzione al problema per la popolazione intera, indiscriminatamente, nonostante nella stragrande maggioranza di essa non sussista alcuna ragione per affrontare i rischi di reazioni avverse e le incognite dei sieri, per quanto minimi si possano ipotizzare, a fronte delle probabilità ancor più irrisorie, se non insignificanti o quasi nulle, di morire a causa del virus.
In particolare, soltanto come una follia collettiva si può classificare non solo la possibilità di vaccinarsi, ma la pressione enorme in tal senso rivolta alle generazioni più giovani, dai 40 anni in giù, o addirittura agli adolescenti. Una follia per assecondare o promuovere la quale governanti, sanitari, educatori, genitori si caricano di una pesantissima responsabilità.
In Italia, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, sotto l’età di 40 anni i morti per Covid sono stati, a tutto aprile 2021, soltanto 296 su 118.592, di cui solo 41 non soffrivano già di patologie rilevanti. Quindi sotto i 40 – ma possiamo dire anche sotto i 50 – il Covid comporta sostanzialmente un rischio zero. Se poi ci si concentra sui ragazzi nella fascia di età tra 10 e 19 anni, si vede (come documentato da Luca Pacioli) che il tasso di mortalità per Covid è dello 0,02 su 100.000 abitanti (cioè poco più di uno su un milione), mentre il tasso di mortalità in seguito a reazioni avverse ai vaccini è dell’1,23 su 100.000, 62 volte superiore.

Come se non bastasse, il ministero della sanità di Israele – paese in cui l’inoculazione di massa è stata perseguita con le percentuali più alte del mondo – rivela che tra i giovani sotto i 30 anni sottoposti al vaccino si sono registrati casi gravi di miocardite in misura 25 volte superiori alla media.

Perché mai davanti a evidenze del genere, e nell’incertezza su incognite future per le conseguenze di farmaci tanto recenti e poco studiati, governi e media – nel nostro paese con angosciante insistenza – continuano a spingere con ogni mezzo i giovani verso i vaccini?
Le risposte in genere sono due, entrambe di imbarazzante stupidaggine:
1) “non lo devono fare per se stessi, ma per proteggere gli altri, e in particolare gli anziani”. Ma se gli anziani e le fasce a rischio sono già in massima parte vaccinati, questo problema non si pone nemmeno. E quelli che non lo sono si assumono tutta intera la loro responsabilità sulla protezione della propria salute;
2) “se lo fanno tutti, si raggiungerà l’immunità di gregge e il virus scomparirà completamente”. Una tesi del tutto fuori dal mondo e dalla storia della medicina. Come è noto ed è stato spiegato innumerevoli volte dagli scienziati, i virus del tipo del Covid mutano continuamente, producendo varianti sempre nuove per sopravvivere. Non esiste la possibilità che esso sia cancellato dalla faccia della Terra, ma solo quella che, come i virus influenzali, si endemizzi (come in effetti sta già accadendo da un anno) e venga sempre più riconosciuto e neutralizzato o attutito dal sistema immunitario umano. Ma nessun vaccino, come per l’influenza, coprirà mai ogni variante. E molti ricercatori mettono in guardia da tempo dal rischio che un’immunizzazione artificiale indiscriminata possa stimolare nel virus la mutazione in varianti sempre più acute resistenti ai farmaci.
Invece di rincorrere, insomma, il sogno superstizioso di annientare totalmente il virus con iniezioni a tutto il mondo, ragione vorrebbe che ci si concentrasse su vaccini e farmaci per le fasce a rischio, lasciando che per il resto delle popolazioni l’immunizzazione avvenisse in maniera inoffensiva attraverso la natura.
Ma la ragione sembra del tutto smarrita. Sostituita dal feticismo scientista nemico della scienza vera. E, nelle masse, dal conformismo gregario che spinge a fare qualcosa “perché lo fanno tutti”, “perché lo dicono”, “perché non se ne potrà fare a meno”. Un tramonto malinconico della civiltà.
Illustrazione di copertina: Mágoz

