L’arrangiarsi ai tempi del Covid
Disoccupazione femminile, Sex Working e autoimprenditoria.
Oggi il Corsera ci delizia con questo articolo, uno di una lunga serie di articoli simili usciti sui giornali filogovernativi nell’ultimo anno. L’intento non è nemmeno troppo nascosto: suggerire alle donne (ma anche agli altri generi) come superare l’attuale crisi economica.
Accenneremo in brevi punti il senso e l’ideologia sottesa all’operazione, tutt’altro che estemporanea
1- La disoccupazione, il lavoro precario e i bassi saliri sono problemi drammatici, a cui lo stato non può (per mancanza di soldi in cassa) e non vuole (per evitare di far debito pubblico) porre rimedio. L’individuo è quindi totalmente abbandonato a se stesso.
2- In questo abbandono all’individuo non rimane che darsi all’autoimprenditoria ed ovviamente essendo giovane e povero non ha né i capitali, né le competenze né le conoscenze per iniziare un’attività che non sia l’autosfruttamento ad investimento iniziale 0.
3- Il sex working (non bisogna assolutamente chiamarlo prostituzione) è l’attività perfetta: la ragazza (o il ragazzo) vende le uniche due risorse di un certo valore che ha a disposizione: la bellezza e la giovinezza, merci per cui esiste un vasto mercato non ancora inflazionato dalla concorrenza.
4- Fondamentale per rendere l’operazione accettabile moralmente e socialmente, è narrarla come una classica storia di successo e ascesa sociale grazie al proprio dinamismo imprenditoriale: la sex worker è descritta come un’imprenditrice che calcola i costi/benefici, stende un business plan (“non lo farò per sempre, 7 anni e tot utili e poi mi ritiro”), ha un rapporto distaccato e puramente professionale con i clienti, a cui vende un semplice servizio.
5- Per incasellarlo perfettamente a livello narrativo come una storia di successo imprenditoriale, serve evidenziare quanto l’individuo dedito all’autosfruttamento debba sacrificare, e quindi la sex worker (come ogni imprenditrice di successo) non può avere rapporti sentimentali né famiglia, deve rinunciare ai piaceri semplici della vita (cibo, vacanze, ecc) perché deve mantenere sempre al top e al passo con la concorrenza il suo prodotto, ossia il suo corpo e la sua psiche.
6- Ovviamente emergono delle problematiche e dei rischi in questa storia d’autoimprenditoria di successo: lo stigma sociale (la famiglia che non approva) e la possibilità che il cliente abusi del servizio offerto (stupro), ma questo – ci viene suggerito – è derivato da pregiudizi arcaici e moralismi fuori tempo massimo, che se venissero eliminati, renderebbero il sex working una libera professione come un’altra. La prova del 9 di questa asserzione è il fatto che la generazione Z avendo eliminato in gran parte questi pregiudizi, accoglie ed empatizza con la sex worker.
Dai punti accennati è evidente come il tentativo dei giornali filogovernativi è quello di normalizzare il sex working come una forma d’autoimprenditoria alla portata di tutti, in particolari dei giovani e delle donne, i più colpiti dalla disoccupazione e i più abbandonati dallo stato, in modo da indirizzare il malcontento di queste categorie da azioni collettive che rivendichino redistribuzione delle ricchezza a forme individuali di sopravvivenza tramite autosfruttamento.
Benvenuti nell’epoca dove imprenditoria, meritocrazia, progresso e autosfruttamento per disperazione sono un tutt’uno.
Illustrazione di copertina: Franziska Barczyk